Il termine greco hybris è composto da un prefisso dal significato di “sopra, oltre”, e da una radice che significa “peso, forza, violenza”. Questa stessa radice la ritroviamo per esempio nel nome del gigante Briareo, un Ecatonchiro.
Tenendo conto dell’etimologia, si comprende l’ampio spettro di significati della parola hybris: oltraggio, tracotanza, superbia, sia in senso generico sia in senso specifico.
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Hybris e “invidia” degli dèi
Nel mito e nell’etica della Grecia arcaica la hybris gioca un ruolo essenziale, come causa delle sciagure umane generate dall’ira degli dèi. Infatti l’uomo hybristès è colui che travalica i limiti assegnati alla propria natura, pretende di eguagliarsi agli dèi e si attira così la loro “invidia”.
L’invidia di un dio per un uomo sembra un concetto assurdo. In realtà implica la volontà del dio di ristabilire l’ordine cosmico violato. Il termine “invidia” in greco è phthonos, che sottende la volontà di negare e sottrarre qualcosa. Nel caso specifico il dio “invidioso” dell’essere umano troppo potente o fortunato lo ridimensiona colpendolo con la disgrazia in modo da ricondurlo ai suoi limiti. In tal modo l’uomo conosce sé stesso, ovvero secondo la massima di Eschilo “impara soffrendo”.
Hybris fra gli dèi
Tratti di hybris possono essere riconosciuti già in personaggi non propriamente umani. Sia la volontà di Urano di non far partorire Gaia, sia l’atto di Crono che cannibalizza i suoi figli sono casi peculiari di tracotanza divina. Questi dèi che rifiutano l’ordine naturale della generazione si riducono a mostri.
Un elemento di hybris è rinvenibile perfino in Prometeo, quando sottrae il fuoco che è appannaggio di Efesto per farne dono ai mortali.
La hybris di Niobe
Tuttavia è evidente che la tracotanza è “peccato” soprattutto umano. Così per esempio Niobe, orgogliosa della sua numerosa prole, offende la dea Letò, poiché ha solo due figli, ed è perciò punita da Apollo e Artemide.
I due fratelli divini scagliano sui sette figli e le sette figlie di Niobe frecce mortali sotto lo sguardo impotente della madre. Si salva soltanto una figlia a cui quest’ultima fa scudo col corpo. Niobe invece per il dolore si muta in una statua di sale.
La hybris di Aracne
Altra dèa usa a punire la tracotanza umana è ovviamente Athena, dea della razionalità e dell’equilibrio. Un famosissimo esempio è dato dalla vicenda di Aracne. Aracne era troppo superba della sua abilità nel tessere e sfidò Athena, che la sopraffece in una gara di tessitura e poi la mutò in ragno (in greco appunto aracne).
La hybris nel ciclo troiano
Diversi eroi protagonisti della guerra di Troia e dei nostoi si macchiano di atti di hybris più o meno gravi. Così Diomede ferisce in battaglia, incitato da Athena, due dèi, Afrodite e Ares. Afrodite punirà Diomede inducendo sua moglie Egialea a tradirlo e a congiurare contro di lui. Diomede costretto all’esilio giunge in Italia, dove assiste alla pietrificazione della sua nave (trasformatasi nella maggiore delle isole Tremiti), e alla trasformazine dei compagni in gabbiani (le diomedee). Placherà Afrodite costruendole un santuario e una città in Calabria, Afrodisia.
Più famoso è l’episodio di Aiace Telamonio, accennatoci da Sofocle nella tragedia dedicata all’eroe. Aiace affiancato da Athena in battaglia aveva esortato la dea ad andare da qualche altra parte del campo, poichè lì c’era già lui a difendere gli Achei. La dea offesa aveva poi fatto impazzire l’eroe conducendolo al suicidio per vergogna.
Hybris è anche quella di Agamennone, che nel non riconoscere il valore di Achille distorce la funzione sacra della propria regalità. Costretto da Apollo a restituire la giovane Criseide, Agamennone sottrae ad Achille Briseide, causandone l’ira e il ritiro dalla guerra. In tal modo attrae sul proprio esercito la catastrofe.
Perfino Odìsseo non è del tutto immune da gesti di tracotanza. Quando acceca Polifemo, dichiara che nemmeno Poseidone, che di Polifemo è il padre, potrà guarirlo. Questo grido temerario, più che l’accecamento in sé, è la causa vera dell’ira di Poseidone contro Odìsseo.
Hybris nel ciclo tebano
Il ciclo tebano, legato alle vicende di Edipo, è costellato di atrocità legate alla hybris. Così per esempio Eteocle commette un atto di tracotanza verso suo fratello Polinice negandogli di diventare re secondo il patto di governo alterno che avevano stabilito. A sua volta Polinice risponde con un assedio alla propria città macchiandosi di tradimento oltre che di hybris.
Alla loro morte in battaglia Creonte divenuto re di Tebe vieta la sepoltura di Polinice e punisce sua sorella Antigone che aveva voluto seppellirlo. Antigone fu seppellita viva in una grotta. Questo grave atto di tracotanza consisteva nell’affidare i vivi all’ombra sotteranea e contaminare il cielo con la presenza dei morti. Costò a Creonte il suicidio di suo figlio e di sua moglie.
Come si vede dagli esempi di questi miti per i Greci il dovere dell’uomo è seguire i limiti imposti dalla propria natura. Gli dèi hanno il compito di ricordare di non travalicarli.
Arianna Colurcio