Nel 2010 Ascanio Celestini lancia il suo film “La pecora nera” tratto dall’omonimo libro scritto dallo stesso Celestini. Il regista italiano è anche l’attore principale. Nel cast, un bravo Giorgio Tirabassi (Nicola) e Maya Sansa (Marinella). Celestini è nato a Roma, ed è cresciuto in periferia. Dopo aver conseguito la maturità classica, si iscrive a lettere, per poi cimentarsi nel teatro negli anni ’90. Drammaturgo, attore e regista, Celestini ha consacrato la sua carriera da regista proprio con La pecora nera, presentato alla 67esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia e vincitore del Premio Speciale della Giuria dell’Annecy cinéma italien e del Ciak d’oro 2011 quale Miglior Opera Prima.
La pecora nera: l’emarginazione di un “matto”
Ascanio (Ascanio Celestini) è un bambino dall’infanzia profondamente infelice. Sua madre è ricoverata in un manicomio, suo padre è prepotente e burbero. Ascanio trascorre buona parte del suo tempo con la nonna, una contadina naif che corrompe letteralmente il preside e gli insegnanti di Ascanio per non farlo bocciare, con le uova prodotte dalle sue amate galline. Ascanio è un bambino eccentrico, ma nulla di grave per la sua età. È un po’ timido, adora i marziani e pensa costantemente alle “donne che leccano gli uomini”.
Cresce nella campagna romana, agli inizi degli anni ’70. È innamorato di Marinella, una innocente e sensibile bambina chiamata da Ascanio “la madonna tascabile” per quanto è dolce. Il piccolo ha anche due amici, uno grassottello che adora la magia, e uno magro e allampanato. Quando Ascanio frequenta ancora le elementari, sua madre muore, circondata dalle suore, nel manicomio.
Ascanio finirà anche lui al manicomio. In un luogo chiuso, solo, senza nessuno. Nessuno lo viene a trovare. L’unica attività della sua giornata è fare la spesa, e la fa ogni giorno, con la suora. Ascanio ha un amico immaginario: Nicola (Giorgio Tirabassi). Insieme, contano quante puzze fa la suora petomane, quando passeggia nel manicomio. Ascanio è ancora molto innamorato di Marinella, che lavora nel supermercato ed è sempre molto gentile con lui.
Il film scorre in modo lento, tuttavia fluido, che si concentra più sui dialoghi e sui monologhi che su una vera azione. Nella pellicola, Ascanio alterna mini dialoghi a monologhi, canzoni cantate in modo intonato, suoni onomatopeici (pio pio) che ben rendono il mondo interiore di un emarginato. Il protagonista sottolinea spesso che è nato “nei favolosi anni ‘60”. Che di favoloso hanno ben poco, però, in questo film. Sono gli anni in cui per poco si entrava in un manicomio, bastava essere leggermente fuori dal comune.
Il film si alterna con vari flashback: Ascanio da piccolo è interpretato da un bravo Luigi Fedele. Il piccolo Ascanio conclude la scena finale del film, che ha qualcosa di Fight Club. Ascanio ed altri due amici cercano di scavalcare il cancello del manicomio, ripercorrendo la barzelletta iniziale della pellicola. Quella in cui tre amici dovrebbero scavalcare 100 cancelli per scappare dal manicomio, ma arrivati al 99esimo, si fermano. Dopo aver scavalcato il cancello però, Ascanio viene adescato da una suora, e nel manicomio ci resta.
I monologhi e i dialoghi del film sono meravigliosi, e molto commoventi. Si sente la mano del teatro. Soprattutto nel monologo finale, di un anziano nel manicomio. “Come è possibile, mi domando a volte, camminare sui prati verdi e avere l’animo triste … essere immersi nel caldo del sole, mentre tutto all’intorno sorride, e avere l’angoscia nel cuore? Lasciate a noi le vostre tristezze, a noi che non possiamo andare sui prati, e non vediamo mai il sole.” Semplicemente struggente. La tristezza di queste persone dimenticate da Dio e dal mondo, dai propri familiari e dalla propria sanità mentale, lasciati andare al proprio dolore è palpabile, ed è crudele. Un ottimo esordio, quindi, per un bravo attore, drammaturgo e regista che con sensibilità e delicatezza ha trattato un tema così atroce.
Aurora Scarnera