Robert Schumann crebbe in un mondo di carta e di suoni, nel quale plasmò una poetica attraverso cui narrare sé stesso, i suoi mostri e la realtà intorno a lui. A prova della letterarietà della musica schumanniana, v’è il fatto che nelle sue composizioni si celino temi-motto che invocano i nomi di personaggi simbolici.
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Robert Schumann e il suo mondo di carta
Poeticamente abita l’uomo.
F. Hölderlin
I natali a Robert Schumann li diede Zwickau, città che sorge nella vallata ai piedi dell’Erzgebirge, a sud di Dresda e di Lipsia. Era figlio di August Schumann, un homme de lettres, che gestiva la libreria e casa editrice Gebrüder Schumann, e di Johanna Christiane Schnabel, un’insegnante di pianoforte. Inevitabilmente, crebbe in un mondo di carta e di suoni.
Incoraggiato dal padre, iniziò a studiare la musica, ma poi, per soddisfare il desiderio della madre, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza. Sempre col consenso della madre, divenne allievo di Friedrich Wieck e si dedicò completamente al pianoforte. Si immerse in uno studio intenso per recuperare il tempo perduto, ma questo studio culminò con un infortunio alla mano, che gli segnò la strada da pianista. La composizione era l’alternativa tanto alta quanto frustrante, se si conta in che direzione stavano andando il solismo e il virtuosismo pianistico in quegli anni.
Se probabilmente gli anni della formazione furono cruciali nel plasmare la sua personalità, i germi di una poetica attraverso cui narrare sé stesso, i suoi mostri e la realtà intorno a lui si impiantarono molto presto. In una lettera a Clara Wieck, figlia del maestro e poi amore immortale della sua vita, Schumann diceva, parlando del suo processo creativo: «Tutto ciò che avviene nel mondo mi riguarda […]; ci penso su a modo mio, e poi deve trovare uno sfogo in musica»[1]. È il narrare la chiave. Buona parte della sua musica è riconducibile, in qualche modo, a elementi letterari: è riconducibile a lettere, segni alfabetici, messaggi nascosti, enigmi. Per rintracciare le origini di questo modo di fare dobbiamo ritornare alla vicenda familiare, nel modo più filologico possibile, e ri-sottolineare il fatto che Robert crebbe in un mondo di carta, perché di carta era l’occupazione del babbo. Così, la letterarietà è elemento fondante della poetica schumanniana e innumerevoli sono i rapporti tra la musica di Schumann e i testi di scrittori e poeti tedeschi come Jean Paul, Hoffmann e Heine. Tra l’altro, Schumann nelle prime lettere dice: «Ho rovistato in tutta la biblioteca», «mi è stato concesso di aiutare nella correzione delle bozze»[2], e così via.
Una grande mascherata
Antico detto:
qualunque sia l’età
la gioia e il dolore sono mescolate:
resta fedele alla gioia
e con coraggio sii pronto al dolore.[3]
Proprio da quella biblioteca in cui rovistava, Schumann lesse, con buona probabilità, due libri che gli segnarono l’esistenza: Flegeljahre di Jean Paul e Kryptographik di Johann Klüber. Dal primo trasse le figure poetiche di Valt e Wult, gli scissi Eusebius e Florestan, il meditativo e il passionale. Essi riposavano latenti nell’animo schumanniano, ci narrano della sua complessa personalità e risultano presagio della sua tragica degenerazione. Dal secondo trasse il metodo attraverso cui tentare di elaborarla quella complessità d’animo, e per farlo serviva un metodo altrettanto complesso. Il manuale di Klüber propone una guida alla crittografia musicale alfabetica in cui ad ogni nota è possibile far corrispondere una lettera.
Ed ecco che, sin dalle prime opere, la “struttura destrutturata” della musica schumanniana si regge su una serie di temi-motto, che celano oscure lettere, parole, enigmi e simboli in attesa di essere svelati. Essi invocano i nomi dei membri della “Davidsbündler” (“Lega dei fratelli di David”)[4]: tra cui Eusebius, Florestan e Meister Raro; oppure il nome di colei che fu fino alla fine spalla a cui aggrapparsi: Clara. Tra l’altro, Meister Raro, oltre a essere tentativo di sintesi tra Eusebius e Florestan, suggerisce anche l’unione tra il compositore e la pianista: se si accosta l’ultima sillaba del nome “ClaRA” con la prima del nome “RObert”, se ne ricava una suggestione che è difficile non chiamare conferma. Schumann gioca con le lettere e Clara è il tema-motto che ritorna di più, sbuca dappertutto. Il cuore scisso di Schumann tentava di comprendere e ricucire le sue crepe attraverso Clara.
In opere che meriterebbero ognuna pagine d’inchiostro e innumerevoli tentativi esegetici, Schumann invoca anche una serie di reminiscenze d’infanzia, di maschere carnascialesche, di immaginari compositori frustrati, oppure fratelli gemelli e opposti che si battono per la stessa amata, scocchi di campane insieme nuziali e mortuarie, che segnano il flusso della luce e del buio.
Se la musica è poesia in cui abitare e attraverso cui narrare la luce, le farfalle diurne, papillons, e il buio, quelle notturne, sphinxes[5], quando Schumann addirittura scriveva che «l’oblio di se stessi è la somma poesia»[6], è difficile non abbandonarsi alla suggestione che, in qualche modo, il melanconico David, attraverso enigmi e sfingi, diede sbocco poetico a sensazioni reali.
«Premonizioni di un mondo per cui ti struggi»
Ma a noi non è dato,
Trovar pace in un luogo;
Dileguano, cadono
Soffrendo i mortali
Con cieco errare
Da un’ora all’altra,
Come acqua da rupe
A rupe gettata,
Per anni in abissi insondabili.
F. Hölderlin
Da Düsseldorf in poi, si aggravò la sua instabilità mentale, che culminò con il tentativo di suicidio nel Reno, che tetramente Schumann aveva giù sognato e annotato anni prima. E il Reno era un’immagine poetica persistente soprattutto nei Lieder.
Mentre era già circondato da spiriti e angeli che gli sussurravano all’orecchio, Schumann compose proprio le Geistervariationen (Variazioni degli spiriti). Le scrisse su un tema edificato sugli appigli del sistema tonale; le sviluppò in maniera piuttosto formale e in modo da rievocare un mondo poetico etereo e lontano. Tra l’altro, nello stesso periodo, Schumann aveva scritto i Gesänge der Frühe (Canti dell’alba), in cui emerge il richiamo a un locus amoenus primordiale ed è probabile l’evocazione, tramite temi-motto, dei personaggi hölderliniani Hyperion e Diotima. E nella lettera finale di Hyperion al suo corrispondente si parla di ritorno a un tempo perduto, di ricongiungimenti possibili attraverso la sonora armonia della natura:
Così mi abbandonai sempre maggiormente e senza misura alla radiosa natura. Così volentieri sarei ritornato fanciullo per esserle più vicino, come volentieri avrei voluto sapere di meno e diventare un puro raggio di luce per esserle più vicino […].
Un giorno sedevo lontano da casa, in un campo, accanto a una fonte, all’ombra di rupi verdi di edera, sotto pendenti cespugli fioriti. […] Spiravano dolci aure e la terra splendeva ancora nella luminosa freschezza del mattino […]. “Diotima”, esclamai, “dove sei, dove sei tu”? E mi pareva di udire la voce di Diotima, quella voce che, un tempo, nei giorni della gioia, mi aveva rasserenato.
“Presso i miei”, esclamò, “sono io presso i tuoi che lo smarrito spirito umano misconosce”. […] “Anche noi, anche noi, o Diotima, non siamo separati e le lacrime versate per te non lo comprendono. Siamo viventi note, noi, in accordo con la tua armonia, o natura!”[7]
Nel suo estremo approdo, Schumann, il poeta-musico, si aggrappa a un tempo preadamitico per richiamare dal flusso l’itinerario compiuto. Nell’ultima battuta delle Geister, al basso, sentiamo ancora e ancora risuonare l’àncora che simboleggiano quelle due note, dominante e tonica, dominante e tonica. Schumann sembra invocare, gridare con poca voce, il desiderio di un albero o una foglia o lo stelo di un fiore a cui aggrapparsi e poggiare. La destinataria di quest’invocazione è ancora Clara, a cui le Geister sono dedicate. E Clara aveva annotato sul suo diario, durante gli anni di Endenich:
Sabato 1 aprile, Reimers è venuto oggi da Bonn e ha portato notizie che hanno recato abbastanza sollievo. Robert cerca spesso violette in giardino e se ne rallegra. Il dottore dice che così riprende di nuovo interesse per l’altro…[8]
Il grido di Schumann – circondato da spiriti – rimane fiore non colto, ma la sospensione include la speranza del ricongiungimento, la tangibilità è nella perdita; ancora una volta, in Selene, un tentato romanzo frammentario, aveva scritto pagine giovanili che sarebbero risultate straziante presagio:
Allora fu come se l’intero mondo dei suoni si risvegliasse ancora una volta – con forza e magnificenza risuonò un inno eterno dei Serafini, le arpe dell’eternità compresero in sé questi suoni e le anime vi si riconobbero, le mani si giunsero in preghiera e gli occhi si volsero verso i suoni invisibili nell’alto della chiesa – allora anche tu piangesti, Gustav – ed egli uscì dalla chiesa e, di fuori, giunse le mani ed esclamò: «oh celesti suoni provenienti dalle tombe di un’addormentata felicità, dite e ditemi perché anch’io piango quando vi ascolto» – e i suoni risposero: «noi siamo le premonizioni di un mondo per cui ti struggi, e che mai troverai qui – noi veniamo dall’aldilà»; egli allora gridò addolorato: «oh suoni, esiste l’immortalità?» – Essi tacquero.[9]
Rinchiuso nel manicomio di Endenich, vicino Bonn, morì proprio di melanconia[10], assistito fino a quando possibile da Clara.
Nicola De Rosa
Note
[1] Jugendbriefe von Robert Schumann, Breitkopf & Härtel, Leipzig, 1885, p. 282.
[2] Ivi, p. 16.
[3] Questa epigrafe introduce la prima edizione delle Davidsbündlertänze (Danze della Lega dei fratelli di David).
[4] Nel 1834, Schumann fondò la Neue Zeitschrift für Musik (Nuova rivista musicale) che costituì un modello per la critica musicale ottocentesca. I suoi articoli si scagliavano contro i “filistei” dell’arte, che ostacolavano il moderno. Fu dalle lettere di quegli articoli che sbucarono le figure della “Davidsbündler“: tra cuiEusebius, Florestan e Meister Raro.
[5] E. Sams, Il tema di Clara. I codici cifrati, i Lieder, la malattia e altri saggi su Schumann, Analogon, Asti, 2010, p. 66.
[6] R. Schumann, Tagebücher, VEB Deutscher Verlag für Musik, Leipzig, 1971, p. 378.
[7] F. Hölderlin, Iperione, Feltrinelli, Milano, 1993, pp. 177-178.
[8] R. Schumann, Lettere da Endenich, Gaffi, Roma, 2017, p. 37.
[9] R. Schumann, Tagebücher, pp. 136-138.
[10] Termine medico ottocentesco utilizzato per indicare, in maniera confusa, ma in questo caso prontamente poetica, vari disturbi della personalità.