Il nome di Luigi Tenco è legato a Sanremo purtroppo non soltanto per ragioni strettamente musicali. L’accostamento Tenco-festival conduce infatti inevitabilmente ad un evento spiacevolissimo, il suicidio del cantautore appena ventinovenne, avvenuto il 27 gennaio 1967, episodio che ovviamente funestò l’intera edizione, la diciassettesima, presentata da Mike Bongiorno e vinta dal brano Non pensare a me, cantato da Claudio Villa ed Iva Zanicchi.
L’insano gesto fu la tragica conseguenza dell’amarissima delusione provata dall’artista in seguito all’eliminazione dalla finale della sua canzone, Ciao amore ciao, cantata insieme a Dalida. Delusione ancor più cocente, poiché la commissione che avrebbe potuto ripescarla, preferì La rivoluzione, di Gianni Pettenati.
Rientrato anticipatamente all’Hotel Savoy, Tenco fu ritrovato, nella camera che occupava, con una ferita da proiettile alla tempia. Nella sua stanza, oltre ad una scatola vuota di Pronox, un tranquillante, fu rinvenuto un biglietto, autografo:
« Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. »
Ragioni di un suicidio
Molto banalmente si potrebbe dire che Tenco si sia ucciso perché non sapesse perdere. Ma le motivazioni del suo gesto sono da ricercare molto più a fondo. C’è da premettere che a Tenco, per il tipo di artista che era, non importava nulla di Sanremo in quanto manifestazione canora. Scelse, piuttosto, di prendervi parte in quanto un evento seguitissimo che gli avrebbe permesso di poter raggiungere il favore popolare tanto agognato.
L’esclusione della sua canzone, quindi, vista in tale ottica, fu soltanto l’ultimo atto di un’esclusione dal raggio molto più ampio che l’artista subiva praticamente da sempre, principalmente da parte dei mass media, che censurarono, ad esempio, alcuni suoi brani tratti dal 33 giri di esordio, del ’62 (Una brava ragazza, Cara maestra, Io sì), limitando e condizionando, di fatto, il naturale corso della sua fama e della sua carriera.
Per quei tempi ancora eccessivamente bigotti, conformisti e perbenisti, Tenco rappresentava un artista sconveniente, troppo libertino, moralmente pericoloso. Ma se solo l’artista fosse vissuto almeno fino a quel ’68 di totale svecchiamento e rivoluzione culturale, avrebbe molto probabilmente goduto della fama che credeva di meritare.
L’eredità di Tenco
Per fortuna, come scrisse nel suo biglietto di addio, la sua morte riuscì a chiarire le idee a qualcuno. Tenco, nonostante i soli cinque anni di attività, fu capace, specie nella canzoni più impegnate (Cara maestra), di tracciare un solco, indicando un certo modo di far musica, che diede poi il la alla nascita della musica d’autore italiana, che sarebbe pienamente maturata ed esplosa soltanto negli anni ’70.
Fu anche merito di Tenco, infatti, se nacque e si affermò la cosiddetta scuola genovese, movimento artistico dal quale partì una profonda rottura con la musica tradizionale italiana nonché una sua totale ristrutturazione. Questa rivoluzione, portata avanti nel capoluogo ligure da artisti quali Umberto Bindi, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Gino Paoli e Fabrizio De Andrè, riguardò diversi aspetti quali l’approccio stilistico, più ricercato, il linguaggio più aderente alla realtà, e tematiche molto varie, spesso mutuate dall’esistenzialismo francese, che andavano dal sentimento alle esperienze esistenziali, sino alla politica, all’ideologia, alla guerra e ai temi dell’emarginazione, con forti accenti individualisti.
La sua musica: qualche titolo
Tenco ci ha lasciato un canzoniere di appena cento titoli. Oltre a canzoni apparse postume, ha pubblicato tre 33 giri tra il 1962 e il 1966 cui si aggiungono numerosi 45 giri, a partire dal 1959. Questi ultimi sono spesso stati pubblicati ricorrendo a degli pseudonimi, come quelli di Gigi Mai, Gordon Cliff e Dick Ventuno.
Una costante della sua musica era rappresentata, su una base essenzialmente pop-jazz, dagli arrangiamenti orchestrali, da una vena dolce e malinconica, da testi dal linguaggio molto semplice e da una voce caldissima, estremamente avvolgente.
Qualche ascolto: Quando; Cara maestra; Angela; Mi sono innamorato di te; Io si; Come mi vedono gli altri; Ho capito che ti amo; Ah, l’amore, l’amore; Ragazzo mio; Io lo so già; Se potessi, amore mio; Tu non hai capito niente, Vedrai, vedrai; No, non è vero; Lontano, lontano.
Roberto Guardi