Giacomo Leopardi rappresenta la figura letteraria principale dell’intero XIX secolo italiano. Nel film Il giovane favoloso il regista partenopeo Mario Martone omaggia e rende merito all’incomparabile genio artistico del poeta nato e vissuto a Recanati attraverso un’opera storico-biografica che ripercorre nell’arco di 137 minuti le svariate tappe di vita professionale e privata del protagonista, interpretato dall’impeccabile Elio Germano, astro emergente del cinema di casa nostra, calatosi magistralmente nelle movenze fisiche sgraziate e tormentate del Leopardi, così stonanti dinanzi alla sua grazia poetica. Il giovane favoloso compie la sua prima apparizione ai botteghini il 16 ottobre 2014, ottiene 5 David di Donatello e un premio ai Globi d’oro. Incassò durante le prime otto settimane di programmazione nelle sale cinematografiche oltre 6 milioni di euro.
Il film viene definito dalla critica “un’opera erudita sulla sensibilità postmoderna che pone il sommo poeta Leopardi fuori dal proprio tempo“. Presenti nel cast, oltre l’attore protagonista Elio Germano, anche Mario Riondino ed Anna Mouglais. Da apprezzare particolarmente costumi e fotografia, tanto da rammentare in alcuni frangenti Paolo Sorrentino al quale Martone pare essersi lievemente ispirato. L’opera è girata tra Recanati, Firenze, Roma ed infine Napoli, terra originaria dello stesso regista.
Il giovane favoloso che sbirciava oltre la siepe dell’animo umano infinito
Le scene iniziali inquadrano il piccolo Giacomo giocare in compagnia dei due fratelli nei pressi di un giardino vicino un’austera abitazione. Durante quei semplici momenti di svago appare una siepe, dinanzi la quale il futuro poeta prova a sbirciare cercando di gettare visivamente e metaforicamente il suo sguardo oltre quella stessa siepe, oltrepassando le mere apparenze del viver quotidiano, preludio della visione poetico-esistenziale leopardiana che verrà, nonché evidente testimonianza della precocità già insita nel sensibile animo del “fanciullino leopardiano”.
Il protagonista cresce sotto l’inflessibile egida del padre, perennemente rinchiuso dentro la sua casa-biblioteca dedito ad uno studio “matto e disperato”; fagocita libri, traduce opere antiche, scrive poesie. Leopardi vive isolato nei libri sognando la libertà dalla prigionia paterna, tenta la fuga grazie all’ottenimento di un falso passaporto, ma il padre sventa il suo tentativo di ribellione. Osserva sovente, affacciandosi dalla finestra dello studio dove trascorre gran parte della giornata, la figlia del cocchiere, alla quale anni più tardi dedicherà il celebre componimento “A Silvia”. L’adolescenza del giovane Giacomo trascorre così lenta, ripetitiva e tormentata dall’angoscia. Intanto iniziano i primi tormenti fisici che lo condurranno a dover affrontare un’esistenza in lotta con le continue malattie del corpo e dell’animo suo.
Improvviso sbalzo temporale, ritroviamo il protagonista vivere a Firenze in compagnia dell’inseparabile amico-collega Antonio Ranieri, che rappresenta quasi una sorta di alter ego leopardiano. Qui incontra e si invaghisce della bellissima Fanny; ella però non ricambia il suo timido amore, preferendo a lui l’intima compagnia del più smaliziato Ranieri. Il circolo letterario di Firenze, pur constatando le qualità del poeta proveniente da Recanati, teme assai la sua mentalità rivoluzionaria, restia alla cultura accademica conservatrice di inizi Ottocento.
Il pessimismo
Il giovane favoloso resta così paradossalmente isolato anche nella città d’arte e cultura per eccellenza, malvisto dai propri colleghi, tacciato a vita di “pessimismo”, che egli non esita a definire soltanto vuota parola, mero verbo e null’altro, a dimostrazione di quanto il sommo poeta sia riluttante ad esser catalogato e bollato come un pessimista perenne. Egli pretende donare al lettore una visione universale del mondo, ancor meglio dell’infinito, seppur in preda alle ineluttabili incertezze dello umano essere. A domanda: in cosa consiste il vero? Il vero consiste nel dubbio. Appunto, Leopardi mal sopporta vecchie ideologie sulle quali poggia uno società da lui considerata obsoleta e legata a ideali ormai stereotipati.
Naufragar m’è dolce nel Vesuvio
L’atto finale de Il giovane favoloso, dopo un rapido passaggio a Roma ha vita a Napoli, dove il poeta decide di recarsi; qui è in compagnia del fidato Antonio Ranieri, tra vicoli popolari, Vesuvio e culture distanti assai da quel mondo accademico-borghese ormai avviso al protagonista.
La mutazione fisica, dovuta alla malattia e ai segni sul corpo dello studio matto e disperato, giunge ineluttabile alla fine. Leopardi è ingobbito, perennemente stanco, cammina grazie all’appoggio di una bastone e dell’amico Antonio, inoltre è frequentemente allettato causa colera e atroci dolori al petto.
Nonostante ciò riesce a darsi forza recandosi di notte presso i tortuosi vicoletti bui di Napoli alla ricerca di “dolce compagnia“, ma qui viene tristemente deriso dalle meretrici del posto.
Non perde mai la propria auto-ironia anche in punto di morte definendosi e presentandosi come uno “ianaruottolo“; tradotto dal dizionario napoletano-italiano significa un ranocchio, causa la postura curva ormai assunta stabilmente dal suo scheletro ingobbito ricurvo su se stesso.
Un plauso doveroso tocca fare ad uno dei più talentuosi giovani attori italiani, Elio Germano, il quale si fonde tutt’uno col personaggio assumendo davvero fattezze e movenze di leopardiano stile. La scena conclusiva de Il Giovane favoloso vede Giacomo Leopardi affacciarsi dalla propria casa partenopea ad ammirare tutta la magnificenza del Vesuvio, ideale fonte ispiratrice delle ultime opere composte dal sommo poeta, quasi a voler rasentare pace ed accettazione dello umano animo dinanzi all’ignoto dubbio celato nella eterno incertezza esistenziale intrisa di “Infinito”.
Davide Gallo