Di ritorno da Troia, si sviluppano le ultime gesta dell’eroe: l’inganno di Nesso, la morte di Ercole e la resurrezione. Si chiude di fatto il ciclo eracleo.
Indice dell'articolo
La vendetta di Ercole contro Augia (quinta fatica)
Prima della morte di Ercole così avvennero questi avvenimenti.
Non molto tempo dopo il suo ritorno da Troia, Ercole dichiarò guerra ad Augia con il quale aveva in conto in sospeso. Egli doveva vendicarsi per aver fatto la spia ad Euristeo con la conseguenza di avergli fatto annullare la quinta fatica.
Nello scontro che nacque, Ificle, il germano di Ercole, fu ferito mortalmente e trasportato a Feneo; invece l’eroe cadde malato e fu costretto a fuggire e a chiedere riparo a Oleno, patria dell’amico Dessameno.
Quando ritornò a Tirinto, Euristeo accusò Ercole di tramare per impossessarsi del trono che Zeus stesso gli aveva affidato, così lo bandì dall’Argolide. Ercole con la madre Alcmena ed il nipote Iolao raggiunse Feneo per dare l’estremo saluto ad Ificle, oramai prossimo alla morte. Quivi organizzò un altro potente esercito, e, con l’aiuto del cavallo Arione, dono di Onco, dichiarò guerra ad Augia dove ebbe la meglio sull’esercito dell’Elide.
L’eroe uccise il re Augia ed i suoi figli, eccetto Fileo che lo mise al governo della regione. Il cavallo poi passò ad Adrasto che lo adoperò per la guerra dei Sette contro Tebe.
La conquista di Pilo e di Sparta
Successivamente Ercole dichiarò guerra a Pilo per vendicarsi di Neleo per non averlo purificato per la morte di Ifito.
Quivi Ercole si scontrò con gli dei che capeggiavano per la città della Messeria. Prima contro Poseidone su cui riuscì incredibilmente ad avere la meglio, clava contro tridente. Poi affrontò Ares riuscendo a ferirlo per ben due volte. L’eroe affrontò anche l’argonauta Periclimeno, il figlio maggiore di Neleo, il quale ebbe da Poseidone il dono di mutaforma; Ercole l’abbatté con molta difficoltà. L’eroe, vinta la guerra, affidò il regno a Nestore.
Ercole poi decise di attaccare anche Sparta per lo stesso motivo di cui sopra: il rifiuto di purificarlo per la morte di Ifito. Ma ci fu anche un altro motivo: vendicare la morte dell’amico Eono, massacrato dai figli del re Ippocoonte la cui colpa era quella di essersi difeso dall’aggressione di un cane molosso.
Riunito un piccolo esercito, Ercole raggiunse Tegea in Arcadia presso il re Cefeo che lo pregò di unirsi alla battaglia con lui ed i suoi venti figli.
Seppur a fatica, Ercole l’accontentò, ma l’esercito di Ercole subì perdite importanti ed anche le legioni di Sparta, tra cui il re, i suoi figli e molte persone di alto rango. La città comunque fu conquistata ed Ercole mise a capo della città Tindareo. Ritornò poi a Feneo dove dimorò per quattro anni.
Eneo, Acheloo e Deianira
A capo di un potente esercito arcade, Ercole si trasferì a Calidone dove il re Eneo convocò molta gente a palazzo per concedere a dei pretendenti la mano della figlia Deianira.
Tra i tanti pretendenti, oltre al semidio, c’era anche Acheloo, un dio fluviale dalla folta barba traboccante d’acqua e mutaforme in tre modi: uomo con testa di toro, semplice toro o serpente dalla pelle macchiettata.
Ercole si presentò dicendo sia di essere figlio di Zeus, quindi un ottimo partito per la casata di Calidone, sia colui il quale aveva svolto le dodici fatiche. Acheloo di contro sogghignò e provocò l’eroe offendendo sua madre Alcmena. Ercole così sfidò il dio in un combattimento che terminò con la vittoria del semidio. Acheloo perse un corno quando divenne toro per caricarlo.
Ercole e Deianira convolarono a nozze, dalla loro relazione nacque Illo e, dopo qualche anno, partirono a capo di un esercito coi calidoni contro la città di Efira dove egli vinse ed uccise re Fileo. Tre giorni dopo, il semidio s’infuriò con un giovane perché durante una cerimonia gli aveva schizzato dell’acqua sulle gambe anziché sulle mani: gli tirò l’orecchio con veemenza e l’uccise sbattendolo atterra con forza. Così i due furono costretti a lasciare la città ed a ritornare a Trachine.
La vendetta di Nesso
Nel loro ritorno, Ercole e Deianira raggiunsero il fiume Eveno dove incontrarono il centauro Nesso in funzione di traghettatore autorizzato dagli dei. Ercole caricò così Deianira sulla sua groppa mentre egli si limitò ad attraversare il fiume a nuoto.
Oltrepassata la riva opposta del fiume, l’eroe s’accorse che il centauro stava trasportando dapprima la donna lontano dalla costa per poi tentarle violenza. Ercole così recuperò tempestivamente arco e faretra per scoccare una freccia che si conficcò nel petto del centauro.
In punto di morte, Nesso disse a Deianira: “Se tu mescolerai il seme che ho sparso al suolo col sangue sgorgato dalla mia ferita e vi aggiungerai olio d’oliva, ungendo in segreto con questa mistura la camicia di Ercole, non avrai più da lagnarti per la sua infedeltà”. La donna ingenuamente credette a quelle parole: l’obiettivo del centauro era quello di causare la morte di Ercole
Ercole a Trachine
I due raggiunsero Trachine (Trachis in greco) dove si stabilirono per un po’ di tempo prima che Ercole dichiarasse guerra, con l’aiuto degli Arcadi, all’Ecalia per vendicarsi del re Eurito, perché egli si era rifiutato di concedergli la figlia Iole, da lui vinta in una gara col tiro con l’arco.
La guerra fu vinta subito, ed Ercole uccise tutti i parenti di Iole. La donna però preferì la morte anziché diventare sua schiava; così si tuffò da un alto muro, ma sopravvisse alla caduta perché la gonna si aprì al soffio del vento ed attutì la caduta. Iole fu così mandata a Trachine con altre donne. Deianira venne a sapere del motivo dell’ennesima impresa del marito, fare di Iole una sua concubina, aprendo di fatto l’idea di utilizzare l’intruglio, ignorando il fatto che il suo gesto avrebbe causato la morte di Ercole.
La tunica mortale di Ercole
Dopo aver innalzato altari di marmo e consacrato un bosco a Zeus a Ceneo, Ercole si preparò ad un grande sacrificio per ringraziare gli dei per la conquista dell’Ecalia. Mandò così un messo di nome Lica a Trachine per chiedere alla moglie di mandargli una camicia ed il mantello che egli indossava sempre in occasioni importanti.
Deianira così cosparse l’intruglio magico di Nesso nelle pieghe della veste del marito servendosi di un panno che poi gettò in giardino, lo chiuse in un cofanetto e lo diede a Lica dicendogli queste parole: “Per nessuna ragione esporrai questa camicia alla luce o al calore finché Ercole non la indosserà per il sacrificio”.
Lica così partì per Trachine con il cofanetto. Dopo poco tempo però, Deianira s’accorse di qualcosa che stava ardendo nel suo giardino e lanciò pesanti imprecazioni contro se stessa non appena s’accorse che quel panno aveva preso fuoco ed una schiuma rossastra ribolliva tra i ciottoli: Nesso l’aveva ingannata! Quel panno era sporco anche del sangue dell’Idra di Lerna il cui contatto era velenoso e mortale. Così ordinò ad un altro messo di precipitarsi per dissuadere il marito nel mettersi quell’abito, ma il messaggero arrivò tardi. La morte di Ercole si stava già consumando.
Ercole si stava preparando coi sacrifici all’altare con indosso la camicia quando improvvisamente, mentre stava per versare del vino in una coppa, avvertì un dolore immenso penetrargli nella carne corrodendola in poco tempo.
Ben presto il dolore divenne lancinante ed insopportabile. Ercole cominciò così a distruggere gli altari e a strapparsi la camicia di dosso, ma questa si unì con la sua pelle sino a penetrargli nelle ossa mettendole così a nudo; tentò di spegnere i bollori immergendosi nel fiume più vicino, ma vanamente; corse per i monti sradicando gli alberi; trovò Lica, gli fece prima giurare sulla sua innocenza e poi lo uccise.
Deianira venne a sapere della morte di Ercole e s’impiccò.
La morte di Ercole
Ercole, stremato dal dolore, convocò il figlio Illo, suo e di Deianira, e gli disse: “Giura sulla testa di Zeus che mi trasporterai sul più alto picco di questa montagna e lassù mi brucerai, senza lamentazioni, su una pira di legno di quercia e di tronchi di oleastro. Parimenti giura di sposare Iole non appena avrai raggiunto la maggiore età”. Il figlio giurò.
Quando fu tutto pronto, Iolao ed i suoi compagni si ritirarono a breve distanza, mentre Ercole saliva sul rogo funebre e dava ordine che vi fosse appiccato il fuoco. Nessuno però ebbe il coraggio di farlo sino a quando un tizio di nome Filottete si fece avanti. L’eroe per riconoscenza gli donò l’arco e le frecce che poi egli avrebbe utilizzato nel sacco di Troia. La morte di Ercole avvenne così.
L’ascesa all’Olimpo
“La parte immortale di Ercole è al riparo dalla morte, e ben presto sarà accolta in questo luogo benedetto. Ma se qualcuno si risentirà, sia dio o sia dea, dovrà pure approvarla, volente o nolente” così sentenziò Zeus e tutti gli Olimpi assentirono, anche Hera suo malgrado.
Dopo la morte di Ercole, sopra la pira funeraria s’abbatterono tantissime folgori che bruciarono la parte umana dell’eroe. Il resto della sua anima invece si diresse verso l’Olimpo accompagnata da Atena.
Ercole divenne così la dodicesima divinità olimpia. Varcò i cancelli dove divenne il custode,;sposò Ebe, la coppiera degli dei; infine divenne figlio adottivo di Hera la quale ebbe l’occasione per ringraziarlo per aver ucciso Porfirione, il gigante che tentò di violentarla durante la gigantomachia.
Marco Parisi
Bibliografia:
- Robert Graves, I miti greci, Longanesi e C.