Maria Zambrano scrive Filosofia e poesia nel 1939. Si tratta di un’opera dell’esilio, nata quando la filosofa spagnola è lontana dalla sua patria, dilaniata dalla guerra civile. L’esperienza dell’esilio le consente di meditare sul senso profondo della partenza ”dal luogo di origine”.
La lontananza dalla patria mette l’uomo in esilio di fronte alla sfida di ridisegnare nei propri ricordi volti e luoghi da cui si è sottratti. Tuttavia, le immagini di una realtà che si credeva familiare sembrano sfuggire alla presa della memoria per apparire incompiute, nebulose, sempre di nuovo da riscoprire. La Zambrano scrive:
[l’Esilio] è il luogo privilegiato per lo scoprirsi della patria […]. quando ormai si sta senza di essa,senza alcuna sofferenza, quando ormai non si riceve nulla, nulla dalla patria, allora essa gli appare.
Nell’esilio l’uomo si apre alla nostalgia nel senso più profondo della parola: algos – dolore per la separazione – che non è mai del tutto nostos – ritorno all’originario.
Nostalgia, dunque, come il maturare la consapevolezza di un’appartenenza per estraneità.
Lo sguardo che l’esiliato rivolge alla patria si intreccia così alla ricerca di un residuo che non è mai completamente noto, né mai definitivamente perduto, ma che chiede di essere salvato, di essere ancora una volta guardato. Questo bisogno di guardare nuovamente a ciò che si percepisce come irrinunciabile ha il carattere di una rinascita che si annuncia in ogni esperienza di lacerazione. È anzi nella separazione che la filosofa spagnola invoca una nuova spazialità del pensiero, in cui la realtà venga sempre nuovamente alla luce.
Indice dell'articolo
Poesia: il realismo della cosa
La possibilità di un pensiero come spazio del poter-nascere allude ad una forma di conoscenza che non coincide più con il sapere scientifico-filosofico.
Maria Zambrano vi oppone un modo di conoscere come un amoroso ”trattare con le cose”: uno sguardo innamorato sul mondo non come pensiero puro, ma come poesia. La conoscenza poetica è per la filosofa ”un vivere secondo la carne”, una pratica amorosa rivolta al mondo nella sua interezza. La parola del poeta è attraversamento infinito di ogni cosa esistente a partire da una comunanza di origini.
Nello sguardo del poeta vi è un istante privilegiato in cui il mondo ripete la propria nascita, raccogliendosi in un’immagine che non ha l’assolutezza del concetto. La poesia è un sentiero sul cominciamento del mondo, apparizione di una luce che come l’aurora non rinnega l’oscurità da cui proviene. La parola del poeta è una penombra toccata di allegria.
Scrive Maria Zambrano:
La poesia è fuga e ricerca, bisogno e spavento; un andare e ritornare, un chiamare per fuggire; un’angoscia senza limiti e un amore esteso. […] Amore di figlio, di amante. Amore anche di fratello. Non solo vuole ritornare alle vagheggiate origini, ma vuole, necessita di ritornarci con tutti, e potrà farlo solo in compagnia, tra i pellegrini il cui volto ha visto da vicino, il cui respiro ha sentito accanto al suo, nella fatica del cammino…
Questa adesione innamorata alla densa materialità delle cose è il tratto peculiare del realismo spagnolo, in cui si inscrivono opere come il Don Chisciotte, ma anche la mistica di Juan de la Cruz. E proprio dai versi di Juan de la Cruz la Zambrano trae l’immagine del poeta come di uno ”spazio vuoto” che lascia che il mondo nasca sempre di nuovo nelle sue parole.
Dalla poesia alla filosofia: Socrate e Platone
La parola del poeta è, dunque, parola del sentire, che è prima di ogni pensiero quale sua occulta matrice. In “Filosofia e poesia” Maria Zambrano traccia la genealogia della progressiva separazione della filosofia dalla poesia nella cultura occidentale. Un momento cruciale di questo processo è rappresentato dalla filosofia platonica, nella quale è possibile riconoscere un doppio livello compositivo. Se da un lato Platone persegue la ricerca di ciò che è eternamente identico – l’Idea – dall’altro ricorre al mito poetico per dar voce all’insegnamento socratico.
Nei dialoghi platonici, Socrate appare come il poeta posseduto dal dio-demone, il cui delirio è apparizione dell’originaria mescolanza di essere e non essere, di sanità e follia. L’atto poetico è un atto di giustizia caritativa, che dà voce all’intera estensione di ciò che è, senza sacrificare il mistero di ciò che non è. Essa è però il rovescio della giustizia del filosofo, che opera affinché tutto sia ricondotto a chiarezza, unità, sistema.
Socrate, dunque, è il poeta della comunità, la figurazione del politico, colui che ha già in sé ciò che il filosofo cerca con sforzo metodico. La sua parola è una parola-madre, una nascita nel suo essere un’uscita nel mondo e una caduta nel tempo.
E che Socrate sia figlio di levatrice occorre ricordarlo.
Maria Zambrano e la filosofia del Novecento
Il cammino della filosofia è letto da Maria Zambrano come un faticoso cammino di conquista del sapere certo ed oggettivo. Il punto di partenza di tale cammino è però riconosciuto nella volontà di potere. L’obbiettivo del filosofo è di comporre in unità ciò che si dà sempre come molteplice e vario. Nella modernità questa tensione sistematica si dispiega compiutamente come trionfo del soggetto e dell’individuo su ogni aspetto del reale. È in questo trionfo che avviene la definitiva espropriazione della poesia dalla filosofia. Questo atteggiamento intimamente violento, prepotente, ostinato del filosofo è per la Zambrano la radice del collasso politico cui si assiste nel Novecento.
Nel cuore della ferita della cultura occidentale, Maria Zambrano sogna la trasfigurazione del campo di battaglia in uno spazio aperto alla riaffermazione ”dei legami che uniscono l’uomo con tutto ciò che è vivo, compagno di origine e creazione”.
Chi è il poeta? Cosa leggera, alata e sacra. (Platone)
Martina Dell’Annunziata
Bibliografia
M. Zambrano, Filosofia e poesia, trad. it. L. Sessa, Edizioni Pendragon, Bologna 2012
M. Zambrano, Verso un sapere dell’anima, trad. it. E. Nobili, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996