Il 1994 è un anno segnato da avvenimenti drammatici, dal terremoto di Los Angeles al genocidio del Ruanda, passando per il suicidio di Kurt Cobain. Proprio da questa illustre morte, spesso interpretata come l’estrema conseguenza di quel disagio esistenziale e generazionale a cui alludono molti testi dei Nirvana, prende le mosse il romanzo L’anno della morte di Kurt di Silvia Roncucci.
Nonostante l’evento che funge da punto d’avvio della narrazione si verifichi negli Stati Uniti, le sue conseguenze si espandono fino a colpire anche l’Italia e precisamente Siena, terra nativa dei protagonisti e dell’autrice, oltre che teatro di gran parte degli eventi narrati nel libro. Il protagonista, Duccio Brogi, e la sua compagna di classe, Sara, sono infatti fortemente influenzati dalla musica grunge e dalla figura di Cobain, la cui morte avrà sulle loro vite effetti che nessuno avrebbe potuto immaginare.
Il romanzo, pubblicato nel 2018 dalla casa editrice La Ruota (Roma), non resta però confinato nei limiti cronologici imposti dal titolo, ma si sviluppa su due diversi piani temporali costantemente compresenti (collocati rispettivamente nel 1994 e nel 2014), consentendo al lettore di osservare le conseguenze a lungo termine delle scelte compiute dai personaggi oltre che il loro cangiante modo di giudicare il proprio passato e le proprie azioni.
L’anno della morte di Kurt è stato presentato a Napoli giovedì 12 luglio presso la libreria Io Ci Sto, sita in Via Domenico Cimarosa numero 20 (Napoli). Al fianco dell’autrice era presente Alessandro Ruffo, caporedattore de la COOLtura, in qualità di relatore, mentre l’accompagnamento musicale è stato curato da Zatarra.
L’anno della morte di Kurt: un atipico romanzo di formazione
L’anno della morte di Kurt è un romanzo poliedrico, che si presta a molteplici chiavi interpretative. La più immediata lo vede come un romanzo di formazione fortemente atipico, in cui l’inizio e la fine (almeno parziale) del processo di crescita del protagonista sono mostrati simultaneamente, permettendo di trarre fin da subito conclusioni normalmente possibili solo alla fine della narrazione. La domanda predominante diviene dunque “cosa?” piuttosto che “come?”: il lettore infatti conosce già come sarà Duccio da grande ma non cosa lo porterà a diventare così.
L’interesse per le vicende del protagonista non si regge però unicamente sulla curiosità, bensì sull’attenzione riservata ai molteplici modi in cui l’ambiente esterno incide sullo sviluppo dell’individuo. Dal rapporto con la sua famiglia a quello con l’intera società senese, ogni interazione di Duccio con il mondo viene scandagliata a fondo sottolineando anche l’importanza, non sempre immediatamente visibile, di eventi apparentemente trascurabili, ma in realtà destinati a dar vita a veri e propri turning point privi di ogni possibile ritorno.
Famiglia e società
Come accennato poc’anzi, famiglia e società sono i due principali elementi con cui Duccio si confronta nella costruzione della propria identità individuale. In entrambi gli ambiti il confronto porta a risultati sostanzialmente negativi, scatenando nel ragazzo reazioni di rifiuto e di allontanamento, che troveranno espressione nei testi della musica grunge.
La famiglia di Duccio è altamente disfunzionale (così come quella di Sara, anche se in modo diverso) e caratterizzata da una forte separazione interna tra i suoi componenti. Eccezion fatta per la positiva figura di zia Paola, Duccio appare privo di ogni modello di riferimento, costretto a convivere con un padre indifferente e incapace di capirlo, una madre perennemente sull’orlo di una crisi di nervi e una sorella totalmente assente. Sul nucleo familiare grava inoltre uno scomodo segreto con cui Duccio si troverà costretto a fare i conti.
La società senese degli anni ’90, anziché offrire al giovane una positiva alternativa alla famiglia, appare dilaniata da numerosi conflitti, nei quali Duccio si trova coinvolto suo malgrado. In primis lo scontro costante tra gli appartenenti ai ceti benestanti e quelli che invece ne sono esclusi, fatto di rancori, vendette e discriminazioni; in secondo luogo la sotterranea ma pervasiva lotta tra innovazione e tradizione.
Ad accompagnare il lettore in questo viaggio nei meandri della complessa e contraddittoria esperienza esistenziale di Duccio è lo stile veloce ed elegante di Silvia Roncucci, caratterizzato da periodi brevi e ben strutturati, descrizioni esaustive ma mai superflue e da un rapido alternarsi di sequenze riflessive e d’azione. Lo stile dell’autrice appare quindi perfettamente adeguato e funzionale nel determinare la più che felice riuscita di questo appassionante romanzo.
Alessandro Ruffo