Le idee della geopolitica, che abbiamo descritto nei due articoli precedenti, caddero nel discredito dopo la seconda guerra mondiale a causa del supposto legame tra la disciplina e l’espansionismo nazista. Fu solo negli anni ’80 che essa tornò alla ribalta, ma in un modo diverso: divenne, infatti, bersaglio della decostruzione operata dalla geopolitica critica.
Questa nuova prospettiva, lo dice il nome, nasceva con lo scopo, ancora attuale, di confutare le grandi narrazioni geopolitiche. Nella sua visione, infatti, esse sono solo funzionali al perseguimento di precisi interessi politici, piuttosto che strumenti di conoscenza.
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L’ideologia delle rappresentazioni geografiche
Che la teoria dell’Heartland di Mackinder sia una rappresentazione del mondo piuttosto discutibile, al giorno d’oggi, sembra estremamente chiaro. La geopolitica critica, però, vuole far notare che, in realtà, qualunque modello geografico è una costruzione ideologica. Un esempio? Si guardi l’immagine di copertina. A sinistra, abbiamo l’Africa e la Groenlandia così come appaiono su un normale planisfero. Come si può vedere, esse sembrano avere più o meno la stessa grandezza. Nella realtà, invece, come ci mostra l’immagine di destra, il continente nero è circa quattordici volte più grande.
La rappresentazione sproporzionata della Groenlandia cui siamo abituati è dovuta all’adozione di una precisa prospettiva geografica, la cosiddetta proiezione di Mercatore. Essa, introdotta dall’omonimo cartografo fiammingo, vissuto nel XVI secolo, dilata le terre emerse con l’aumentare della latitudine. Ne risultano una serie di proporzioni distorte che penalizzano, non a caso, i Paesi dell’emisfero australe.
Anche senza addentrarsi in discorsi tecnici, basterebbe uno sguardo veloce per rendersi conto della prospettiva ideologica. La Terra ha quasi la forma di una sfera, pertanto la sua superficie non può avere un centro. Perché, allora, un qualunque planisfero vi colloca, convenzionalmente, l’Europa? Nulla vieterebbe, come possiamo vedere nella foto a sinistra, di assegnare tale posizione all’Estremo Oriente. Di fatto questo dimostra che la tradizione geografica occidentale è fortemente etnocentrica. Si tratta di una prospettiva che la geopolitica critica cerca di denunciare.
I tre tipi di geopolitica
Oltre alle rappresentazioni cartografiche, anche le rappresentazioni ideologiche sono tra i bersagli prediletti della geopolitica critica. Si tratta di visioni del mondo che costruiscono intere aree in base ad etichette generaliste.
Nell’articolo sul postcolonialismo abbiamo trattato del saggio Orientalism di Edward Said, in cui egli denuncia l’immagine, tipicamente europea ed occidentale, di un Oriente barbaro e arretrato. Concetti similmente ideologici potrebbero essere, oggi, il Terzo Mondo o “l’asse del male” di Bush jr. Abbiamo trattato entrambi negli articoli precedenti, ben evidenziando la loro natura molto discutibile. Questo è proprio un esercizio di geopolitica critica. Per usare le parole di uno dei suoi massimi rappresentanti, Gearóid Ó Tuathail, la geopolitica, ironicamente, non è né geografica né politica.
Non è geografica perché ad una corretta indagine scientifica sostituisce una categorizzazione generalista, e non è politica perché, come abbiamo visto, ignora completamente lo studio dei processi politici, preferendo narrazioni pseudo-biologiche sulla “naturale” conflittualità tra gli Stati.
La geopolitica critica, individua, in particolare, tre ambiti di produzione della geopolitica. Il primo, la geopolitica formale, si riferisce alle grandi teorie della disciplina. Rientrano in questa categoria tutte le teorie che abbiamo esaminato finora, da Ratzel a Bush jr. Il secondo aspetto, la geopolitica pratica, indica per l’appunto la “messa in pratica” di tali tesi per perseguire determinati interessi politici. L’ultimo ambito, infine, quello della geopolitica popolare, riflette la penetrazione, da parte delle idee della geopolitica, nella cultura popolare. Questo è uno dei terreni di indagine più fertili della geopolitica critica: Painter e Jeffrey, ad esempio, fanno riferimento a opere come Capitan America o i film di James Bond. Grazie ad essi, le grandi narrazioni, di cui sopra, escono dal mondo accademico e fanno breccia nell’opinione pubblica.
Dalla geopolitica critica all’antigeopolitica
La geopolitica critica negli ultimi anni è stata anch’essa oggetto di critiche. Una nuova corrente, infatti, chiamata antigeopolitica, ha evidenziato come perfino nella sua tradizione ci fossero importanti omissioni. La prima, e più importante, è la generale poca attenzione rivolta alle narrazioni alternative a quelle della geopolitica. Spesso, infatti, le tesi dominanti, lungi dall’essere accettate passivamente, sono sfidate e contestate. La geopolitica critica, tuttavia, spesso dimentica di dare spazio a tali ipotesi anticonformiste, suggerendo di fatto l’idea che alla teorie della geopolitica non esista alternativa.
La seconda lacuna grave nella tradizione della geopolitica critica è, invece, per l’antigeopolitica, il fatto che essa mantenga una prospettiva maschilista proprio come la geopolitica. Dimentica, infatti, di dare spazio alle teorie delle donne o di correnti femministe. Questa scarsa considerazione si rivela essere grave, laddove la prospettiva femminista riesce a proporre tesi radicalmente diverse da quelle dominanti, che danno importanza a processi e attori completamente nuovi.
Francesco Robustelli
Bibliografia
Painter, Jeffrey, Geografia Politica, ed.SAGE Publications of London, 2009, it.UTET, 2011.
Sitografia
Fonti media
L’immagine di copertina è ripresa da thetruesize.com