Dopo aver introdotto brevemente la storia della dominazione longobarda in Italia, percorriamo insieme le tappe della mostra che vede i Longobardi, Un popolo che cambia la storia, protagonisti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli fino al 25 Marzo.
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Un popolo che cambia la storia: Studi e scoperte degli ultimi 15 anni
Tesa a sottolineare l’importanza cruciale di questa popolazione per l’Italia e l’Europa intera, la mostra Un popolo che cambia la storia durerà quasi un anno, da Settembre 2017 a Giugno 2018: più di 300 reperti, provenienti da 80 fra musei ed enti prestatori italiani ed esteri, sono esposti in un percorso per tappe tematiche.
Si procede, accompagnati da pannelli interattivi e touchscreen multimediali, dai primi decenni dell’occupazione longobarda nell’Italia settentrionale – noti soprattutto grazie a tombe, necropoli, corredi ed ambienti funerari che, in alcuni casi, sono esposti per intero all’interno della mostra – fino all’oreficeria longobarda.
Di qui, il percorso continua nell’analisi di manufatti artistici di pregio inestimabile, che rivelano il graduale affinamento culturale della popolazione già a partire dai primi decenni del VI sec. e il contatto con le realtà politiche, sociali e culturali confinanti, fino all’architettura longobarda, tra innovazione e reimpiego di strutture e materiali preesistenti.
Suggestiva una delle ultime sezioni della mostra Un popolo che cambia la storia, dedicata alla produzione longobarda di manoscritti, soprattutto grazie all’opera della regina Teodolinda e del monastero di Bobbio.
Si tratta di un fondamentale riepilogo degli studi e delle scoperte circa i Longobardi, che si alimenta anche dei contributi scientifici degli ultimi 15 anni: sia i curatori della mostra, Gian Piero Brogiolo e Federico Marazzi, sia il designer, hanno voluto riprodurre l’ascesa politica e culturale di questo popolo, anche nelle forme esagonali delle pareti del percorso e nei colori dominanti, soprattutto il rosso, simbolo del potere.
Partiti dal Castello Visconteo di Pavia – dove sono rimasti da Settembre a Dicembre 2017 –, i Longobardi sono riusciti, anche se a distanza di dieci secoli, a ‘conquistare’ Napoli – allora sotto il dominio bizantino –, dove rimarranno fino al 25 marzo 2018.
È la prima volta che il MANN, attraverso una mostra temporanea, si affaccia alla storia e all’archeologia medievale, in un percorso che rivela – tra le varie tappe italiane ed europee dei Longobardi – una Campania (con le capitali di Capua, Benevento e Salerno) non solo greco-romana, ma anche tardo antica e altomedievale.
Ultima tappa sarà il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo, a testimoniare l’importanza di questo popolo per la storia d’Europa e non solo.
Necropoli e sepolture tra retaggio pagano e cristianesimo
Al loro arrivo in Italia, nel 568, i Longobardi non riuscirono sin da subito a stabilire un organismo statale unico e omogeneo nei territori dell’Italia settentrionale appena occupati, che apparivano realtà politiche deboli e frastagliate (i ducati): difficili furono i rapporti con le popolazioni locali e con la componente romana.
Almeno fino all’inizio del secolo successivo, nonostante la recente conversione al cristianesimo, notevole fu la resistenza di relitti culturali e religiosi pagani: sono i primissimi decenni della presenza longobarda nell’Italia prealpina, per i quali sono fondamentali le necropoli, la prima tappa della mostra Un popolo che cambia la storia.
Le necropoli longobarde erano solitamente situate al di fuori dei centri abitati, in prossimità di strade o di antichi insediamenti romani: in molti casi, si tratta di scoperte archeologiche molto recenti, in occasione della costruzione di grandi infrastrutture pubbliche come autostrade, effettuate grazie a scavi estensivi di intere necropoli.
Ma non solo: l’approccio degli ultimi anni alle sepolture ha interessato diversi campi disciplinari, come la paleogenetica, con lo studio del DNA mitocondriale e nucleare sulle ossa dei defunti ritrovati e, ancora, le analisi isotopiche che, attraverso l’individuazione di elementi chimici su ossa e denti, hanno permesso di far luce sulle abitudini alimentari di questa popolazione.
A Collegno, nel torinese, importante è un gruppo di sepolture di Goti, in prossimità di una necropoli longobarda, in cui sono stati trovati due crani, quello di un uomo adulto e di un infante, deformi, per la precisione dolicocefali: si trattava di deformazioni artificiali del cranio, grazie a pressioni e fasciature, che marcavano precise differenze sociali all’interno delle gerarchie di questo popolo.
Suggestivo è l’allestimento di un’intera sepoltura proveniente da Povegliano Veronese, nel Ducato beneventano, un cavallo e due cani nella stessa fossa, probabilmente in prossimità della tomba di un cavaliere: si tratta di una pratica pagana, propria soprattutto della zona pannonica (l’odierna Ungheria), ma attestata anche in alcune regioni italiane in cui sono state registrate presenze barbariche.
Altri corredi funebri sono composti da armi, ulteriore prova di una società guerresca che teneva ad essere sepolta con i loro status symbols: resti di cibo nelle tombe documentano la credenza di una vita oltremondana del defunto.
Gli scavi più recenti sono stati illuminanti anche per comprendere come si svolgessero alcuni riti funebri, prima sconosciuti: in certi casi, alcuni degli oggetti che erano stati del defunto – come ad esempio le cinture – venivano divisi in parti e distribuiti ai parenti o comunque alle persone care, parti che sono state poi ritrovate nelle sepolture più recenti di queste stesse persone.
Nella sezione dedicata ai corredi funerari, due sagome, quella di un uomo e quella di una donna longobardi, indossano l’abbigliamento e gli oggetti propri che accompagnavano i defunti nella sepoltura.
Dai corredi funerari alle arti manifatturiere
I corredi funerari maschili e femminili esemplificati in queste due sagome, permettono la transizione dalla sezione dedicata alle sepolture a quella della metallurgia e, per estensione, della produzione manifatturiera longobarde.
Tra gli oggetti che accompagnavano gli uomini, per lo più guerrieri, le armi simboleggiavano il loro retaggio militare: semplici nella loro fabbricazione, si presentavano piuttosto leggere, lunghe – nel caso dello scramasax, uno strumento che poteva fungere sia da arnese da lavoro sia da arma, una sorta di spada – e facili da maneggiare.
Tuttavia, dopo i primi decenni di dominazione, i Longobardi, in un lento processo di integrazione e contatto con le culture locali e confinanti, introdussero nella loro tradizione artistico-manifatturiera nuovi elementi, in un processo eclettico e osmotico al tempo stesso.
Dall’oreficeria bizantina mutuarono, tra i vari monili e prodotti di gioielleria, le croci auree che si ritrovano nelle sepolture, cucite sugli abiti dei defunti, solitamente all’altezza del capo. Nel corredo delle donne fanno la loro comparsa gioielli finemente lavorati come le fibule cosiddette ‘a S’ e a staffa.
Certamente l’arte metallurgica e manifatturiera rappresenta un medium fondamentale per comprendere l’arte longobarda: si trattava di forme artistiche pratiche e trasportabili per una popolazione tradizionalmente nomade.
Tra i prodotti della tradizione longobarda e, più ampiamente, germanica esposti alla mostra, si ritrovano corni potori – dai quali si beveva – dai colori caratteristici, provenienti da Cividale del Friuli e dall’area di Ascoli Piceno, con forme proprie della tradizione europea centro-settentrionale e che rinviano ad un ambito quasi ‘simposiaco’, del momento conviviale come occasione di celebrazione delle imprese guerresche ma anche luogo in cui i clan gentilizi stringevano alleanze.
Propriamente germanici sono i motivi decorativi di questi oggetti: si tratta di figure animali e vegetali che rivelano una concezione della natura istintiva e autentica. Nel processo di osmosi culturale tra i Longobardi e l’arte figurativa e scultorea romana in Italia, i motivi propri della metallurgia verranno trasposti negli elementi decorativi delle chiese, fondendo tradizione germanica e classica.
Produzione manoscritta nell’Italia longobarda
Percorrendo velocemente le altre suggestive sezioni della mostra Un popolo che cambia la storia, una delle ultime è dedicata alla scrittura e alla produzione manoscritta longobarda. Sebbene si tenda a pensare ad essi come ad una popolazione fondamentalmente guerresca, i Longobardi sono, in qualche misura, legati all’introduzione della scrittura beneventana a partire dalla fine dell’VIII sec. (ed utilizzata fino al XIII sec.) legata al Monastero di Montecassino e a Benevento, ma che avrà una sua variante nel tipo barese.
Si tratta di una delle grafie cosiddette ‘nazionali’ e rientra nel fenomeno europeo del particolarismo grafico – la frammentazione delle grafie in Europa, conseguente alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, tra VI e IX sec. – , prima dell’introduzione della minuscola carolina con Carlo Magno, nel IX sec.
Ma non solo: seppure caratterizzata da una profonda crisi culturale, l’Italia longobarda tra VI e VII sec. conobbe una certa produzione di manoscritti grazie alla principessa Teodolinda.
Convertita al cristianesimo da papa Gregorio Magno, iniziò una vasta campagna di cristianizzazione del Regno, accogliendo monaci irlandesi: tra questi, Colombano, grande collezionista di manoscritti latini, nel 615, fondò il monastero di Bobbio (Piacenza), al quale venne demandato il compito di copiare testi sacri.
Ma in un periodo di crisi anche economica, in cui scarseggiava pergamena ‘vergine’, vennero utilizzati codici già scritti, sulla cui scrittura (scriptio inferior) veniva spalmato uno strato di calce dove poi venivano ricopiati i nuovi testi sacri (sulla scriptio superior).
Molti di questi manoscritti – i palinsesti, letteralmente ‘raschiati di nuovo’ –, di cui è stata riportata alla luce la scriptio inferior, sono molto più antichi di quando vennero riutilizzati in età longobarda.
Tra i codici esposti alla mostra Un popolo che cambia la storia, di particolare pregio è quello contenente delle omelie, prodotto nel monastero di San Vincenzo al Volturno e la copia di uno dei più antichi esemplari di manoscritti dell’Historia Langobardorum di Paolo Diacono, intellettuale longobardo che, a Cividale del Friuli – dove sarebbe stato scritto anche il codice, nel IX sec. – scrisse la storia del suo popolo dalle origini fino al 744, periodo di massimo splendore del Regno settentrionale.
La mostra Un popolo che cambia la storia termina con un’area dedicata alla storia autonoma del Ducato di Benevento e alle entità statali che sorsero dal suo interno, il Ducato di Capua e quello di Salerno.
Francesco Longobardi