L’indifferenza è il peso morto della storia (A. Gramsci)
“Popolo” è un concetto molto dibattuto dalla filosofia politica. Ma non solo. Anche in letteratura la problematica di come rappresentare il popolo ha sollevato non poche questioni. Due critici letterari di fama mondiale quali Auerbach e Bachtin nei loro lavori capitali hanno sollevato questa esigenza di studiare le rappresentazioni del popolo e l’hanno posta al centro dei loro interrogativi.
Il critico letterario che si è occupato di popolo più di tutti in Italia è sicuramente Antonio Gramsci. Il concetto di popolo espresso nel pensiero di Gramsci è però strettamente correlato alla funzione politica che il popolo svolge, alla sua composizione sociale al suo esprimersi e al suo essere rappresentato nell’arte e quindi anche nella letteratura.
La nozione di “intellettuale organico” costituisce un tutt’uno con l’esigenza di rappresentare il popolo nell’arte e fornire ad esso la dignità di essere contenuto nella letteratura. Per guidare la rivoluzione è necessaria la figura dell’intellettuale che ha anche il suo non irrilevante ruolo sul piano culturale.
A lui è assegnato il compito di fare del popolo l’oggetto interessato nel compito di riorganizzazione della cultura; a lui è attribuito il ruolo di elaborare la necessaria filosofia della praxis per operare quella rivoluzione politica che porterà il popolo al potere attraverso il partito e lo eleverà in dignità.
Ed è per questo che Gramsci pone alla base della sua riflessione alcune domande che interessano direttamente il popolo e le sue rappresentazioni letterarie. Tutte le domande che si pone sono funzionalizzate alla realizzazione del progresso sociale.
Le domande di Gramsci sulla letteratura italiana e sul ruolo del popolo
Gramsci stesso fornisce una serie di domande poste in tono incalzante una dietro l’altra. In questi interrogativi si nota come Gramsci attribuisca al popolo delle prerogative fondamentali. Scrive nei Quaderni:
Ecco il “catalogo” delle più significative quistioni da esaminare ed analizzare:
1) Perchè la letteratura italiana non è popolare in tutta Italia (per usare un’espressione di Ruggero Bonghi) ?
2) Esiste un teatro italiano? Polemica impostata da Ferdinando Martini e che va collegata con l’altra sulla maggiore o minore vitalità del teatro dialettale e di quello in lingua.
3) Quistione della lingua nazionale, così come fu impostata da Alessandro Manzoni.
4) Se sia esistito un romanticismo in Italia.
5) E’ necessario provocare in Italia una riforma religiosa come quella protestante? cioè l’assenza di lotte religiose vaste e profonde determinata dall’essere stata in Italia sede del papato quando fermentarono le innovazioni politiche che sono alla base degli Stati moderni fu origine di progresso o regresso?
6) L’Umanesimo e il Rinascimento sono stati progressivi o regressivi?
7) impopolarità del Risorgimento ossia indifferenza popolare nel periodo delle lotte per l’indipendenza e l’unità nazionale
8) Apoliticismo del popolo italiano che viene espresso con frasi di “ribellismo”, di “sovversivismo”, di “antistatalismo” primitivo ed elementare
9) Non esistenza di una letteratura popolare in senso stretto (romanzi d’appendice, d’avventure, scientifici, polizieschi etc.) e “popolarità” persistente di questo tipo di romanzo tradotto in lingue straniere, specialmente dal francese. Non esistenza di una letteratura per l’infanzia. In Italia il romanzo popolare di produzione nazionale è quello anticlericale oppure le biografie dei briganti. Si ha però un primato italiano nel melodramma, che in un certo senso è il romanzo popolare musicato.
L’analisi di Gramsci sull’assenza di una letteratura nazional-popolare e l’accusa agli intellettuali.
Gramsci osserva acutamente che in lingua russa, tedesca, slava e francese il termine “popolare” e “nazionale” sono sinonimi o almeno strettamente correlati. In Italia non è così. Nota come i romanzi letti dal popolo come il genere d’appendice, poliziesco, di divulgazione scientifica, per bambini o di avventura, siano, nella stragrande maggioranza tradotti da lingue straniere.
Ciò che manca all’Italia è l’intellettuale organico al popolo mentre in Italia questi sono ” legati più ad un Annibal Caro o a un Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano”. Avanzando che solo i cattolici, nell’intento di dare formazione spirituale al popolo sono riusciti in una minima parte a compiere ciò che era compito dell’intellettuale organico al popolo:
I laici hanno fallito al loro compito storico di educatori ed elaboratori della intellettualità e della coscienza del popolo-nazione, non hanno saputo dare una soddisfazione alle esigenze intellettuali del popolo: proprio per non aver rappresentato una cultura laica, per non aver saputo elaborare un moderno “umanesimo” capace di diffondersi fino agli strati più rozzi e incolti, come era necessario dal punto di vista nazionale, per essersi tenuti legati a un mondo antiquato, meschino astratto, troppo individualistico o di casta.
L’accusa è mossa anche alla letteratura nazionale e i Promessi sposi di Manzoni sono per Gramsci l’esempio paradigmatico di come il popolo sia rappresentato nei suoi personaggi senza forte spessore psichico-morale. A differenza dei personaggi del popolo che popolano la narrativa di Tolstoj o quella di Dickens, Hugo, Zola hanno spessore morale solo il Cardinale Borromeo, l’Innominato, Don Rodrigo e Fra Cristoforo: tutti di estrazione sociale elevata.
Per Gramsci il problema dell’assenza di un’intera cultura nazional-popolare continua ad essere un problema serio della nazione che minaccia la coesione sociale dell’intera Italia.
Luca Di Lello