Scritto tra il 1796 e il 1797 e pubblicato nel 1813, Orgoglio e pregiudizio è il romanzo più conosciuto di Jane Austen. Della stesura originale dal titolo First impressions non rimangono che congetture. Si trattava di un romanzo epistolare, il cui titolo fu cambiato probabilmente in riferimento alla disposizione dei due protagonisti. Certo, le prime impressioni di Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy sono il motore di tutta l’azione; ma queste prime impressioni sono connotate da, appunto, orgoglio e pregiudizio nell’uno nei confronti dell’altro.
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Scrittura femminile
Orgoglio e pregiudizio è, prima di tutto, una storia d’amore. Le storie d’amore – soprattutto se argomento di scrittrici donne – sono oggetto di pregiudizio. Sebbene siano una delle esperienze umane più comuni, un lettore è facilmente allontanato da una trama d’amore. Si ritiene che non si possa più scrivere qualcosa di nuovo sull’argomento; si ritiene che si scada facilmente nel romanticismo stucchevole. Inoltre, si somma il preconcetto che le donne scrittrici siano meno dotate degli uomini. Si riconosce più facilmente il capolavoro il cui autore sia un uomo.
Jane Austen (vale anche per le sorelle Brontë, George Eliot e in epoca più recente Virginia Woolf, per fare alcuni nomi) è una scrittrice influente. Eppure cade vittima del cliché sessista della scrittura femminile. D’altronde, non è difficile leggere di una fantomatica ‘scrittura femminile’ anche negli spazi della critica letteraria più seria. Questo aggettivo ‘femminile’ viene utilizzato quasi per precludere alle donne la partecipazione egualitaria. Esistono un talento femminile, una voce femminile, una scrittura femminile (per non parlare, poi, dello sport), ma non un corrispettivo maschile; quando si parla di uomini, si tratta semplicemente di talento, voce, scrittura.
Non si può prescindere da quest’aspetto discriminatorio degli studi, ma anche del nostro stesso linguaggio, della nostra attitudine a spiegare il mondo. Le autrici sono escluse dalla caratteristica universale del capolavoro: le loro esperienze e le loro opere non accedono alla categoria dei classici allo stesso modo, perché sono parziali alla condizione di essere donne. La norma è essere uomini, l’eccezione è essere donne.
Jane Austen, i rancori e i torti
Scriveva Virginia Woolf nel suo più celebre saggio, Una stanza tutta per sé, a proposito della contessa di Winchilsea, scrittrice del XVII secolo:
È evidente che la sua mente non ha appieno “distrutto tutti gli ostacoli e si è fatta incandescente”. Al contrario è perseguitata e distratta da rancori e da torti. Per lei la razza umana è divisa in due parti. Gli uomini sono la “fazione nemica”, gli uomini sono odiati e temuti, perché possiedono il potere di sbarrarle la strada verso quello che vuole fare – ossia scrivere.
E a proposito di Jane Austen:
E quando le persone paragonano Shakespeare e Jane Austen deve essere perché entrambi hanno distrutto tutti gli ostacoli delle loro menti, ragione per cui non possiamo dire di conoscere né l’uno né l’altra, ragione per cui Jane Austen pervade ogni parola che scrive proprio come fa Shakespeare. Se qualcosa abbia fatto soffrire Jane Austen doveva trattarsi della ristrettezza della vita che le era imposta. […] Il suo talento e le condizioni di vita si combinavano alla perfezione.
Dunque, Virginia Woolf mette in luce in Jane Austen una felice qualità che la conduce a una scrittura esente da recriminazioni di ingiustizie, che inquinano le storie.
Ma possiamo essere d’accordo con l’analisi della Woolf?
La vita privata
And professing myself moreover convinced that the general’s unjust interference, so far from being really injurious to their felicity, was perhaps rather conductive to it, by improving their knowledge of each other, and adding strenghth to their attachment, I leave it to be settled, by whomsoever it may concern, whether the tendency of this work be altogether to recommend parental tyranny, or reward filial disobedience[1].
Questa la chiusa della narratrice di Northanger Abbey (L’abbazia di Northanger) a commento delle alterne vicende di Catherine Morland e Henry Tilney. Si tratta di uno dei primi romanzi che Jane Austen ha completato, nel 1803, e proprio queste parole ci fanno scorgere nella sua produzione selezioni tematiche che non sono del tutto esenti da motivi di rancore.
Della vita di Jane Austen conosciamo pochi dettagli, anche a causa della distruzione di gran parte del suo epistolario ad opera della sua famiglia. Sappiamo però che ebbe a patire una delusione amorosa proprio a causa delle pressioni familiari che distolsero Tom Lefroy, un giovane irlandese, dall’intenzione di sposarla. Jane Austen, dunque, ebbe a conoscere il potere del condizionamento sociale, filo conduttore sotterraneo, del resto, dei suoi scritti. L’abbazia di Northanger non fa eccezione: Catherine Morland e Henry Tilney sono osteggiati dal padre di lui, che vorrebbe vederlo legarsi a una donna di più fortunata condizione economica.
Del resto, bisogna anche tener conto che la letteratura perderebbe molto in fascino se non portasse anche il segno degli eventi delle vite dei suoi autori; se i romanzi di Jane Austen fossero del tutto scevri dalle sue passioni e dalle sue frustrazioni, così ironicamente traslati, potremmo dire che perderebbero di mordente.
Orgoglio e pregiudizio
Proprio Orgoglio e pregiudizio è impregnato di critica sociale. I rapporti tra i due protagonisti sono resi difficoltosi dalle posizioni di Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy. Durante un ballo, Elizabeth ascolta per caso Darcy dare una prima impressione su di lei, poco lusinghiera in verità. Se quello sgradevole giudizio sul suo aspetto sarà poi quasi immediatamente mutato dalla bellezza vivace di Elizabeth, accesa proprio dalle danze, il loro legame non sarà facilitato né dall’orgoglio ferito di Elizabeth né dal comportamento della sua famiglia o da quello di Darcy.
Infatti i due sembrano essere continuamente in battibecco; se a Darcy pare che possa trattarsi di schermaglia amorosa, Elizabeth è contrariata dal suo atteggiamento arrogante e scostante.
Ancor più disastrosa, poi, è la prima manifestazione dell’amore di Darcy, che viene respinta, a ulteriore motivo della sua dichiarazione resa a “dispetto di”: a dispetto delle condizioni economiche della famiglia di Elizabeth, a dispetto delle parole scandalose di sua madre, a dispetto dell’esuberanza sconveniente della sorella Lydia. Sebbene Elizabeth ne sia fortemente offesa, col tempo e col procedere della loro conoscenza, arriverà a riflettere sull’onestà disarmante di quei sentimenti, che non hanno perso in veracità a dispetto – appunto – di tutti gli ostacoli.
Questa la storia, a grandi linee, raccontata in un romanzo caratterizzato dalle intense e brillanti conversazioni, che sembrano disvelare completamente la personalità di Darcy ed Elizabeth. Orgoglio e pregiudizio ha il potere di incantare con un mondo lontano, che appare più vicino per la vitalità e la sensibilità dei suoi personaggi.
Perché, dunque, leggere Jane Austen?
Cos’abbiamo in comune con una donna che visse tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo? Cosa possiamo trovare nelle parole di un’autrice che condusse gran parte della sua vita in casa o partecipando a feste e balli? Come possiamo conversare con lei?
Un classico è, forse, un libro senza tempo, in cui il lettore di ogni tempo possa riconoscersi. In Elizabeth Bennet, ribelle, generosa e sincera, dalla lingua affilata come un puntello a smascherare l’ipocrisia, non è possibile non riconoscere un’eroina. Un’eroina che di certo non salvò nessuno, né si consumò in una passione disperata, e neppure convertì alcuno; ma, eroicamente, perseguì le sue inclinazioni e, felicemente, realizzò i suoi obiettivi.
Oriana Mortale
Note
[1] e professandomi, a maggior ragione, convinta che l’interferenza ingiusta del generale, ben lontana dall’essere invero dannosa per la loro felicità, forse piuttosto condusse verso di essa, migliorando di ciascuno la conoscenza dell’altro, e rafforzando il loro legame, lascio stabilire, a chiunque possa importare, se la propensione di questo lavoro sia nel complesso di raccomandare la tirannia genitoriale o di ricompensare la disobbedienza filiale.
Bibliografia
J. Austen, The complete works, e-artnow, 2013.
J. Austen, Niente donne perfette, per favore. Lettere di profonda superficialità, traduzione e cura di Eusebio Tabucchi, L’Orma, 2016.
V. Woolf, Jane Austen, elliot, 2017.