Lo spokon (serie animata o fumetto legata allo sport) è molto diffuso in Giappone. Ping Pong – The Animation, trasmesso nel 2014, ne è un ennesimo esempio. Tuttavia, grazie alla regia di Masaaki Yuasa (Devilman – Crybaby, Mind Game), emerge tra i suoi simili grazie ad uno stile incalzante e un’ottima scrittura.
Ping Pong – The Animation: la vita e lo sport
Tratto dal fumetto del ‘96 di Taiyou Matsumoto, ultimamente tradotto da 001 Edizioni, Ping Pong – The Animation è un racconto corale. La narrazione prende piede presentando i due protagonisti, soprannominati Smile e Peco, ma ben presto si allarga su un vasto panorama di personaggi, ovviamente tutti legati dalla passione per il ping pong. Dopotutto non viene proposto nulla di radicalmente diverso rispetto ai canoni del genere. Ciò che ne fa un’opera di qualità è la cifra stilistica del regista che adopera efficacemente il taglio tipicamente eccentrico dell’animazione giapponese. Beninteso che per eccentrico non si intende surreale (come spesso accade, basti pensare a Holly e Benji o Kuroko’s Basket). Solo in un paio di episodi c’è una virata in questo senso, ma è vincolata esclusivamente alla resa visiva e alla caratterizzazione dei personaggi.
L’intreccio di storie personali e rispettive aspirazioni sportive, lo scontro e il superamento di antagonisti, il rispetto per il maestro che porta a maturazione un talento ancora acerbo, il tutto in vista della realizzazione di sé. Si tratta di tematiche classiche per uno spokon. Tuttavia Yuasa applica delle variazioni, virando su sviluppi meno usuali. Come dicevamo, al di là dei protagonisti, la storia è fatta delle storie di ogni personaggio. Anche di un anonimo perdente esterno al filone principale, che dopo numerosi viaggi capirà fino in fondo la sua passione per lo sport. Inoltre la trama non converge verso la sconfitta di un antagonista, non punta al successo o alla vittoria. L’intenzione è quella di confrontare molteplici concezioni dello sport e, di riflesso, altrettanti modi di stare al mondo.
Questione di stile
Se Ping Pong – The Animation è un’opera particolarmente solida, ciò è dovuto anche al lato puramente tecnico. Innanzitutto vanta una scrittura eccellente, capace di condensare in undici episodi una trama complessa in cui ogni personaggio esibisce un’evoluzione molto ampia. Gli episodi singoli, poi, scorrono benissimo e nonostante la durata di venti minuti sono sempre molto densi, eccezion fatta per le fasi finali. Il ritmo è così incalzante che si potrebbe vederla tutta d’un fiato.
Al pari di Devilman – Crybaby, il tratto è minimalista e a volte addirittura rozzo, come anche le animazioni. Ma Yuasa rimbalza spesso verso una maggiore attenzione ai dettagli, ai giochi di ombre, alle espressioni facciali, con una resa più realistica. Tuttavia visivamente colpisce soprattutto la riproduzione della struttura del manga. Le scene sono spesso concatenate come se lo schermo fosse una pagina su cui tracciare uno storyboard. Più volte capiterà di vedere vignette accumularsi sullo schermo in ordine cronologico o per una resa sincronica della scena.
Accompagna tutta la visione una regia d’impatto, spesso dalle tendenze metaforiche, anche se non ai livelli di Mind Game, primo film di Yuasa. E il montaggio, che dà ai numerosi flashback tutta l’emotività dei ricordi, è sempre fluido e ben ritmato.
Fammi vedere come giochi e ti dirò chi sei
Lo si accennava prima, la trama mette in campo varie idee di sport che alludono anche a rispettive condotte di vita. Dietro la trama di Ping Pong – The Animation c’è quasi il desiderio di scrivere un manuale sui vari tipi di sportivo. Già i protagonisti rappresentano due modi di vivere lo sport quasi antinomici. Da una parte abbiamo il taciturno Smile, che “non ha alcun interesse nella vittoria”. La sua passione e il suo talento per il ping pong sono inversamente proporzionali rispetto a qualsiasi aspirazione. Il suo unico interesse è impugnare la racchetta e confrontarsi con l’avversario. Dall’altra parte abbiamo Peco, estroverso e sicuro di sé, che si vanta dei suoi successi fin da tenera età e pensa di essere destinato alla gloria. Ma nonostante le sue capacità, saranno le sfide contro gli altri e se stesso a levigarlo e renderlo realmente degno delle proprie aspirazioni.
Non meno rilevante la dialettica tra i due personaggi, che avranno modo di esprimere compiutamente la loro visione del ping pong solo grazie a stimoli reciproci.
Altri personaggi provvedono ad arricchire questo manuale degli sportivi. C’è chi si porta addosso il peso di una sconfitta e cerca riscatto, ma reinventerà se stesso dedicandosi all’insegnamento. Chi ha dato tutto se stesso, ma scende a patti con la propria mancanza di talento e accetta i propri limiti. E anche chi, dedicatosi anima e corpo al ping pong, ha dimenticato per chi e perché gioca. Ogni sportivo ha poi il suo mentore, con un glorioso passato alle spalle. Che sia la storia della scalata al successo o la rinuncia al proprio sogno per fatalità di sorta, si tratteggia, cosa ricorrente nelle produzioni giapponesi, un doppio fondo narrativo che allude alle generazioni precedenti.
Ping Pong – The Animation è insomma una storia di perseveranza e accettazione, dove chi si accosta al tavolo da gioco è pronto a dare tutto se stesso o essere colpito nel vivo delle proprie convinzioni. Una storia che insegna che in ogni aspetto della vita ognuno può trovare la propria dimensione, a patto di far fruttare le proprie capacità nella direzione più adeguata.
P.S. La serie è disponibile sottotitolata su VVVVID
Giovanni Di Rienzo