Tra i sociologi contemporanei più importanti figura Shmuel Eisenstadt. Di origine ebrea, egli nacque a Varsavia nel 1923 per poi trasferirsi in Israele. Dopo aver completato i suoi studi a Londra, lavorò prima negli Stati Uniti e poi, fino alla morte (2010) insegnò a Gerusalemme. Egli è diventato famoso per almeno due contributi fondamentali: lo studio del ruolo dei giovani nelle società contemporanee e la celebre teoria delle “modernità multiple”.
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Eisenstadt sociologo della gioventù
All’inizio della sua carriera, nel 1956, Eisenstadt si fece conoscere con il libro “From generation to generation”. L’opera aveva uno sfondo chiaramente ispirato allo struttural–funzionalismo. Si tratta dell’indirizzo sociologico allora dominante che, come dice il nome, vedeva la società come una gigantesca struttura nella quale ogni elemento poteva avere la sua funzione. Tra questi, Eisenstadt sceglie di concentrarsi sui gruppi di pari, fondamentali per organizzare l’ingresso dei giovani nel mondo degli adulti nelle antiche società occidentali. Grazie a questo lavoro egli si guadagnò l’ammirazione di antropologi, sociologi e pedagogisti. Per queste sue riflessioni, Eisenstadt è a volte definito “sociologo della gioventù”.
Già a partire dalla sua opera successiva, “The political systems of Empires” (1963), egli si afferma poi nel ramo della sociologia che lo ha reso celebre: gli studi comparati. Si tratta di un indirizzo che risale già al padre della disciplina, Max Weber. Dopotutto, la disamina sulla modernità, e su cosa differenzi il progresso occidentale dalle condizioni di altri Paesi, è comune a molti studiosi. Le ricerche di Eisenstadt, che spaziano dall’Africa all’Asia e al Sudamerica, lo portano a formulare la rivoluzionaria teoria delle “modernità multiple”.
Dalla modernità occidentale alle modernità multiple
Innanzitutto, è certo che il capitalismo moderno si sia sviluppato in Occidente. A renderlo possibile è stato il clima filosofico-culturale dell’epoca, quando l’idea di “salvezza” della tradizione giudaico-cristiana si è spostata dal mondo trascendente a quello empirico. La sua laicizzazione, poi, ha creato il concetto di progresso e il particolare spirito razionale della società occidentale. Questi punti di partenza dell’analisi di Eisenstadt sono ripresi a piene mani da Weber. Egli, tuttavia, aggiunge delle riflessioni molto interessanti sullo sviluppo della modernità.
Avendo vissuto drammi come la Shoah, infatti, Eisenstadt giunge alla conclusione che il progresso occidentale vive una fortissima contraddizione. Da un lato, infatti, abbiamo l’esigenza della libertà e dell’autorealizzazione ma, dall’altro, quella del controllo e del coordinamento della società.
Questa tensione dà ciclicamente luogo a varie eterodossie, cioè interpretazioni della modernità alternative a quella consolidato. Pensiamo, per fare l’esempio più drammatico, al nazismo. Ciò vale, però, anche e soprattutto al di fuori della società occidentale. Quest’ultima, infatti, ha esportato la modernità anche oltre i suoi confini, ponendo una “sfida”, come dice Eisenstadt, agli altri popoli. È proprio questo il significato delle modernità multiple.
Quante modernità?
Diffondendosi nel globo, il modello occidentale viene recepito in modo diverso dalle varie società con le quali entra in contatto. Ciascuna ha caratteristiche peculiari che la portano ad assorbire solo questo o quel tratto della nostra modernità. In conclusione, quindi, non possiamo dire che quest’ultima si “diffonda” ma piuttosto che, appunto, se ne sviluppano molteplici forme.
Quali, però, di queste forme possono essere definite “civiltà”? Questo tema è molto sentito anche oggi, se pensiamo agli incontri, spesso problematici, tra l’Occidente e le altre società. La definizione non può essere univoca. Spesso essa si è prestata a manipolazioni interessate. Definirla, dunque, è quasi impossibile. Ciò soprattutto per aspetti come quello culturale. La comparazione può essere più agevole sotto altri punti di vista, ad esempio sotto il profilo economico. Spesso in quest’ultimo campo sentiamo dire, ad esempio, che la modernità coincide con lo sviluppo del libero mercato. Come si spiega, allora, che questo modello di economia sia sempre più criticato a livello globale?
Eisenstadt ci risponderebbe in due modi. Il primo è che universalizzare un qualunque aspetto della modernità, anche quelli che ci sembrano più ovvi come la democrazia, vuol dire andare contro la modernità stessa. Il secondo, poi, è insito nel nome stesso della sua riflessione: solo perché una civiltà raggiunga il progresso in modo diverso dall’Occidente, non vuol dire che non sia moderna.
Da un altro punto di vista, però, questo risultato non potrebbe portare a un’eccessiva relativizzazione anche di valori che, benché occidentali, ormai sentiremmo come assoluti, ad esempio i diritti individuali della tradizione liberale? Fino a che punto possiamo considerare caratteri che per noi sarebbero retrogradi, ad esempio la condizione delle donne islamiche, come semplice espressione di “modernità multiple“?
Trovare una risposta significherebbe riuscire finalmente a definire, in termini certi, l’essenza della modernità.
Francesco Robustelli
Bibliografia
Jedlowski, Il mondo in questione, ed.Carocci, 2009
FONTI MEDIA
L’immagine di copertina è ripresa dal sito: https://www.ihg.com/destinations/it/it/explore