Indice dell'articolo
La città di Messina nel 1700: un secolo di crisi e cambiamenti
La città di Messina nel 1700 attraversò un momento di forte crisi. Il secolo, infatti, fu per tutta l’isola un periodo travagliato caratterizzato cambiamenti sociali, economici e demografici.
Il seicento si era chiuso con un disastro: l’eruzione dell’Etna del 1693 ed il conseguente e violentissimo terremoto che coinvolse ben ventitre comuni della Sicilia orientale, comprese le isole minori. Vennero completamente distrutte città come Lentini, Noto e Catania. Il sisma influenzò in modo rilevante e negativo la vicenda demografica a causa delle numerose vittime, degli spostamenti, delle migrazioni e peregrinazioni delle famiglie.
La ricostruzione di Messina nel 1700, nelle zone più devastate, non modificò le linee urbanistiche della città, nonostante scomparve l’importante zona artigianale. La città perse il suo quartiere più antico e più caratteristico che raggruppava, secondo il sistema medievale per zone, le diverse attività artigiane.
Il Palazzo Reale, simbolo di prestigio e delle condizioni di privilegio che possedeva la città non fu più ricostruito. Agli inizi del ‘700 Messina si presentava con poche e mediocri strutture sia industriali che commerciali.
La Sicilia sotto il dominio di casa Savoia
Con il trattato di Utrecht del 1713, dopo un sapiente gioco politico manovrato dall’Inghilterra, che voleva impedire che l’isola andasse in mano ai Borboni tanto meno agli Asburgo, per preservare il suo ruolo di prima potenza incontrastata nel mediterraneo, divenne re di Sicilia, il duca di Savoia Vittorio Amedeo II. La Sicilia fu sotto il dominio di casa Savoia per circa setti anni.
Dopo una breve e neppur totale riconquista spagnola, di soli 23 mesi, che servì soltanto ad isolare i gruppi dirigenti della Sicilia dal teatro internazionale, un trattato internazionale del 1718 sanciva il passaggio a Vittorio Amedeo II della Sardegna in cambio della Sicilia. Nonostante mantenesse il titolo regio, il dominio della Sicilia veniva ormai trasferito all’imperatore Carlo VI della casa d’Austria.
Il “barocco effimero”
Con l’arrivo dei piemontesi in Sicilia si ebbe un mutamento brusco del clima generale, di cui soprattutto ne risentì la città di Palermo. Gli ultimi anni spagnoli avevano conservato i tradizionali caratteri del secondo ‘600 in fatto di cerimonialità pubblica, privata e religiosa. La vita era allietata per i nobili da grandi spettacoli pubblici, occasioni di teatro in prosa e musica, solenni e festose processioni. Ma questo “barocco effimero” subì nel primo trentennio del ‘700 un abbagliante crepuscolo. Già nel febbraio del 1714 il parlamento chiese e ottenne la “prammatica contro il lusso”.
Sulla vita siciliana ci sarà un’austerità che causerà un enorme malcontento; la situazione era inasprita dalla controversia con la Santa Sede dovuta ad una conseguenza del rifiuto papale di riconoscere l’investitura siciliana del sovrano piemontese.
La Sicilia austriaca
La Sicilia dal 6 maggio 1720 è austriaca e lo diventò per conquista e non per consenso, nonostante il tutto sia sancito dal trattato dell’Aja del 20 febbraio 1720. Il passaggio dal dominio sabaudo a quello austriaco non fu indolore; gli spagnoli cercarono in ogni modo di ritornare nell’isola che avevano dominato per tanto e lungo tempo. La dominazione ebbe, comunque, una durata di quindici anni fino a quando i Borbone con la riconquista non resero l’isola stato indipendente, nonostante fosse unita a Napoli.
Ritorno ai Borbone
Messina ritornò ai Borbone nel 1735, nonostante nessuna delle dominazioni che si susseguì abbia lavorato per invertire il corso degli eventi e trascinare fuori dalla situazione di crisi generale in cui versava la città. L’amministrazione borbonica, infatti, non fece altro che proseguire sulla linea politica austriaca, cercando di risollevare la situazione così critica, abolendo vari dazi imposti dagli spagnoli. Il 3 luglio 1735 venne incoronato nella cattedrale di Palermo, a soli 19 anni, Carlo III di Borbone. Il nuovo re trascorse solo cinque giorni in Sicilia, prima di lasciare definitivamente l’isola e trasferirsi a Napoli.
Durante il suo governo fu intrapresa una lunga e dura lotta contro il brigantaggio, fu eseguito un censimento della popolazione, e soprattutto fu deciso che abbazie e vescovati dell’isola venissero assegnati ai siciliani, limitando il potere del santo uffizio. Il suo regno fu abbastanza stabile, ma soprattutto duraturo. Carlo III fu re fino al 1759 fino a quando, nello stesso anno, lasciò i regni di Napoli e di Sicilia al figlio Ferdinando. Nonostante ciò la Spagna, con il suo debole dominio, non riuscì a coinvolgere i ceti dominanti della città.
Il suo successore Ferdinando IV (1759-1825) fece in modo che si compissero delle riforme. Una delle vittorie siciliane dell’epoca, si verificò nel 1782 con viceré Domenico Caracciolo, nominato nel 1780. Egli, infatti, diede ordine di abolire il tribunale dell’inquisizione. Gli successe sei anni dopo D’Aquino principe di Caramanico. Il suo vice regno, nonostante fosse ormai anziano, fu lungo e durò fino al 1795.
Valentina Certo