Il postmodernismo per la sociologia: Lyotard

Il primo ad utilizzare il termine “postmodernismo” è stato Jean-François Lyotard, autore di “La condizione postmoderna” (1979).

Nel corso del tempo la parola ha assunto un significato sempre più vago, anche perché è stata ripresa da diverse discipline e posta al centro di moltissime teorie.

Dall’architettura alla cultura

Consultando il vocabolario Garzanti, alla voce “postmodernismo” leggiamo in primis questo:

tendenze che, in polemica con l’ideologia del progresso, perseguono la commistione di modi e forme del passato con elementi e spunti innovativi.

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Jean-François Lyotard

L’inciso “polemica con l’ideologia del progresso” è un diretto riferimento proprio a Lyotard. Egli, infatti, afferma che non solo la cultura, ma anche la società contemporanea sia entrata in una fase non più descrivibile con le categorie della modernità. Ciò corrisponde al fallimento di tutte le “grandi narrazioni” che avevano ambito, nei decenni precedenti, a inquadrare la realtà sociale. Pensiamo solo a come il crollo dell’URSS abbia segnato, forse, il definitivo tramonto dell’utopia socialista. Le cose non vanno meglio neppure per il progressismo di matrice liberale. Tale “crisi dei fondamenti”, però, non è nuova nella storia. La differenza con la nostra epoca sembra essere che, oggi, la sfiducia generalizzata colpisce non solo le élite intellettuali, ma anche la gente comune.

Non a caso, il termine “postmodernismo” è anche usato per descrivere una tendenza architettonica che, fin dagli anni ’60, reagì al funzionalismo razionalista proponendo stili più variegati e ibridi, con una certa attenzione alle tradizioni locali. Da qui, esso si diffonderà anche in altri campi artistici, come il cinema o la letteratura, dove imporrà una “democratizzazione” della cultura. I suoi tratti fondamentali saranno eclettismo, contaminazione, rifiuto della distinzione tra arte “alta” e “bassa” e, sopratutto, la rinuncia a produrre qualcosa che non siano illusioni.

In questo senso, la crisi postmoderna non colpisce solo i canoni di interpretazioni della realtà, ma la sua stessa esistenza.

Il declino della realtà

Uno dei testi chiave del postmodernismo è, di solito, considerato “Simulacres et simulations” di Baudrillard. Egli ritiene che il mondo in cui viviamo, come suggerisce il titolo, sia composto di simulacri. Si tratta di immagini che non corrispondono a nessun oggetto reale e la cui forza non è rappresentare, ma sedurre. Scritto nel 1981, il testo sembra straordinariamente profetico rispetto ai nostri tempi, caratterizzati dal trionfo della simulazione virtuale. Pensiamo solo al proliferare dei nuovi strumenti tecnologici sempre più pervasivi.

Non a caso, “Simulacres et simulations” è sovente citato come una delle fonti d’ispirazione del popolare film di fantascienza “Matrix” (1999). La sua trama, che vede gli esseri umani intrappolati in un mondo virtuale generato al computer, sembra rievocare molto bene proprio alcune teorie del postmodernismo, secondo le quali non conta la realtà, ma il modo e le forme con cui essa è comunicata.

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Locandina di Matrix

Tuttavia, l’inconoscibilità del reale è un assunto che la filosofia propone da secoli. Non è, dunque, una definizione riduttiva per connotare la società postmoderna?

Per capire cosa sia quest’ultima, in realtà, bisognerebbe prima accordarsi su cosa sia (o sia stata) la società moderna. Da questo punto di vista, le teorie sono varie. Se, infatti, diciamo che le sue caratteristiche fondamentali sono il mutamento incessante e la presenza di un sistema capitalistico globale, allora è difficile dire che ce la siamo lasciata alle spalle. D’altra parte, però, è anche possibile rintracciare numerosi fattori di novità rispetto al passato. Basti considerare l’insorgenza del capitalismo finanziario, la diffusa reazione alla globalizzazione e alla secolarizzazione, l’apparente declino della stessa razionalizzazione.

Reagire al postmodernismo: Umberto Eco

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Umberto Eco (da biografieonline.it)

Molti autori, tuttavia, non sono d’accordo con l’eccessivo relativismo di cui il postmodernismo sembra portatore. Questa posizione viene adottata anche dal noto semiologo italiano Umberto Eco, scomparso nel 2016.

Ne “I limiti dell’interpretazione” (1990) egli confuta una delle tesi fondamentali dei pensatori postmodernisti, secondo la quale non è importante la realtà, ma le sue rappresentazioni, ciascuna di esse sarebbe valida. Jedlwoski asserisce:

Posso affiancare un’interpretazione psicoanalitica di Cappuccetto Rosso ad una intesa come storia del folklore, ma in nessun caso posso dire che il cappuccio era verde, o tacere della presenza del lupo.

Naturalmente, si potrebbe rispondere che è sempre possibile l’inganno. Tale concetto, tuttavia, presuppone che esista comunque una versione non ingannevole e quindi vera. Il postmodernismo, in conclusione, benché consenta di giocare indefinitamente con i processi comunicativi, non sembra riuscire a scalfire l’assunto fondamentale della realtà sociale: quello, cioè, secondo cui, sebbene non esistano affermazioni assolutamente “vere”, sicuramente ce ne sono alcune più vere di altre.

Francesco Robustelli

Bibliografia

Jedwloski, Il mondo in questione, ed.Carocci, 2009

I grandi dizionari Garzanti, ITALIANO, ed.Garzanti Linguistica, 2008