Nel 2017 l’emittente televisiva spagnola Antena 3 lancia la serie tv che di lì a breve avrebbe rapito l’attenzione: La casa di carta (La casa de papel). Netflix ne acquista i diritti, ed è subito successo mondiale. In Spagna i 15 episodi erano della durata di 70-75 minuti. Netflix ne ha modificato il minutaggio per un totale di 22 episodi, divisi in prima e seconda parte. Il finale della seconda parte sembra autoconclusivo, ma l’azienda statunitense annuncia il 18 aprile che La casa di carta sarà provvista di una terza parte.
La casa di carta: fuga e delirio alla zecca di Stato
Tokyo, Nairobi, Rio, Denver, Mosca, Berlino, Helsinki, Oslo. Prima della serie tv, erano solo nomi di alcune tra le città più belle al mondo. Ma ne La casa di carta, sono molto di più. Reclutati dall’ingegnosissimo Professore, le otto città rappresentano i nomi dei più efferati ladri spagnoli.
Mosca e Denver sono padre e figlio, hanno un rapporto tenero e stretto. Mosca è stato minatore per tanti anni, ma ha sempre accarezzato l’idea di ambire a qualcosa in più. La sua storia ricorda un po’ i Malavoglia di Verga. Mosca ci prova, tende alla realizzazione personale (certo, con qualche furtarello che lo condurrà in prigione) ma poi qualcosa va storto. Inevitabilmente.
Denver è un bad boy. Risata irritante, ma caratteristica, sigaretta alla mano, e si conquista gli ostaggi. Nairobi è estremamente importante per la trama, e più in là scopriremo perché. Rio è come i cavoli a merenda: non hai idea del perché si trovi lì, ha la faccia pulita e il sorriso sincero. Però Rio è anche un ottimo hacker informatico, nonostante la sua giovane età ed inesperienza. Tokyo è la testa calda del gruppo, una bellissima ragazza con il taglio di capelli alla Natalie Portman in Léon e la stessa impulsività. Helsinki ed Oslo sono due cugini slavi, Oslo parla molto poco, Helsinki è gay e con una famiglia molto povera da mantenere.
Poi c’è Berlino. Ecco, Berlino è la spalla del Professore. Il suo secondo. Sicuramente il più stimato dalla mente del piano. Berlino è un uomo carismatico, affascinante. Si è sposato cinque volte, divorziando tutte e cinque. Ha una malattia degenerativa rarissima che lo condurrà alla morte. Per molti versi, è un villain. Arrogante, sarcastico, maschilista e quasi mai politicamente corretto. È il leader del gruppo, e non potrebbe essere altrimenti. Tokyo e Nairobi ci hanno provato a gestire il marasma che si creerà, ma, Nairobi, esausta gli cederà di nuovo il comando.
Berlino è un personaggio amato da molti. Ma perché, se è in pratica un villain? Partiamo dal presupposto che ci sono alcuni “cattivi” davvero difficili da odiare. Berlino, però, ha una caratteristica essenziale per lo scorrere liscio di questa serie: la fede. Crede nel Professore, nel suo piano. Quando gli altri scoprono della sua malattia, Berlino, anziché piangersi addosso, brinda.
Veniamo ora alla mente del piano, il fantomatico Professore. Chi è, lo si scoprirà solo al termine della serie. Anche le altre identità dovrebbero essere segrete, i ladri non potrebbero conoscersi tra di loro e intrattenere relazioni, in teoria. Il Professore è un uomo che ha trascorso larga parte della propria vita in ospedale. Leggeva, si acculturava. Mai soprannome fu più azzeccato. È stimato dai ladri scalmanati, che lo ascoltano, lo rispettano.
Il Professore ha un piano: rapinare la zecca di Stato, quella spagnola. L’idea è di far stampare al suo interno milioni e milioni di euro, e poi fuggire. Nella stampa è importante Nairobi, antecedentemente grande falsificatrice e con un figlio alle spalle.
La casa di carta: buoni o cattivi?
La serie tv spagnola non è innovativa al 100%. Non è cosa rara che si rispolverino idee, combinandole ad altre elementi e formando, se si ha fortuna, un vero cult. Però La casa di carta ti confonde. Lascia perplessi. I protagonisti sono dei ladri, che hanno il principio comune di non voler mai e poi mai sparare per uccidere.
Questa regola sarà violata da Berlino. Il grande capo ordina a Denver di ammazzare l’ostaggio Monica, amante tra l’altro del direttore della zecca, Arturito. Denver non dà retta al leader, e anzi, si innamora di Monica, ricambiato. Berlino fa dietrofront: si rende conto di aver chiesto un gesto ingiusto al ragazzo, ammettendo di aver sbagliato.
Il piano del Professore è un inno contro il capitalismo, contro la potenza di alcuni, e il correlato schiavismo degli umili, dei medi. La casa di carta non riguarda solo una rapina, è un sogno. ll Professore sfida apertamente il sistema. Il suo sogno afferma una cosa sola: non voglio vivere aspettando la mia misera paga, voglio fare il colpo del secolo. Il Professore ha un passato rivolto alla resistenza. Suo nonno era partigiano, lottava contro i fascisti. E l’inno “Bella ciao” è stato insegnato poi a tutti i ladri.
I ladri, uno in particolare, sentono l’inno nelle vene. Berlino e il Professore avranno una cena, solo loro due. Discuteranno sul come sentirsi a riguardo, sulla immensa rapina che il giorno dopo la cena stessa verrà messa in atto. Berlino vorrebbe che il professore scappi, se le cose dovessero andare male. Ma il professore sa che nulla potrà rovinare il loro piano. Sulle note di “Bella ciao”, Berlino e il professore entrano in un climax che è tutto loro. È in questa scena che è ormai reso chiaro tutto. La rapina non è per il vile denaro, è un gesto di aperta ribellione. La volontà di soverchiare un sistema che annichilisce, rende dei molluschi senza spina dorsale.
La casa di carta è un gioiellino perché generalmente i rapinatori dovrebbero essere odiati. Eppure, dalla seconda puntata della prima parte, ti rapiscono, il cuore però. Non sono mai banali, sono degli adorabili disperati con una stranissima etica di fondo, che però è molto logica. Siamo rapinatori, ok, siamo fuorilegge, senz’altro, ma abbiamo il nostro onore. Mai tradire i propri fratelli banditi (Tokyo e Rio avranno la possibilità di farlo, ma non accadrà mai), mai uccidere. E poi, i rapinatori sono furbi. La polizia li seguirà fin dal principio. L’ispettore Raquel Murillo perderà la testa, letteralmente, per il Professore. Ma come darle torto? Si percepisce una nobiltà di fondo in questa rapina del secolo.
La casa di carta affascina anche perché è curata nei minimi dettagli. E i dettagli sono pochi, ma afferrano lo spettatore. I rapinatori indossano tute rosse, e una maschera di Dalì. E poi fanno indossare la stessa tuta agli ostaggi, e le relative maschere. Tutto per confondere la polizia. E ci riusciranno alla grande.
Non aspettatevi la cura riguardo l’indagine poliziesca. Alle volte, ci si chiede se sia il Professore troppo intelligente, o la polizia troppo stupida. Eclatante il caso di Alyson Parker. La ragazza è un ostaggio non da poco, figlia del diplomatico inglese che risiede in Spagna. I rapinatori propongono alla polizia, con la quale sono sempre in contatto per negoziare, il rilascio di otto ostaggi, meno Alyson. La polizia invece preferisce che sia rilasciata la sola ragazza, e gli altri ostaggi possono restare nella zecca. Questo sarà un dettaglio reso noto all’intera Spagna, che si chiede: può mai valere di più una vita sola, rispetto ad altre otto? Solo perché si è “figli di”?
Quel mix tra telenovela sentimentale (che piace tanto anche a noi italiani, in fondo), indagine poliziesca, film d’azione, rende La casa di carta destinato a rientrare tra le serie cult, malgrado la relativa ingenuità di fondo in alcuni tratti.
Aurora Scarnera