Luca Ragazzi e Gustav Hofer formano una coppia. Luca è romano, è un regista, attore e giornalista. Gustav è di origini altoatesine e ha studiato tra Vienna e Londra, ed è anche lui regista e giornalista. Insieme, Luca e Gustav hanno deciso di stendere la sceneggiatura e diventare registi del docu-trip Italy: love it or leave it. Risalente al 2011, il documentario si è meritato il premio al miglior lungometraggio e il premio del pubblico al Milano Film Festival 2011 e il premio della giuria giovanile all’Annecy cinéma italien.
Italy: love it or leave it e il viaggio on the road
Luca e Gustav vivono insieme a Roma. Luca ci è nato, ci ha vissuto, Gustav no. Gli affitti sono salatissimi. Un giorno, i protagonisti di Italy: love it or leave it ricevono una lettera di sfratto. Costretti ad andare via dalla propria abitazione, la coppia arriva ad un bivio amletico: lasciare o no l’Italia? Gustav vorrebbe andar via dal paese, ricordando al compagno che i loro amici in fondo l’hanno fatto tutti. Che i loro amici hanno formato una nuova famiglia, chi in Svizzera (in cui ci vive l’italianissima Sophia Loren), chi a Londra, Parigi, o addirittura in Nuova Zelanda. Quindi, perché non cambiare?
Gustav vorrebbe trasferirsi a Berlino, in fondo il ragazzo conosce bene anche il tedesco, parte avvantaggiato sotto il punto di vista linguistico. Luca è invece molto restio all’abbandono. Le radici di Luca sono ancora ben legate alla vecchia e stanca Italia. Da questo scontro di idee sul prossimo futuro, Luca propone a Gustav un programma: viaggiare per sei mesi dal nord al sud italiano. La volontà di Luca è quella di far cambiare parere a Gustav, incitandolo a non lasciare questo stivale ammaccato.
Affittando una bellissima 500 rosso fiamma, Gustav e Luca partono. Da Roma arrivano alla prima tappa: Piemonte. Conoscono una mamma single in cassa integrazione, che fa l’operaia Fiat e percepisce uno stipendio di mille euro al mese. Mille euro che volano, tra tasse, bollette, affitto e mantenimento del figlio e di sé stessa. La signora afferma che, tuttavia, la famiglia è un buon aiuto. Ma Gustav le risponde, un po’ triste, che non dovrebbe sostenerla in primis la famiglia, ma lo Stato. Che è spesso assente.
Il viaggio prosegue, e i ragazzi scoprono che l’ultima fabbrica Bialetti è ormai chiusa. I suoi operai ormai sono disoccupati. Le fabbriche dell’azienda Bialetti si sono spostate in Romania, secondo il principio dell’offshoring. Luca è in tensione: decide di convincere il tentennante Gustav prendendolo per la gola. In fondo, qual è la cucina migliore del mondo, se non quella italiana?
E anche qui casca l’asino. Perché la coppia ha un dialogo con un cittadino del profondo nord, il quale è convinto che l’orgoglio per il proprio cibo non sia solo italiano, che sia una prerogativa, quindi, di ogni paese. L’uomo aggiunge che lo slow food tipicamente italiano non trae sempre la farina dal suo sacco. Le arance che il signore usa, infatti, provengono da Rosarno, in Calabria.
Arrivati a Rosarno, i registi si scontrano con la dolente situazione di questa città. Come detto da Giuseppe Pugliese, incontrato dai registi a Rosarno, i lavori più umili, come anche il raccolto della frutta, viene fatto dagli immigrati. Sfruttati, che vengono tuttavia aiutati da associazioni come AfriCalabria, da sempre denunciatrice della loro situazione.
Tra una regione e l’altra, si approda poi in Lombardia. Quando si descrivono gli italiani di questa regione, in particolare il rapporto che intercorre fra gli intervistati e i registi, si toccano vette altissime di delirio politico. Gli anni di Italy: love it or leave it sono quelli in cui emergeva in superficie il marcio berlusconiano. Soprattutto riguardante scandali come il Bunga Bunga e il Ruby-Gate.
Procedendo lungo una scia di chiarissimo stampo anti – Berlusconi, Luca e Gustav incontrano Lorella Zanardo, scrittrice e autrice di “Il corpo delle donne”. La Zanardo conclude che il problema del mancato femminismo di quegli anni, anni in cui il corpo delle donne era mercificato al massimo da reti quali Mediaset, in primis, era la paura delle donne stesse di perdere l’approvazione maschile. E allora si taceva.
Si torna poi nel Sud, stavolta in Campania. Luca decide di iniziare a mostrare i lati positivi degli italiani: quelli ironici. Il 2011 era uno di quegli anni in cui la Campania ebbe modo di diventare regione bollente e gabinetto pubblico italiano. Gli anni dell’emergenza rifiuti, in buona sostanza.
Non tutti però scelgono la strada del silenzio, qualcuno parla. Qualcuno come l’attrice napoletana Loredana Simioli, che, amaramente, espone ai ragazzi che l’unico modo che ha avuto per far parlare dell’emergenza è stato quello dell’ironia. E che, nonostante tutti i problemi, non ce la fa a lasciare Napoli. “Perché, ragà, Napoli è troppo bella. Io sono napoletana ma entro ancora in certe strade … e non le conosco.” Un altro problema campano toccato dal documentario è quello della mancata raccolta differenziata, argomento trattato da Francesco Pacane, di Legambiente.
Proseguendo nel Sud, Luca e Gustav sostano per un bel po’ in Sicilia. La bella isola dev’essere l’ultima tappa del viaggio on the road. I ragazzi cosa faranno, alla fine? Luca non demorde, e fa conoscere a Gustav l’imprenditore Ignazio Cutrò. Questi ha sempre lottato contro il pizzo mafioso, che non ha tardato a farsi sentire. Cutrò è stato tuttavia ottimista e forte. Grazie al suo coraggio e testimonianze, ha permesso l’arresto dei mafiosi Luigi, Marcello e Maurizio Panepinto. Il documentario non l’ha potuto aggiungere, perché questo è successo solo nell’attuale 2018 … ma adesso, al signor Cutrò e alla sua famiglia è stata revocata la scorta. E adesso la famiglia Cutrò è in grave pericolo.
Conclude il momento siciliano lo scrittore Andrea Camilleri, deciso a sostenere chi non compie un esodo di massa. Un altro testimone importante contro la mafia e la ndrangheta è il sindaco di Capo Pizzuto, in Calabria. Il sindaco mette (come affermato da lei stessa) semplicemente in atto la legge. Evento unico in Italia, da sembrare quasi come una rarità. Eppure, il sindaco di Capo Pizzuto ha ricevuto tante minacce.
Tornati a Roma, la scena finale si svolge in un momento di ambiguità. Luca e Gustav stanno svuotando delle scatole, ma è per trasferirsi, lasciando l’Italia o semplicemente hanno cambiato casa? Il documentario si conclude con Luca che apre le finestre, e da lì si osserva uno spicchio di Roma.
Italy: love it or leave it e il dubbio amletico
La disoccupazione giovanile è un grave problema, che investe tutta l’Europa, ma in particolar modo l’Italia. Il senso di smarrimento, di angoscia e rassegnazione dei protagonisti di Italy: love it or leave it è quello di un’intera generazione. Che studia, lavora, eppure sente di essere sfruttata. Di non avere nulla in cambio, o di avere la metà di quanto gli spetta.
Gustav ha avuto il (dis)piacere di “interloquire” con delle odiose donne milanesi. Queste, avrebbero accusato Gustav di essere un comunista, di appartenere ad una generazione di nullafacenti, addirittura una di queste nonnine ha esplicitamente detto che “i giovani di oggi non capirebbero nemmeno come si toglie un dito dal culo”. Chapeau. Non lasciandosi stupire da cotanta raffinatezza, Gustav continua a chiedere ad una delle donne se fosse giusto che i loro nipoti debbano andare via per trovare lavoro. Le risposte sono più o meno le stesse, che recitano lo slogan: “siete nullafacenti, il lavoro non ve lo andate a cercare” e così via.
Disgustato da quanto sentito, Gustav e Luca concludono che l’Italia è un dinosauro. Un’antica nazione che campa sul passato, malinconicamente. Un paese che ha sfornato decine di grandi menti, ma che negli ultimi trent’anni ha solo fatto enormi passi indietro. Un’Italia che ammicca con occhio languido alle straordinarie bellezze, al profumato cibo e al buon vino, al presunto calore della gente.
Ma anche e soprattutto un’Italia in cui i vecchi non vogliono proprio lasciare posto alle nuove generazioni, giustificando ciò con la scusa che i giovani di oggi sono incapaci. Un’Italia in cui, colpa di più di vent’anni di berlusconismo, è approdato lo slogan “con la cultura non si mangia”, anche se l’Italia è andata avanti con la cultura per secoli. Insomma un paese bello, ma solo in superficie. Che di concreto non offre nulla, se non profondo avvilimento.
Ma perché lasciare la propria terra? Perché non lottare per cambiarla? Anche se si dovesse fallire, almeno non si è lasciato tutto alle spalle senza averci provato. Il messaggio finale di Italy: love it or leave it volge ad uno strano ottimismo. Cinico, rassegnato, ma pur sempre convinto che l’Italia, pur con delle meravigliose gocce in un mare malato, può ancora salvarsi e risplendere come prima.
Aurora Scarnera