Furio Jesi, filosofo e storico delle religioni, ha lasciato in eredità al popolo italiano un pensiero che ancora oggi attende di essere riscoperto. L’origine ebraica di Jesi sembra essere alla base del suo interesse verso tutto quel materiale conoscitivo, definito mitologico, che egli analizza profusamente e al quale dedica anni di studio. Le sue riflessioni sono tese a scandagliare il modo in cui il mito viene manipolato dalla politica nel corso di tutto il ‘900, con una particolare attenzione nei riguardi della cultura di destra.
Furio Jesi e il mito tecnicizzato
L’interesse di Jesi per il mito risale alla corrispondenza che portò avanti con il mitologo Károly Kerényi, dal quale riprende la distinzione fondamentale tra mito genuino e mito tecnicizzato. Nel primo caso il mito è concepito in prospettiva cosmica e originaria, come fondamento di ogni cultura, nel secondo caso esso acquisisce il significato simbolico che gli attribuisce colui che se ne serve.
L’attenzione di Jesi si sofferma proprio sul mito tecnicizzato, poiché il suo scopo è capire in che modo il materiale mitologico si cristallizza nel corso della storia, sia quando viene riproposto come nell’evento iniziale sia quando i suoi connotati vengono modificati. Innanzitutto la materia dei miti tecnicizzati è, come già sostenuto da Mircea Eliade, eternamente presente, in quanto spiritualizzata. Jesi chiarisce il concetto scrivendo:
La materia su cui opera il lusso spirituale è sempre la stessa: un passato che non c’è. Tutto quello che il passato è stato, è divenuto una pasta che si può modellare e cuocere come si vuole. […] Spiritualizzata vuol dire soltanto un feticcio modellato con la pappa del passato.
Chi detiene il potere cerca di legittimarlo appellandosi secondo Jesi ad un passato mitico che il più delle volte è travisato, ma anche facendo leva su una certa retorica. L’intento è sempre quello di distogliere l’attenzione dalle responsabilità sociali e civili del popolo cui si rivolge. Il mito diventa spirituale perché il passato è investito di una sacralità che in verità non detiene. Vanno comunque distinti coloro che, come Mussolini, appiattiscono la storia, omogeneizzandola per riproporla efficacemente in ogni contesto, da quelli come D’Annunzio, che alla manipolazione del passato affiancano una certa sensibilità per le sue differenziazioni interne.
La macchina mitologica e le idee senza parole
Jesi definisce la manipolazione del mito macchina mitologica, perché essa ha il preciso intento di eliminare il contenuto autentico del mito, qualora ci fosse, e metterlo al servizio dell’ideologia di turno che contribuisce a creare. Il materiale mitologico viene stravolto ricorrendo a svariati stratagemmi come quello della religio mortis, tipicamente fascista. La teoria, oltre ad estraniare l’uomo dalla vita in favore della morte, richiama da vicino quella dell’amor fati, che richiede la morte come sacrificio con il fine di emancipare la stirpe.
La morte viene così mistificata e inizia ad avere un impatto sull’ascoltatore, giacché si presenta ai suoi occhi in un’accezione esoterica. La destra infatti mette in atto un meccanismo linguistico che il più delle volte fa leva su significanti e simboli privi di senso, che acquistano valore solo per il loro carattere di segretezza.
Paradossalmente queste idee senza parole si propagano con continuità proprio perché sono culturalmente vuote e incomprensibili alla maggior parte delle persone. Questa mancanza di riferimenti crea per Jesi nuovi valori basati sul nulla, poiché il vuoto che si riscontra viene colmato da categorie del tutto arbitrarie. Il mito, privato della sua originaria genuinità, arriva a produrre verità favorevoli a colui che se ne serve. Il problema che Jesi mette in luce è che nella maggior parte dei casi questa strategia non è consapevolmente organizzata, ma rientra a far parte di un retaggio culturale fondato sull’abitudine.
Problemi e questioni inerenti al mito
Analizzando riti, eventi e tradizioni propri della cultura di destra, lo studioso realizza una riflessione filosofica di alto spessore, tesa a chiarificare il ruolo del mito nell’ideologia e gli eventuali pericoli che derivano da un utilizzo erroneo dello stesso. La disamina di Jesi solleva questioni non solo sulle modalità in cui tutta la politica novecentesca si serve delle tradizioni e del mito, ma anche sullo statuto del mito stesso.
Il materiale mitologico sembra non essere in grado di fornire alcunché di autentico in sé e per sé, ma d’altra parte proprio il fatto che si presti ad ogni tipo di trasfigurazione, ad opera della storia e delle ideologie, è un esempio del suo valore. Tra i meriti di Jesi c’è proprio quello di aver messo in luce quest’ultimo aspetto, promuovendo la possibilità di una scienza mitologica che, laddove non sia in grado di raccontare se stessa, possa quantomeno dirci qualcosa in più sul nostro tempo e sulla nostra storia.
Giuseppina Di Luna
Bibliografia
Furio Jesi, Cultura di destra con tre inediti e un‟intervista, a cura di Andrea Cavalletti, ed.
Nottetempo, 2011.