La concezione della donna in Platone può essere definita sia convenzionale sia rivoluzionaria.
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Una vita tra filosofi
Platone risulta essere un filosofo multiforme: ciò è dovuto probabilmente ai suoi contatti con i più grandi pensatori del suo tempo. Egli infatti nacque nel 427 a.C. ad Atene da una famiglia aristocratica. Nel tempo diviene discepolo di Cratilo, seguace di Eraclito. All’età di vent’anni si avvicina a Socrate. Nel 388 a.C. conosce la filosofia pitagorica, dopo essersi recato a Siracusa.
In seguito Anniceride aiuterà Platone a fondare la sua celebre Accademia (387 a. C.), grazie al sostentamento che gli è stato fornito dallo stesso.
Sotto Dionigi il giovane, Platone viene richiamato da Dione con la proposta di progettare la riforma dello Stato. Nel 360 a. C. tornerà ad Atene dove morirà nel 347 a.C.
La donna ai tempi di Platone
La donna ateniese del V-IV sec. a. C. ha avuto principalmente un ruolo di custode della famiglia e dell’educazione dei figli. Questa concezione ha fatto in modo che la cultura tramandasse nel tempo l’idea che le donne possedessero una naturale capacità di educare, così da potersi occupare dell’educazione degli infanti non soltanto negli spazi privati, ma anche nei contesti pubblici.
In tutte le altre dimensioni che caratterizzavano la società del tempo, la donna era pur sempre relegata ad una vita compresa nelle mura domestiche, specialmente se apparteneva alle classi più agiate. Diversamente alcune categorie sociali femminili, come le sacerdotesse e le etere, avevano la possibilità di ricevere una formazione culturale. Questa serviva ad istruire ed educare nel caso delle prime, mentre per le etere lo scopo era intrattenere gli uomini più potenti della società.
Un esempio di etera dotta ed influente è stata certamente Aspasia di Mileto, compagna del politico ateniese Pericle. Ella non era affatto una donna passiva, ma è da considerare come uno degli esempi di donna intellettuale ed autonoma della storia antica greca.
La donna in Platone: tra convenzione e rivoluzione
Nella Repubblica la prospettiva della donna in Platone è a tratti rivoluzionaria, poiché la riflessione trova le sue radici nel modello educativo spartano. La donna era in grado di partecipare sia alla vita pubblica sia al bene dello Stato.
Platone infatti affermerà:
“non c’è alcuna pubblica funzione che sia riservata alla donna in quanto donna, o all’uomo in quanto uomo, ma fra i due sessi la natura ha distribuito equamente le attitudini, cosicché la donna, appunto per la sua natura, può svolgere tutti gli stessi compiti che svolge l’uomo […]”.
Inoltre ad esser messo in discussione è proprio il metodo educativo, che deve essere quanto più simile sia per la donna sia per l’uomo. Nel quinto libro del dialogo Repubblica si approda ad una regola di natura pedagogica e metodologica secondo cui
“per quanto riguarda la preparazione di una donna alla difesa dello Stato, non si può mettere in atto una educazione per formare gli uomini e un’altra per formare le donne, soprattutto perché abbiamo a che fare con la medesima natura”.
Diotima: la donna che insegnò l’Eros a Platone
È plausibile che la concezione della donna in Platone sia per certi versi costruttiva del femminile, grazie alla figura di Diotima. Ella era una sacerdotessa ed educatrice, che il filosofo descrive come una figura femminile colta e sapiente.
Nel Simposio Platone riporta la sua esperienza in merito alla conoscenza dell’Eros che aveva udito da una persona in particolare, che così descrive:
“da una donna di Mantinea, Diotima, che in queste cose era sapiente e in molte altre”.
In questa parte del dialogo platonico è interessante constatare un momento a carattere pedagogico ed educativo, in cui Platone viene richiamato ad una definizione più realistica di Eros. Successivamente verrà confutato dalla donna, poiché ella riteneva che Eros non risultava essere in alcun modo né bello né buono.
Platone: un filosofo “femminista”?
Il pensiero di Platone sulle donne è talvolta in contraddizione e non è facile stabilire una sua posizione univoca.
Il filosofo riteneva, però, che ogni persona dovesse avere dei ruoli e delle funzioni, non in base al sesso biologico, ma secondo le proprie abilità intellettuali e morali.
In questo modo l’educazione diventava uguale per ognuno, al di là del genere di appartenenza. In questo aspetto Platone è certamente lontano dai metodi convenzionali educativi ateniesi del suo tempo.
Al giorno d’oggi è ancora presente l’idea secondo cui alcune doti o capacità umane siano soltanto maschili o femminili. La conseguenza naturale di questa visione è che gli uomini e le donne non possono contribuire come dovrebbero al bene della società.
È certamente sbagliato definire Platone un filosofo femminista, poiché il femminismo è anacronistico rispetto alla storia e alla mentalità dei pensatori della Grecia antica. In Platone, però, è possibile apprezzare un nuovo stile educativo che valorizzi la persona, sia essa donna che uomo.
Inoltre, sulla concezione della donna in Platone, rimane interessante la riflessione che Mario Vegetti, storico ella filosofia e accademico italiano da poco scomparso, propone sull’argomento. Platone asserisce: “secondo natura la donna deve partecipare a tutte le funzioni, e a tutte l’uomo”. Vegetti così considera queste parole:
”la più radicale dichiarazione di uguaglianza di diritti e di doveri fra i sessi che l’antichità abbia mai formulato”.
Carolina Montuori
Bibliografia
Repubblica,V, 451d- 456d
Simposio,201d-e
Ugo Avalle, Michele Maranzana, Pedagogia. Dall’età antica al Medioevo, Pearson, Milano 2010
FONTE MEDIA
L’immagine di copertina è ripresa dal sito: http://collettivoantisessista.blogspot.com/2012/05/le-donne-dell-antica-grecia.html.