Neoconservatorismo è un termine diventato molto popolare soprattutto nei primi anni 2000. Con il termine “neocon”, forma abbreviata di “neoconservatori”, ci si riferisce solitamente agli intellettuali statunitensi cui viene attribuita la paternità della discussa politica estera praticata dal loro Paese dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. In realtà, questa visione è del tutto fuorviante. Di neoconservatorismo, infatti, si può parlare sin dai tempi della guerra del Vietnam, e alla sua influenza possono così essere ricondotti anche eventi antecedenti rispetto al 2001, come l’invasione statunitense di Panama o il primo conflitto del Golfo.
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Le origini del neoconservatorismo
Storicamente, i neoconservatori nascono, come detto, durante il dibattito che lacerò la società degli Stati Uniti in occasione della controversa guerra del Vietnam. Un gruppo di intellettuali e politici, originariamente di orientamento democratico, delusi dal pacifismo della loro area di partito si avvicinarono a posizioni molto somiglianti a quelle della Destra repubblicana. Ebbe origine, così, quel neoconservatorismo che ha tanto influenzato la politica degli Stati Uniti e, di conseguenza, anche quella mondiale. Il prefisso “neo” sta a differenziare questa dottrina dal conservatorismo tradizionale. Esse divergono, infatti, in almeno due ambiti.
Il neoconservatorismo in politica estera
In politica estera, il termine neoconservatorismo ci fa pensare immediatamente all’interventismo di presidenti come i due Bush e, prima ancora, Reagan. Questo a differenza del conservatorismo classico che, invece, specialmente nella storia degli Stati Uniti, era sempre stato sinonimo di isolazionismo.
I neoconservatori, però, criticano questa visione, ritenendo che il potenziale economico-militare del loro Paese non debba restare utilizzato. Esso dovrebbe, invece, essere messo al servizio dell’utopia, già promossa a suo tempo dal presidente Wilson, di “rendere il mondo un posto sicuro per la democrazia”.
Il compito degli Stati Uniti, dunque, è quello di combattere attivamente i regimi tirannici in giro per il mondo. Come si vede, si tratta di una combinazione, solo in apparenza contraddittoria, di realismo e idealismo. Non a caso, il succitato presidente Woodrow Wilson era un democratico e i neocon si descrivono spesso come “wilsoniani”.
Naturalmente, ça va sans dire, per molti questa teoria non fa altro che coprire di un velo di retorica idealista gli interessi espansionistici degli Stati Uniti. Pensiamo solo, ad esempio, all’ondata di proteste che accompagnò la discussa invasione dell’Iraq nel 2003. I neocon, tuttavia, si scontrano con questa visione, ritenendo che il pacifismo esasperato comporti il rischio di restare inerti di fronte alla tirannia. Ricordiamo che essi nacquero durante la guerra in Vietnam, proprio rimarcando come l’opposizione a quel conflitto avrebbe potuto condurre alla lacerazione della società statunitense e, quindi, alla possibilità di una vittoria comunista.
Cultura e società secondo il neoconservatorismo
L’idea appena espressa è ripresa dalle tesi di una serie di autori considerati i precursori del neoconservatorismo. Tra di essi spiccano Tucidide, Tocqueville, ma soprattutto il discusso filosofo Leo Strauss. Quest’ultimo aveva una visione che potrebbe sembrare contraddittoria: per salvaguardare la democrazia è necessario fare qualunque cosa, anche atti antidemocratici come la disinformazione o, appunto, l’aggressione armata. Strauss motivava questa sua tesi portando l’esempio del crollo della repubblica di Weimar, che aveva vissuto personalmente: un liberalismo eccessivo può dare spazio alla nascita di regimi tirannici come quello nazista. Di conseguenza, anche se sembra un paradosso, per salvaguardare la libertà, bisogna comprimerla entro certi limiti.
Questa visione anima le tesi del neoconservatorismo riguardanti la cultura e la società. Esso, infatti, critica apertamente il relativismo e la perdita di valori che hanno investito l’Occidente. I suoi primi autori, che scrivevano negli anni ’70, si scagliavano in particolare contro l’eccessiva liberalizzazione seguita ai moti del 1968.
Oggi, invece, uno dei loro bersagli tipici è il multiculturalismo, e la perdita di identità che esso potrebbe comportare. Non a caso, secondo Strauss la democrazia, per sopravvivere, ha bisogno di una chiara definizione di ciò che è bene, e per lui questa parola era incarnata semplicemente dalla civiltà occidentale. Pertanto, il neoconservatorismo è spesso investito dall’accusa di essere uno dei principali ispiratori dei movimenti xenofobi in crescita nelle nostre società.
L’economia secondo il neoconservatorismo
L’aspetto economico del neoconservatorismo è, infine, quello dove si può vedere la seconda differenza fondamentale con il conservatorismo classico. Se, infatti, quest’ultimo è rigidamente liberista, cioè ritiene che lo Stato non debba intervenire nell’economia, il primo non condivide questa visione. Secondo i suoi teorici, infatti, il capitalismo sfrenato può condurre a diseguaglianze troppo marcate, con conseguenti tensioni sociali e conflitti di classe. Inoltre, esso può stimolare il parassitismo e la nullafacenza, provocando quel rilassamento dei costumi cui, come abbiamo già detto, il neconservatorismo si oppone decisamente.
Pertanto, esso ammette la necessità di alcune politiche sociali come la tassa sul reddito o il finanziamento della spesa a debito. Tuttavia, esso nega decisamente che il welfare debba livellare le differenze sociali o arrivare al punto da compromettere il valore dell’iniziativa privata. Per il neoconservatorismo, le istituzioni devono assicurare uguali opportunità, non uguale reddito. Da qui la sua associazione con il neoliberismo da parte del grosso pubblico.
Francesco Robustelli
Bibliografia
Jedwloski, Il mondo in questione, ed.Carocci, 2003
Fonti media
L’immagine di copertina è ripresa da www.politico.com