Nel 1556 Carlo V abdicò a tutti i suoi titoli e rese effettiva la divisione dei suoi immensi domini. Mentre il fratello Ferdinando diveniva imperatore ed ereditava gli Stati asburgici, al figlio Filippo II toccavano la Spagna, i Paesi Bassi, la Franca Contea, i territori italiani e le colonie americane spagnole.
Sovrano di una monarchia sulla quale non tramontava mai il sole, Filippo II animato da una fede sincera e crudele, grazie all’eredità paterna e alle sue proprie conquiste fu il monarca più potente della cristianità.
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L’accentramento del potere e l’intransigenza religiosa
Figlio di Carlo V e Isabella di Portogallo, Filippo II aveva ereditato dal padre la totale dedizione al mestiere di re, mostrando però, sostanziali differenze. Nato ed educato a Valladolid, si sentiva ed era intimamente spagnolo, austero e geloso del proprio potere.
Nel 1559 da Valladolid, la corte fu trasferita a Madrid dove il sovrano fece costruire la dimora dell’Escorial, metà palazzo e metà monastero, da cui conduceva una politica accentratrice dei poteri pur lasciando ampia autonomia alle magistrature locali.
Il principale obiettivo che si prefissò fu la lotta agli “infedeli” tanto che durante il suo regno fu rafforzata l’Inquisizione in Spagna e si consumarono le persecuzioni dei moriscos dell’Andalusia (preludio alla successiva espulsione nel 1609) che, nonostante la conversione ufficiale al cattolicesimo, avevano mantenuto le loro usanze; ricordiamo che l’intransigenza religiosa ben rispondeva al mito della “limpieza de sangre”, eredità della Reconquista, con una discendenza non contaminata da sangue moro o ebraico.
Filippo II re del Portogallo e la crisi castigliana
Ma i domini spagnoli erano destinati ad ampliarsi. Alla morte senza eredi del re Sebastiano di Aviz, Filippo riuscì a farsi riconoscere come erede della corona lusitana con tutti i suoi domini coloniali: il Portogallo entrò così a far parte dei regni controllati dalla corte di Madrid.
Nel frattempo in Castiglia, l’indubbia popolarità del sovrano fu messa a dura prova dai sacrifici sempre più gravosi richiesti al Paese in termini di uomini e di denaro, oltre al fatto che le politiche fiscali che privilegiavano le rendite parassitarie a discapito dei ceti produttivi, portarono a una profonda crisi delle attività industriali castigliane, a una dipendenza dall’estero per i prodotti alimentari e alle conseguenti carestie di fine ‘500.
La battaglia di Lepanto e i conflitti nel Mediterraneo
La pace di Cateau-Cambrésis (1559) stipulata con la Francia di Enrico II di Valois, sanciva l’indiscussa egemonia spagnola in Italia e il possesso diretto del Regno di Napoli, della Sicilia e della Sardegna garantivano a Filippo II una posizione dominante nel Mediterraneo occidentale. Questa condizione lo rendeva più esposto ai pericoli della potenza ottomana che sferrò un attacco contro l’isola di Cipro, avamposto orientale di Venezia e della cristianità.
Nel 1571 la flotta ottomana e la Lega Santa voluta da papa Pio V, si affrontarono nei pressi di Lepanto: questa fu l’ultima battaglia della storia con navi a remi e abbordaggi che vide d’altronde la vittoria delle forze cristiane. Tale vittoria, pur esaltata da poeti e artisti, portò a modesti risultati politico-militari, con buona parte del Mediterraneo che restò sotto il controllo ottomano, e caratterizzato da “un’insicurezza della navigazione a causa del sempre più frequente uso della “guerra di corsa” (una sorta di guerra economica legalizzata) da parte sia degli Stati barbareschi che cristiani.
Come ha dimostrato Fernand Braudel, nella sua grande opera Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, il Mediterraneo rimase per tutto il Cinquecento un crocevia di scambi e di traffici: spezie, sete orientali, grano e sale riempivano la navi che solcavano le sue acque, col favore dell’alto livello dei prezzi e della larga disponibilità di buone monete spagnole.
Gli impegni militari di Filippo II e gli ultimi anni
Durante il suo regno, Filippo II agì su vari fronti.
Nei Paesi Bassi, la lotta al movimento protestante fu molto dura, tanto da scatenare la violenta ribellione delle autonomie locali, contro cui Filippo scagliò il forte esercito al comando del duca d’Alba che con metodi spietati represse la rivolta. A causa dell’imposizione di tasse per mantenere l’esercito spagnolo, una nuova ondata di malcontento scoppiò nel 1569 e ne approfittò il principe Guglielmo d’Orange-Nassau, fuggito dalle persecuzioni del duca d’Alba, che allestì una flotta che invase le province settentrionali del mare, che respinsero gli assalti spagnoli anche dopo l’assassinio di Guglielmo nel 1584.
La situazione si era ormai evoluta verso la piena indipendenza dell’Olanda.
Tra 1585 e 1587 si verificò la rottura dei rapporti tra la Spagna e l’Inghilterra di Elisabetta la quale appoggiò la rivolta dei Paesi Bassi e condannò a morte la cattolica Maria Stuart, regina di Scozia.
Filippo II scagliò contro la flotta inglese, l’invencible armada che però venne sconfitta nelle acque della Manica.
Era fallito il tentativo di stroncare la potenza navale e commerciale britannica.
Ultima battaglia persa fu quella contro la Francia, dove Filippo prestò soccorso alla fazione cattolica durante le guerre di religione. Il vecchio monarca, ormai mortalmente infermo, firmò nel 1598 la pace di Vervins, riconoscendo la propria sconfitta.
Filippo II si spense nello stesso anno alla dimora dell’Escorial e con lui anche l’ultimo tentativo di egemonia spagnola in Europa.
Anna Della Martora