La Germania del primo dopoguerra, che fu battezzata come la Repubblica di Weimar, nacque debole e incapace di disinnescare le tensioni sociali. Nonostante ciò, quegli anni furono caratterizzati da una grande fioritura culturale. Gli intellettuali sentivano di appartenere a una nuova epoca, che però non preludeva a un nuovo senso di sicurezza e consapevolezza; ma anzi fu terreno fertile per gesti e pensieri sanguinosi. Proprio la cultura e gli intellettuali – di cui ci si chiede se fecero abbastanza – furono i primi nemici del nazismo. Ma Hitler e Goebbels riuscirono davvero a silenziare il potere della penna?
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La Repubblica di Weimar: una fragile costruzione
Dopo la Grande guerra, la linea punitiva dei trattati di pace avrebbe provocato nuove instabilità invece di garantire la pace. La Repubblica di Weimar, dilaniata dalle conseguenze della guerra, vedeva crescere la tensione sociale e il desiderio di rivendicazione di quelli che più avevano sofferto.
Brecht, nelle note a Leben des Galilei (Vita di Galileo), riferendosi al contesto in cui era nata l’opera, ammoniva sul rischio della convinzione di trovarsi alle soglie di un’epoca nuova. Terribile è il disinganno degli uomini quando scoprono che l’epoca nuova non sorgerà, essi ne soffrono e il passato si vendica su di loro:
Chi era oppresso e sfruttato, una volta soffocata la sua rivolta, diventa un sovversivo, condannato a speciali pene e repressioni.[1]
Infatti, il governo provvisorio dell’SPD (Partito socialdemocratico) affrontò le tensioni sociali attraverso un’alleanza inconciliabile e insostenibile con i Freikorps[2], che nel 1919 repressero l’insurrezione di Berlino guidata dal KPD (Partito comunista) e dallo Spartakusbund[3], assassinando Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht[4].
Pochi giorni dopo si tennero le elezioni. A Weimar, città di Schiller, Goethe e Liszt, l’assemblea costituente varò la Costituzione più innovativa e progressista del tempo. Ma, secondo Golo Mann:
Essa si basava sul principio che nella storia tedesca recente lo Stato autoritario si era compromesso, non il popolo; che ora dunque si doveva eliminare del tutto lo Stato autoritario e basarsi sul popolo. Essa riteneva il popolo capace di tutto […]. Il vecchio Stato autoritario era scomparso, dopo un lungo deperimento e un lungo scolorimento. Ormai il popolo doveva essere sovrano di sé stesso, senza competere con altre autorità. Poteva esserlo nella situazione in cui lo lasciava lo Stato autoritario, scomparendo? Se non lo poteva, da chi avrebbe preso ormai le direttive?[5]
La Repubblica di Weimar nasceva nel sangue, debole e incapace di disinnescare le tensioni sociali di un paese straziato dalla crisi e diviso da un duro scontro di classe.
Fervore culturale e ambiguità
Nonostante la crisi e le tensioni (o forse proprio per queste), la Repubblica di Weimar fu caratterizzata da una grande fioritura culturale: da Thomas Mann a Bertolt Brecht, da Otto Dix a Walter Gropius, da Kurt Weill a Fritz Lang. L’arte di Weimar, che in seguito sarebbe stata denunciata come “Entartete Kunst” (“arte degenerata”), fu soprattutto moderna perché quelli che la fecero sentivano di appartenere a una nuova epoca. La guerra aveva scavato un abisso enorme tra loro e il passato e questo appariva come una liberazione e una sfida, ma ciò non significava che la gioventù tedesca avesse raggiunto un nuovo senso di sicurezza e consapevolezza. Klaus Mann ammetteva:
Noi siamo una generazione che ha, per così dire, in comune una sola cosa: la perplessità. Infatti non abbiamo ancora trovato uno scopo per cui unirci in uno sforzo comune, anche se tutti partecipiamo alla ricerca di esso.[6]
La liberazione della gioventù tedesca tendeva dunque a trasformarsi nel disorientamento della gioventù tedesca! Per molti, lo scopo per cui unirsi sarebbe risultato ancora una volta il nazionalismo e la barbarie della guerra, che avrebbero segnato la fine per la Repubblica di Weimar. Nessuno parafrasò queste ambiguità meglio del padre di Klaus, Thomas, in Der Zauberberg (La montagna incantata).
Ascesa e trasversalismo del regime
Nel 1929, dopo un periodo di apparente stabilità politica e ripresa economica drogata dal Piano Dawes, la scia del crollo di Wall Street segnò l’inizio della fine per la Repubblica di Weimar. Il paese ripiombò nella crisi economica e istituzionale e cominciò l’era dei gabinetti di nomina del presidente von Hindenburg, che preludevano al cancellierato di Hitler.
Al momento della conquista del potere, il partito nazionalsocialista non costituiva un blocco omogeneo. All’inizio, nelle sue schiere c’era una parte di coloro che avevano sostenuto la rivoluzione spartakista:
Coloro in cui non si è spenta la forza di agire per i propri ideali, la volgono ora contro quegli stessi ideali! Non c’è reazionario più implacabile dell’innovatore fallito.[7]
Accanto a questa pseudo-sinistra che auspicava una cosiddetta “seconda rivoluzione”, v’era una destra che si atteggiava a garante dell’ordine sociale. È proprio la contraddittoria coesistenza tra il “nazionale” e il “sociale” a offrire una chiave di lettura delle ambiguità di quel tempo. Due ideologie palesemente in antitesi, se giustapposte, danno vita a un sistema insieme demagogico e conservatore, che trova largo eco in una disorientata classe media. Quest’ultima facilmente abbandona i partiti democratici, abbracciando la cinica speranza di riconquistare dignità strappandola sia al proletariato sia al grande capitale. Avvenne che l’auspicio dell’epoca nuova riapparì sotto un’altra forma, più oscura e pericolosa:
In questi tempi il concetto stesso di novità viene falsato. Il vecchio e il decrepito si affacciano sulla scena e si spacciano per novità, o tali sono proclamati se vengono imposti in maniera nuova. E ciò che è effettivamente nuovo, essendo oggi condannato, viene dichiarato cosa di ieri, svilito a moda effimera, che ha fatto il suo tempo.[8]
Così, le speranze degli uomini vengono ritorte in senso contrario. È la barbarie stessa ad atteggiarsi a epoca nuova.[9] Si diffondono le tenebre su un mondo delirante, attorniato da gesti e pensieri sanguinosi.
L’urgenza di sfregare il fiammifero e la necessità della resistenza
Quando la grande biblioteca di Alessandria andò in fiamme, i primi diecimila anni di storie furono ridotti in cenere; ma quelle storie in realtà non perirono mai, si trasformarono in una storia nuova: la storia dell’incendio stesso, dell’urgenza dell’uomo di prendere una cosa bella e sfregare il fiammifero.[10]
I nazisti si proclamavano portatori di un cambiamento e di una nuova cultura, che si rifaceva alle antiche saghe nibelungiche mistificate ad hoc, scomodando e rivoltando dalla tomba due come Wagner e Nietzsche. Come la pira funebre di Sigfrido purifica dalla maledizione, allo stesso modo il fuoco vuole far da battesimo al regime e dunque si organizza il “Bücherverbrennung” (“rogo dei libri”). Il ripudio della cultura e dell’intellettualità sta alla base di tutti i fascismi:
Nel Bavarese la gente parlava dell’ “imbuto di Norimberga”, col quale nei cervelli delle persone di non troppo viva intelligenza venivano immesse più o meno a forza grandi quantità di nozioni, una specie di clistere intellettuale, che non le rendeva più intelligenti. Anche se uno aveva “trangugiato la scienza col cucchiaio”, la cosa era considerata innaturale. I colti – e anche su tale parola grava questa fatale passività – parlavano di una vendetta degli incolti, di un odio innato contro l’intelletto; e in effetti il disprezzo si mescolava spesso all’animosità; nei villaggi e nei sobborghi l’intelletto era considerato con sospetto, perfino con ostilità.[11]
La Repubblica di Weimar moriva a Berlino, quando Goebbels applaudiva alla fine dell’intellettualismo e all’inizio di una nuova era, un’era di coraggio e di rinascita della fenice dalle macerie della democrazia. Così scrisse Brecht, in Die Bücherverbrennung (Il rogo dei libri), una poesia che è risposta agli eventi di Opernplatz:
Quando il regime ordinò che in pubblico fossero arsi
i libri di contenuto malefico e per ogni dove
furono i buoi costretti a trascinare
ai roghi carri di libri, un poeta scoprì
– uno di quelli al bando, uno dei meglio – l’elenco
studiando degli inceneriti, sgomento, che i suoi
libri erano stati dimenticati. Corse
al suo scrittoio, alato d’ira, e scrisse ai potenti una lettera.
«Bruciatemi!», scrisse di volo, «bruciatemi!
Questo torto non fatemelo! Non lasciatemi fuori! Che forse
la verità non l’ho sempre, nei libri miei, dichiarata? E ora voi
mi trattate come fossi un mentitore! Vi comando:
bruciatemi!»[12]
C’è da chiedersi se fare resistenza scrivendo una poesia, un testo teatrale o un romanzo e poi fuggire a Praga come fece Brecht fosse bastato. C’è da chiedersi quanto noi, con tutte le differenze del caso, resistiamo oggi. Al di là di tutto, possiamo almeno convincerci del fatto che i libri, le storie e la Storia quasi sempre sopravvivono, e questa è una cosa buona. In quei giorni – tra gli altri – bruciarono i libri di Hesse, Mann, Benjamin e dello stesso Brecht. I nazisti non sapevano che, proprio dandole alle fiamme, avrebbero consacrato quelle pagine a capisaldi della moderna cultura occidentale – «Anche nei tempi bui | si canterà? | Anche si canterà. | Dei tempi bui.»[13] – e che non avrebbero potuto fermare il potere della penna: ordigno più potente di tutti, quando impugnato nel modo giusto. Dei tempi bui, quelle pagine sarebbero potute essere monito.
Nicola De Rosa
Note
Tony Servillo recita A chi esita di Brecht, dal film Viva la libertà: https://www.youtube.com/watch?v=FUVlKmHttd0&t=12s
[1] Le note a Vita di Galileo non furono riviste e pubblicate da Brecht, qui viene riportata una traduzione nella forma non riveduta.
[2] Formazioni armate che rispondevano alle alte gerarchie dell’esercito.
[3] Movimento marxista rivoluzionario riconducibile al KPD.
[4] Erano i due leader del movimento spartakista.
[5] G. Mann, Storia della Germania moderna, 1789-1958, Garzanti, Milano, 1978.
[6] Da G. Craig, Storia della Germania, 1866-1945, Editori Riuniti, Roma, 1983.
[7] Vedi nota 1.
[8] Idem.
[9] Idem.
[10] Les Écorchés, st. 2 ep. 7 di Westworld, diretto da N. Kassell, scritto da J. Goldberg e R. Fitzgerald, interpretato da A. Hopkins, HBO, 2018.
[11] Vedi nota 1.
[12] B. Brecht, Poesie, Einaudi, Torino, 2014, a cura di G. D. Bonino.
[13] Idem.