Cosa possono avere in comune un filosofo sloveno ateo, che attraverso uno stile provocatorio e pungente ha capovolto l’intera storia della filosofia, e un intellettuale italiano cattolico la cui riflessione sull’uomo procede di pari passo con la cieca fede nell’esistenza di Dio? Eppure Slavoj Žižek, da molti considerato una vera e propria rockstar della filosofia, e Luigi Pareyson, che rilegge l’esistenzialismo in chiave ermeneutica, hanno in comune alcune concezioni inerenti al rapporto tra soggetto e libertà.
L’abisso insondabile della libertà in Žižek e Pareyson
Il problema della libertà ha sempre interessato discipline molto diverse: filosofia, politica, religione e di recente anche le neuroscienze. Sia in ambito filosofico che religioso la questione è perlopiù correlata alla morale, alla presenza del male e a quella del libero arbitrio.
Žižek, da ateo, si richiama al primo punto, facendo nascere la morale non dal soggetto ma da una negatività originaria alla base di quello, un caos indistinto e una libertà illimitata, giacché non è stato ancora iscritto alcun ordine simbolico. Il soggetto non si è, lacanianamente, ancora identificato con linguaggi, usi e costumi. Mentre nella cosiddetta ontologia personalistica di Pareyson l’uomo si riconosce soprattutto attraverso l’apertura alla trascendenza e dunque allo spirito religioso.
Per Žižek, dunque, all’origine del processo che realizza il soggetto così come lo conosciamo, vi sarebbe ciò che Fichte definiva l’Anstoss e che lo sloveno descrive in questi termini:
L’Anstoss, l’impulso primordiale che mette in moto la graduale autolimitazione e autodeterminazione del soggetto inizialmente vuoto, non è semplicemente un impulso meccanico esterno; esso indica pure un altro soggetto, che nell’abisso della sua libertà, funziona da sollecitazione che mi costringe a limitare/specificare la mia libertà.
Se per Pareyson l’uomo non è l’autore della libertà, per Žižek l’uomo è l’abisso della sua libertà. La peculiarità dell’Anstoss è di essere infatti allo stesso tempo estraneo all’individuo ma anche interno, in quanto va identificato con quel vuoto che è in noi e che però non siamo in grado di riconoscere.
Il male risulta invece già inscritto in questo caos originario, giacché la dimensione di assoluta libertà comporta anche una condizione di irrefrenabile violenza. Infine, proprio perché questo impulso parte da una negatività primordiale, il soggetto viene istituito e si apre al bene.
La posizione di Luigi Pareyson
Anche per Luigi Pareyson il rapporto tra l’individuo e la libertà diventa nell’ultima fase del suo pensiero imprescindibile. L’iter speculativo di Pareyson, risentendo della filosofia positiva e negativa di Schelling, pone come principale punto di appoggio Dio.
In Dio la libertà è illimitata, ma in senso positivo, perché Dio è responsabile e autore della propria libertà e non solo degli atti che scaturiscono da essa. La libertà infatti non comincia con l’uomo ma è data all’uomo, in cui pure è illimitata ma in linea negativa, giacché egli è autore solo dei suoi atti, anche se può affermare o ripudiare la libertà senza mai separarsene.
Dunque, nonostante nello scritto centrale di Pareyson – Ontologia della libertà – sia Dio l’autore della libertà, il ragionamento presenta non pochi punti di contatto con quello di Žižek. Pareyson infatti scrive:
Si tratterebbe di concepire l’essere stesso come libertà, cioè di abbandonare la centralità dell’essere e di sostituire all’essere la libertà.
Proprio come per Žižek anche per Pareyson la libertà si trova in una posizione originaria rispetto a tutto ciò che esiste, compreso il soggetto. A ciò aggiunge:
La libertà è inizio primo, puro esordio, assoluto cominciamento. Si origina da sé: l’inizio della libertà è la libertà stessa […] Dire che la libertà comincia da sé è la stessa cosa che dire ch’essa comincia dal nulla.
Il nulla della libertà richiama alla mente di Pareyson il rapporto che, come per Žižek, la libertà detiene con la sofferenza proprio nel momento in cui quest’ultima emerge.
Libertà: il valore morale e redentivo
Nonostante i due filosofi sembrino approdare alla stessa conclusione, che lega ontologicamente libertà e soggetto, l’approccio al tema rimane molto diverso. Per Žižek l’assoluta libertà si apre alla possibilità del bene e dunque assume una connotazione morale, proprio perché l’idea è che il bene sia possibile solo a partire dal male.
In Pareyson la libertà produce male e sofferenza, ma lo scopo dell’uomo è di riconoscere il valore redentivo di questa negatività. Una necessaria sofferenza che Dio stesso prova quando decide di sacrificare suo figlio.
In definitiva, il male alla base della libertà è da Pareyson ancorato a Dio, mentre per Žižek potremmo ritenere che esso è paradossalmente ancorato all’assenza di Dio, o per meglio dire, a quello squarcio incolmabile che è alla base dell’esistenza umana e che dà senso alla nostra vita, proprio perché non traspare in esso alcunché, riservando a tutti la possibilità di sentire e di interpretare quel vuoto in modo personale.
Giuseppina Di Luna
Bibliografia
Slavoj Žižek, Il soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, Raffaello Cortina editore, Milano 2003.
Luigi Pareyson, Ontologia della libertà, Einaudi editore, Torino 2000.