I canti VI-VIII dell’Odissea costituiscono un’unità narrativa omogenea, che sin dall’antico prendeva il nome di Feacide. Questo blocco tematico rappresenta il cuore del poema, e un ponte tra la prima e la seconda parte dell’Odissea, dunque tra il vagabondare e la vendetta di Odisseo.
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Il VI canto dell’Odissea
Il VI canto si apre con il riposo dalla violenta tempesta che ha colpito Odisseo, sopravvissuto solo grazie all’intervento di Atena. Trascinato dalle onde sulla spiaggia dell’isola Scheria, regno dei Feaci, l’eroe sfinito si addormenta. La dea Atena, nel frattempo, si insinua come vento nella stanza in cui riposa Nausicaa, figlia del re Alcinoo, e le suggerisce in sogno di recarsi quanto prima al fiume che scorre vicino al mare, così da lavare le vesti che indosserà molto presto nel giorno del suo matrimonio.
Giunta sulla spiaggia, Nausicaa adempie ai suoi doveri e si intrattiene a giocare a palla con le ancelle ma, per intervento di Atena, Odisseo si desta svegliato dalle urla delle fanciulle. Sporco e imbruttito dalla tempesta, l’eroe spaventa a morte tutte le ragazze tranne Nausicaa, cui Atena ha infuso coraggio. Supplicata la sovrana, Odisseo, ora lavato e pulito, viene ringiovanito da Atena e condotto di nascosto alla reggia di Alcinoo, dove dovrà convincere la regina Arete.
Il VII canto dell’Odissea
All’inizio del VII canto Odisseo arriva al palazzo di Alcinoo e ne ammira l’architettura e il florido giardino ma poi, fattosi coraggio, varca la soglia del salone, e si inginocchia davanti ad Arete. L’eroe viene accolto come straniero e supplice, e i sovrani dei Feaci, famosi per le loro navi veloci, gli assicurano una scorta per ricondurlo sano e salvo a casa.
Solo Arete non è completamente convinta dell’uomo che le siede accanto e, riconoscendo nelle vesti che Odisseo indossa quelle che ella aveva affidato a Nausicaa, lo riempie di domande sulla sua identità e sul suo lungo esilio. Odisseo giustifica con tatto il suo incontro con la figlia Nausicaa, ma decide di tenere celato almeno per il momento il suo status di eroe.
Il canto VIII dell’Odissea
Il canto VIII inizia, come molti altri, con l’aurora “dalle dita di rosa”, che rischiara un nuovo giorno. Alcinoo conduce Odisseo all’assemblea dei Feaci, stimolati a partecipare dalle parole di Atena. Il re propone a tutti gli altri uomini dell’isola il piano a cui aveva pensato, cioè di condurre Odisseo a casa su una nave insieme ad una scorta.
Essendo stati tutti convinti, Alcinoo decide di festeggiare dando un banchetto, a cui partecipa anche il cantore Demodoco. Appena il cantore inizia a raccontare dell’“ira del Pelide Achille”, Odisseo viene preso da un gran pianto, che nasconde col manto tirato sulla testa. Alcinoo nota sorpreso il dolore dell’uomo, e inizia a sospettarne la natura di eroe.
Indice così una gara tra tutti i giovani dell’isola, cui viene invitato anche Odisseo. Uno dei giovani, Eurialo, risponde al re che uno straniero, peraltro vagabondo, non potrebbe mai conoscere i giochi in voga presso i Greci. Odisseo, irritato nel suo orgoglio, dà una bella lezione ad Eurialo, e dimostra tutte le sue capacità nel lancio del disco. Ormai il segreto è stato svelato: Odisseo è un eroe acheo. Il canto si conclude con l’addio di Nausicaa, che è costretta ad abbandonare l’idea di sposare Odisseo, e con il terzo canto di Demodoco. Odisseo viene preso di nuovo dal pianto: è giunto il momento che racconti a tutti la sua storia.
Una società matriarcale?
A partire dalle divagazioni che il poeta fa sulla società dei Feaci, molti si chiedono se i libri della Feacide rispecchino un tipo di civiltà primitiva, o meglio, pre-ellenica. L’aspetto che colpisce di più, infatti, è l’insolita uguaglianza tra Alcinoo e Arete nel governo dell’isola, o addirittura una preminenza della donna sull’uomo. Odisseo dovrà convincere Arete, non Alcinoo, per farsi riportare a casa.
I Feaci inoltre non conoscono guerra, non hanno nemici e non praticano il commercio; si sostentano, di fatto, solo con l’agricoltura. Non avendo esperienza di conflitti, essi non riescono nemmeno a cogliere nel suo vero significato il canto epico: è per questo motivo che, al racconto delle vicende di Troia fatto da Demodoco, Odisseo che è greco reagisce col pianto, mentre i Feaci provano piacere e gaudio.
La Feacide, dunque, rappresenterebbe il “contenitore” in cui – come spesso accade negli stratificati poemi omerici – è sopravvissuto il ricordo di una società antica, caratterizzata da quelle forme che i Greci riconoscevano alle civiltà primitive: matriarcato, agricoltura, pace.
Il ruolo della Feacide nell’Odissea
Ma il ruolo della Feacide all’interno del poema non si limita a questo. Essa può essere considerata a tutti gli effetti un’Odissea in piccolo.
Odisseo, infatti, approda a Scheria da naufrago e riparte da eroe. Questi tre canti, dunque, comprendono una salvezza “temporanea” (in attesa della vera salvezza ad Itaca); l’incontro con una donna (ora Nausicaa, poi Penelope); e il riconoscimento di Odisseo quale eroe (in attesa del vero riconoscimento che avverrà ad Itaca; in entrambi i casi, comunque, attraverso delle gare). È poi a Scheria che Odisseo inizia il lungo racconto delle sue peripezie.
La Feacide, dunque, rappresenta un nodo fondamentale dell’Odissea. Sia dal punto di vista strutturale, perché dà l’avvio al lungo flashback dei canti successivi; sia dal punto di vista tematico, perché gli eventi che accadono a Scheria si ripeteranno, amplificati, ad Itaca.
Alessia Amante