Cassandra è una figura emblematica all’interno della mitologia greca. Questo nome è conosciuto, anche per sentito dire nel linguaggio corrente, come sinonimo di chi annuncia tragedie imminenti senza essere creduto, oppure chi predice disgrazie.
L’origine di questa diceria sta appunto nel mito greco e più precisamente nella storia di questa donna troiana.
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L’origine del dono di Cassandra
Cassandra è una dei tanti figli avuti dal re Priamo e dalla moglie Ecuba, ed è la germana di Eleno. Alla loro nascita, i sovrani di Troia diedero una grande festa nel tempio di Apollo, poco fuori le mura, con tutta la famiglia al seguito. La sera tornarono a casa, ma ad un certo punto i due genitori s’accorsero di aver dimenticato i festeggiati al tempio, così ritornarono e li videro addormentati in compagnia di due serpenti che lambivano i loro orecchi per purificarli. Alle grida dei genitori spaventati, i rettili scapparono ed i bimbi acquisirono doni divinatori.
Passarono gli anni ed Eleno sviluppò la capacità di leggere il futuro attraverso il volo degli uccelli, mentre Cassandra non ebbe ancora alcun segno di divinazione. La donna risultò essere ancora troppo scossa per via di un ricordo che le lacerava l’animo. Un giorno, di notte, la madre Ecuba ancora incinta di suo marito fece un sogno spaventosissimo, cosicché Priamo fece svegliare Esaco, figlio suo e della prima moglie Arisbe, affinché interpretasse il sogno ricorrente della donna. La sua sentenza fu impietosa: “Nobilissima Ecuba, le mie parole non riuscirebbero ad allontanare l’angoscia che invade il tuo cuore, ma lo riempirebbero ancor più di tristezza… in un’infausta notte hai concepito questo figlio che presto uscirà dal tuo ventre! Poiché ciò che il tuo sogno significa, o regina sventurata, è che il figlio che partorirai causerà la rovina di Troia”. La piccola era presente al momento del vaticinio di Esaco.
La maledizione di Apollo
Cassandra sino a quel momento si dedicò interamente ad Apollo nelle vesti di sua sacerdotessa. Il dio s’invaghì di lei, così si mostrò alla donna donandole il dono della profezia a condizione che giacesse con lui. Cassandra prima accettò, ma poi respinse le avance del dio il quale, infuriato, prima le sputò in bocca e poi disse: “Se soffiando sulle tue labbra ti ho concesso il potere della divinazione, sputando sulla tua bocca ho tolto alla tua voce il potere della convinzione. D’ora in poi, nessuno crederà ai tuoi vaticini e ti prenderanno per una di quelle pazze che percorrono le strade come uccelli del malaugurio… nessun mortale crederà alle tue visioni e Troia brucerà per colpa tua!”
Il primo vaticinio di Cassandra
La prima sentenza della donna arrivò un giorno, quando ci furono dei giochi istituiti da Priamo per ricordare il figlio scomparso. Ci furono delle prove atletiche dove risultò vincitore un giovane sconosciuto. L’ultimo gioco fu la lotta tra Deifobo, uno dei figli del re ed il baldo giovane. La lotta fu molto vivace ed avvincente sino a quando Deifobo, per aizzare di più la folla, prese la spada per sventare quel giovane il cui nome era “Alessandro”.
Rifugiatosi presso la statua di Zeus, il giovane invocò la protezione del dio in quanto Deifobo faceva “il gioco sporco”. Improvvisamente una persona anziana interruppe l’azione di Deifobo e chiese d’interloquire col re: lui era Agelao, il pastore a cui fu ordinato di uccidere il nascituro di Priamo e di Ecuba, ma non ebbe il coraggio di farlo, quindi lo crebbe con lui. Il re e la regina così decisero di riconoscere il giovane ribattezzandolo col nome di “Paride”.
Cassandra avvisò che così facendo avrebbe condannato Troia alla distruzione e non venne creduta dal padre.
Il secondo avvertimento di Cassandra
“Fermati, padre! Non permettere che le navi troiane abbandonino il porto! Affondale in mare prima che attraversino l’Egeo, poiché porteranno la perdizione alla nostra patria.” Così disse Cassandra a Priamo davanti ad Ecuba, ad Ettore ed a Paride non appena seppe che quest’ultimi erano in partenza per Sparta per negoziare il ritorno di Esione, la sorella del re, da Salamina dove Telamone la teneva segregata.
Il padre s’adirò con lei per le sue farneticazioni, la donna così si rivolse a Paride dicendogli che avrebbe portato gli incendi a Troia ed il sogno di Ecuba si sarebbe avverato: un tizzone ardente sarebbe uscito dal corpo di Ecuba per arroventare tutta la città.
La maledizione di Apollo era troppo forte; non venne per nulla creduta da nessuno, anzi subì l’umiliazione da Priamo perché fu chiamata: “folle”, “menzognera” e “insana di mente”.
Il sacco di Troia
“Pazzi che sfilate in corteo inghirlandando questa progenie nemica, festeggiate l’ultimo giorno della nostra vita! Quali disgrazie soffrirete, sventurati, se non lo fracassate con asce o lo bruciate con il fuoco, perché non è per Minerva, né per Apollo, né per nessuno degli dei che ci proteggono, ma per le Furie, che desiderano vendicare su di noi il matrimonio adultero di Elena! povera te, città dei miei antenati! presto sarai cenere leggera! fra le mura scorrerà purpureo un mare di sangue versato ed un’onda di morte!”.
Questo è l’ultimo avvertimento di Cassandra alla folla festante di Troia quando i Troiani introdussero dentro le porte Scee il cavallo di legno costruito dai Greci in segno di resa alla città ed in onore di Atena per benedire il loro viaggio di ritorno. Un inganno ben orchestrato da Odisseo: nel ventre del cavallo c’erano i soldati achei in attesa dell’oscurità per aprire le porte della città e raderla al suolo, mentre l’esercito ellenico dimorava nella vicina isola di Tenedo.
La donna venne ancora una volta sbeffeggiata ed umiliata dall’irrazionale folla troiana. Vani anche furono i tentativi di Laocoonte: fu messo a tacere in tempo da Poseidone, il quale mandò un serpente mostruoso che lo stritolò dinnanzi a Priamo, al menzognero Sinone ed a tutti i consiglieri del re, tra cui anche il traditore Antenore, colui che aprì il chiavistello della porta del cavallo per far uscire gli armigeri nemici.
L’empietà di Aiace
La città di Troia bruciò in un lampo, Cassandra così corse al tempio di Atena inseguita da alcuni guerrieri greci sperando nella protezione della dea. Tutti gli armigeri rimasero fuori il santuario temendo la collera della dea, tranne Aiace il locride. Affamato di lussuria per la bella Cassandra, entrò nel tempio, strappò via la donna che s’era rifugiata accanto alla base del Palladio, la portò via sulle spalle dal tempio e la violentò.
Ripresasi dall’amplesso forzato, Cassandra ritornò al tempio, si gettò ai piedi della statua di Atena e supplicò la dea di realizzare la sua vendetta: “Potente figlia di Zeus, divina fra le dee, osserva il rispetto che mostrano i greci, che tanto stimi, per i supplici che si prostrano di fronte a te. Non permettere che quest’uomo empio, che ha macchiato la tua sacra dimora, torni a vedere i suoi né a mettere nuovamente piede nella sua patria”.
Aiace non rimise più piede in patria: morì per mano di Poseidone.
Gli ultimi anni di Cassandra
La donna decadde al ruolo di schiava dei greci, fu affidata ad Agamennone che la rese prima sua concubina, poi madre di due gemelli: Pelope e Teledamo.
Vagarono a lungo in mare prima di far ritorno a Micene. Cassandra aveva già vaticinato cosa sarebbe accaduto a lei ed ai suoi figli, ma preferì tacere conoscendo già la sentenza dell’Atride.
La moglie Clitennestra non perdonò ad Agamennone le morti del suo primo marito, del suo primogenito e soprattutto di Ifigenia che aveva sacrificato ad Artemide affinché i Greci avessero i venti favorevoli per salpare verso Troia.
Una volta al palazzo, davanti ad Agamennone, Cassandra si rivolse a Clitennestra: “Traditrice! Quale infame sacrificio si sta preparando qui? Misero destino quello che mi porta in questo palazzo nemico, da cui non esce ad accoglierci altro che il fetore della morte!”
Come da copione, Agamennone non credette alle parole di Cassandra e neanche gli altri presenti in sala ad eccezione di Clitennestra e di Egisto, amante segreto della regina. Quella sera stessa vani furono i tentativi di Cassandra di mettere in guardia l’Atride che però riuscì a tranquillizzarla. Quella sera trascorse tranquilla sino alla mezzanotte inoltrata quando Clitennestra si presentò nella sua stanza con un’ascia e la tunica intrisi di sangue.
“Clitennestra! In quest’ultima ora imploro Apollo che, giunto il tempo del tuo castigo, il tuo giustiziere rimembri la mia morte e mi renda partecipe della sua vendetta!”
Detto questo, la donna porse il collo alla mercé della furia omicida di Clitennestra, la quale non ci pensò due volte per decapitare Cassandra. Egisto accorse con una daga nella stanza della sua amata ed uccise senza pietà i pargoletti in attesa così del castigo che gli dei avrebbero riservato anche a loro due.
Dal mito alla psicanalisi: la sindrome di Cassandra
Pensieri negativi, pessimisti e catastrofici, previsioni disfattiste degli avvenimenti futuri propri e/o degli altri, un continuo formulare di avvenimenti negativi sul futuro, pur avendo la certezza di non poter far nulla per evitare gli accadimenti, incapaci così di agire nel proprio destino. Questi sono i sintomi che caratterizzano la Sindrome di Cassandra.
La persona cerca così sempre di avvisare il mondo della propria predicazione cercando di dire la loro verità, prima dei tempi e prima dell’accaduto.
Sebbene queste “previsioni” siano spesso erronee, frutto solo di ansie ed angosce infondate, chi è affetto da questo complesso vive in un continuo stato di frustrazione; senza contare che in alcuni casi l’individuo viene socialmente allontanato poiché considerato pessimista cronico e/o finanche uccello del malaugurio.
Non venendo ovviamente creduti, e quindi neppure considerati dal punto di vista empatico, la persona ha il bisogno di urlare per poter convincere le persone accanto a lui delle sue “verità profetiche” ed è così che le cose peggiorano dal momento che si viene giudicati “pazzi”, “squinternati”, “scellerati” (è il caso appunto della storia di Cassandra).
Può trattarsi di un ricordo o di un accaduto traumatico, oppure altri eventi e dinamiche che hanno un’origine pregressa che fanno angosciare la persona, ma queste dinamiche non spiegano cosa le provoca in origine, e quindi quale sia la “natura della malattia” o il “suo spirito”.
Presumibilmente, potrebbe trattarsi di una forte incapacità a simbolizzare, a vedere il mondo non soltanto con gli occhi, ma anche con l’immaginazione spirituale. Questo anche perché una tale visione è sempre più difficile da condividere, da scambiare ed esperire insieme agli altri.
Marco Parisi
Bibliografia:
- La maledizione di Cassandra, RBA Edizioni;
- L’universale, Mitologia, Le Garzantine.
Sitografia:
- http://www.eticamente.net/53909/sindrome-di-cassandra-persona-pessimista-catastrofista-e-malaugurante.html
- http://www.ilmattinodifoggia.it/blog/alba-subrizio/28633/la-sindrome-di-cassandra-dal-mito-alla-psicanalisi.html