Da Platone ad oggi la filosofia si è interrogata innumerevoli volte sul senso dell’esperienza musicale e sull’evoluzione del suo linguaggio. Al riguardo ancora oggi la riflessione che risulta più lungimirante, in quanto incredibilmente attuale, è quella del filosofo tedesco Theodor Adorno.
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Poiché nell’arte non abbiamo a che fare con un gioco meramente piacevole o utile, ma…con un dispiegarsi della verità.
Con questo passo dell’Estetica hegeliana Adorno apre la Filosofia della musica moderna, che pubblica nel 1945. Qui analizza criticamente l’evoluzione della musica moderna che, per certi versi, come vedremo a breve, si addice anche allo statuto di quella contemporanea. Ciò che emerge di primo acchito, sfogliando le prime pagine dell’opera, è lo sforzo che il musicologo chiede di fare al lettore.
Da una parte l’argomentazione è pienamente filosofica, giacché si riflette sulla corrispondenza tra i cambiamenti che interessano la musica e il modo in cui la società circostante si sta strutturando. Dall’altra parte Adorno spinge il lettore a fare i conti con le sue disamine sulla dodecafonia, il sistema tonale e quello modale. Infine, appare opportuna una pregressa conoscenza dell’attività creativa di Schönberg e Strawinsky, posti costantemente a confronto.
Quella del filosofo è una vera e propria strategia linguistica che va interpretata alla luce del contenuto critico del testo. Adorno infatti si scaglia contro la musica moderna, perché troppo incline a lasciarsi corrompere dall’industria culturale. L’originalità della musica risente, cioè, del processo di Aufklärung, termine col quale indica quel procedimento mirato alla chiarificazione e alla razionalizzazione totale della società moderna.
Le configurazioni oscure del linguaggio musicale vengono così appiattite e il soggetto svanisce, affinché la musica possa essere facilmente riconosciuta e apprezzata. Il problema secondo Adorno è che quando l’arte riflette senza differenze la realtà, per essere da quella compresa, diviene del tutto insignificante. Schönberg, infatti, sarebbe stato l’unico in grado di esprimere davvero questa situazione, attraverso la dodecafonia.
Infatti la tecnica compositiva di Schönberg, grazie alla quale il materiale musicale è organizzato per annientare qualsivoglia sproporzione, dimostra appieno l’assenza di libertà in cui riversa il soggetto.
Ci si può domandare se l’arte è mai stata quell’immagine mediata della realtà sotto il quale aspetto cercò di legittimarsi di fronte alla potenza del mondo, o non sia piuttosto sempre un rapporto verso questo mondo, una maniera di opporsi alla sua potenza.
A fronte di questa considerazione di Adorno è interessante capire a posteriori fino a che punto la sua disamina fosse corretta, soprattutto per ciò che concerne la musica attuale. Innanzitutto egli intende la musica leggera, che oggi prevale su tutte le altre, priva di espressione e capacità di comunicare e a ciò aggiunge:
Questa musica viene percepita solo come uno sfondo sonoro: se nessuno più è in grado di parlare realmente, nessuno è nemmeno più in grado di ascoltare.
Il punto allora non è, per dirla con Nietzsche, che la parola surclassa la musica fino ad oscurarla, ma che la musica in sé e l’esperienza dell’ascolto sono radicalmente cambiate. La musica moderna, tanto quella “impegnata” quanto quella popolare, nella riflessione di Adorno sarebbe andata incontro ad un terribile declino, da quando ha assunto sulle proprie spalle il proposito di mediare oggettivamente l’intera società.
La musica leggera attuale è in effetti la piena espressione di ciò, giacché il carattere semplicistico e mnemotico, che si lega alla reiterazione di storie reali e strofe sempre più banali, induce ogni potenza immaginativa a farsi da parte.
Mentre l’apparenza nell’opera d’arte va scomparendo, come risulta dalla lotta contro l’ornamento, la posizione dell’opera d’arte stessa incomincia a diventare insostenibile.
Portando agli estremi la disamina di Adorno potremmo quasi concludere che sia improprio definire molti dei cantanti e compositori della musica contemporanea “artisti”. Se da un lato, infatti, la svolta consumistica ha permesso anche ai generi di nicchia di continuare a vivere, dall’altro lato ha portato uno stravolgimento anche nell’esperienza dell’ascolto, o sarebbe più opportuno dire “del sentito” che oggi si sviluppa a partire da un bombardamento mediatico molto aggressivo.
Infatti tra la musica che fa da sfondo alle pubblicità alla stragrande quantità di contenuti musicali disponibili sul web, pronti ad invadere lo schermo anche senza una ricerca mirata, appare sempre più difficile individuare personalità votate alla pura sperimentazione.
Come per Adorno, anche per noi è valida la speranza di rintracciare qualcosa di innovativo. Non è chiaro se il numero elevato di ascolti della kermesse sanremese ne sia la dimostrazione, ma quel che è certo è che nulla ci vieta di pensare che, lontano dai nostri occhi, ci possa essere uno Schönberg rivoluzionario dei nostri tempi, che da qualche parte rimane inascoltato.
La speranza della sua esistenza è valida soprattutto se, come sostiene Adorno, il destino della musica nuova è tanto nel non essere riconosciuta quanto “nell’assoluto venir dimenticato”, come il manoscritto lasciato in una bottiglia che attende di essere scoperto.
Giuseppina Di Luna
Bibliografia
Theodor Adorno, Filosofia della musica moderna, Einaudi, Milano 2014.
Theodor Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Milano 2002.