Benché l’argomento sembri riferirsi piuttosto alla geografia urbana, a coniare il termine gentrification fu, in realtà, una sociologa: l’inglese Ruth Glass nel 1964. Già solo questo dato ci fa capire l’antichità e l’importanza del fenomeno, che caratterizza numerose città del mondo occidentale. Oggi, poi, con l’imporsi progressivo di un’economia neoliberista, esso è tornato ad intensificarsi. Ma di cosa si tratta esattamente?
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Dalla suburbanizzazione alla gentrification
La parola gentrification è chiaramente collegata al termine inglese “gentry”, che indica le “famiglie di elevata condizione sociale (ma non nobili)”, come leggiamo sul dizionario. Il verbo gentrify, di conseguenza, vuol dire “dare un tono signorile” a qualche cosa. Esso è usato per antonomasia in riferimento ai quartieri urbani: la traduzione proposta di gentrification è, infatti:
“trasformazione di un quartiere popolare in un quartiere residenziale di lusso”.
La sua storia è da rintracciarsi nei massicci processi di suburbanizzazione che interessarono molte città europee e nordamericane a metà del XX secolo. La classe media, infatti, soprattutto grazie alla diffusione dell’automobile, tendeva a spostarsi in massa nella zona provinciale. Questa fuga dalla città sovraffollata fece in modo che i quartieri più interni e industriali fossero lasciati nelle mani delle fasce sociali più deboli, contribuendo ad acuire le diseguaglianze sociali.
Ebbene, la gentrification è, in effetti, esattamente l’inverso di questo processo. Essa vede la classe media ritornare nei quartieri più popolari, acquistandovi o costruendovi nuove abitazioni. Come risultato, il valore medio delle rendite della zona cresce improvvisamente e tutti coloro che vivono al di sotto di una certa soglia di reddito sono costretti a lasciarla. Quella che era una realtà popolare diventa, così, un quartiere medio-borghese.
Le logiche culturali della gentrification
Rintracciare le motivazioni di un fenomeno complesso come quello della gentrificazione è per definizione molto difficile. Il geografo David Ley, ad esempio, indica la ragione principale in un cambiamento dei gusti della classe media. Se una volta, infatti, essa propendeva, specialmente negli Stati Uniti, per la villetta monofamiliare con giardino e automobile, oggi le sue preferenze mutano radicalmente.
La classe media vuole “tornare”, per così dire, nel centro della città, riprendendosela dalle classi più povere. C’è chi parla, non a caso, di “città revanscista”. Bisogna, poi, anche tenere conto dello spostamento di sempre più consistenti fasce della popolazione agiata verso il settore terziario. In altre parole, la sua mutata composizione professionale le chiede di vivere più vicino al centro della città, sede dei distretti finanziari ed amministrativi.
La gentrification sarebbe, dunque, un riflesso dei processi di trasformazione sociale e lavorativa. Accanto a chi la critica per le disuguaglianze che crea, però, c’è anche chi ne sottolinea gli aspetti positivi sul tessuto cittadino. Questa visione, direttamente opposta a quella della “città revanscista”, può essere definita “rinascimento urbano”.
L’arrivo della classe media in un quartiere, infatti, genera certamente un circolo virtuoso di investimenti. Essi, come si può intuire, non si limitano al settore immobiliare ma si allargano anche ai servizi e alle attività commerciali. Un’intera zona, quindi, “rinasce” (donde il termine) grazie all’avvento di una diffusa prosperità.
Le logiche economiche della gentrification
Quanto abbiamo appena detto si può dire che si concentri dal lato della domanda. Vi è anche chi, però, analizza la gentrification dal punto di vista dell’offerta. Secondo questa teoria, il fenomeno è figlio di un processo economico molto chiaro: la penetrazione, anche nelle politiche urbane, delle logiche del capitale privato. Ci si aspetterebbe, infatti, che temi come la gestione del tessuto cittadino debbano essere amministrati dal settore pubblico.
Nel caso della gentrification, tuttavia, vediamo che le città si trasformano seguendo logiche puramente individuali. Il mutamento, infatti, avviene o ad opera di agenzie immobiliari che acquistano e rivendono appartamenti nei quartieri poveri oppure da parte della stessa classe media. Non c’è, quindi, una forma di controllo esterno, se non in rari casi.
La gentrification è, allora, guidata dalla pura e semplice logica del profitto. Il geografo Neil Smith, ad esempio, fa riferimento al divario di rendita (rent gap) tra il valore del suolo nei quartieri in questione e quello, molto basso, degli edifici che vi si trovano.
Il normale mercato immobiliare, infatti, vuole che la rendita sia tanto più alta quanto più un edificio si trovi vicino al centro della città. Se, tuttavia, esso è situato in una zona degradata, chiaramente il suo valore si ridurrà. In questo senso, il capitale privato ha interesse alla riqualificazione di quell’area per ricondurre le rendite a un valore accettabile.
Si tratta, quindi, di un processo meramente economico, che non tiene conto del fatto che ne risulti accentuata ulteriormente l’emarginazione sociale, dal momento che le categorie più disagiate vengono allontanate. In questo senso va intesa la definizione proposta dall’enciclopedia Treccani, secondo la quale la gentrificazione contribuisce “a una materializzazione spaziale della polarizzazione sociale”.
Francesco Robustelli
Bibliografia
Painter, Jeffrey, Geografia Politica, ed.SAGE Publications of London, 2009, it.UTET, 2011
I grandi dizionari Garzanti, Inglese, ed.Garzanti linguistica, 2009
Fonti media
L’immagine di copertina è ripresa da wall.alphacoders.com