Un viaggio chiamato amore è un fitto carteggio che racconta la storia di un sentimento intenso, forte e a tratti violento, vissuto da Dino Campana e Sibilla Aleramo tra il 1916 ed il 1918.
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Dino Campana
Lui nato a Marradi nel 1885, definito il poeta più visionario della letteratura italiana grazie alla sua opera I canti orfici; composti nel 1913 con il titolo Il più lungo giorno, lo scrittore li consegnò a Giovanni Papini e Ardengo Soffici per la pubblicazione. Ma qualcosa andò storto.
Il manoscritto si perse, cadde nell’oblio e Campana stesso raccontò:
per tre o quattro giorni andò avanti poi Papini mi disse che gli rendessi il manoscritto ed altre cose che avevo, che l’avrebbe stampato. Ma non lo stampò. Io partii non avendo più soldi (dormivo all’asilo notturno ed era il giorno che facevano le puttane sul palcoscenico alla serata futurista incassando cinque o seimila lire) e poi seppi che il manoscritto era passato in mano di Soffici. Scrissi 5 o 6 volte inutilmente per averlo e mi decisi di riscriverlo a memoria…
Con molteplici sforzi e numerose modifiche fu riscritto nuovamente, il giovane poeta infatti aveva consegnato l’unica copia che possedeva. Fu pubblicato nell’edizione Ravagli nel mese di giugno del 1914 con il titolo I canti orfici, ma il suo equilibrio e la sua mente già labile furono intaccati per sempre.
Sibilla Aleramo
Lei, Sibilla Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio, nata ad Alessandria nel 1876, già conosciuta negli ambienti colti, bella, affascinante, corteggiata, nel novembre del 1906 aveva già pubblicato con STEN, Società Tipografica Editrice Nazionale, il romanzo Una donna, che ebbe immediata fortuna, dal momento che si trattava di uno dei primi libri femministi in assoluto.
Alfine mi riconquistavo, alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d’incontaminato, di bello; alfine arrossivo dei miei inutili rimorsi, della mia lunga sofferenza sterile, dell’abbandono in cui avevo lasciata la mia anima, quasi odiandola. Alfine risentivo il sapore della vita, come a quindici anni.
Sibilla, ribelle e coraggiosa, ebbe tra le mani proprio le poesie dei Canti Orfici e rimase talmente colpita da scrivere a Mugello il 25 luglio del 1916:
Chiudo il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio, musico cuore…
con la tua vita intera
sei nei tuoi canti
come un addio a me.
Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli, meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,
liberi singhiozzando, senza mai vederci, né mai saperci, con notturni occhi. (…)
Il primo incontro
Iniziò così Un viaggio chiamato amore e una fitta corrispondenza che culminò in un fatidico primo incontro di amore e passione. Scriveva Sibilla Aleramo: «Non ho saputo che abbracciarti. Tu che m’avevi portata così lontano»; rispondeva Dino Campana: «Ti aspetto».
Fu amore a prima vista.
Quella tra Dino e Sibilla fu una storia complessa di sentimenti eccessivi e umani, un legame distruttivo che si consolidò negli interminabili viaggi a Faenza, Marradi, nei paesi dell’Appennino, a Firenze. Fughe, botte, poesia ed il tentativo di abbandonarsi per poi ritrovarsi sempre, incessantemente. Ma tutto è raccontato, cristallizzato dai loro versi e da parole taglienti come lame.
In una lettera datata 12 marzo 1917 la donna rispose così alle domande di Campana: «Non vengo, mio povero amore. Perché non posso e perché non voglio. Ma non posso neppure scriverti. Soffro». Ed ecco che lui, pochi giorni dopo, il 21 marzo del 1917 la supplicava: «Caro amore, mi accetti o no come tuo modesto compagno per sempre?».
Un viaggio chiamato amore: una storia immortale
Un viaggio chiamato amore è la poesia che Dino dedicò a Sibilla Aleramo ed è un testamento del suo sentimento. Quel viaggio vissuto con il sangue, con le lacrime perché ormai parlava soltanto di una storia senza speranza. Con un grido disperato Campana scrisse il 27 settembre 1971:
Mi lasci qua nella mani dei cani senza una parola e sai quanto ti sarei grato. Altre parole non trovo. Non ho più lagrime. Perché togliermi anche l’illusione che una volta tu mi abbia amato è l’ultimo male che mi puoi fare.
La lettera non ebbe risposta, così come la seguente. L’ultimo biglietto è del 17 gennaio 1918 e somiglia ad un addio struggente e definitivo. Queste le parole di Campana ai silenzi della sua amata: «Se credi che abbia sofferto abbastanza, sono pronto a darti quello che mi resta della mia vita».
Una relazione che, divampata come un incendio, bruciò e si consumò in fretta nella maniera più tragica possibile. Nel mese di gennaio del 1918, infatti, i due si incontrarono per l’ultima volta davanti al cancello del manicomio di San Salvi, dove Campana fu internato. Poco dopo, Dino Campana fu trasferito nell’ospedale psichiatrico di Castel Pulci, dove morì nel 1932, forse durante un tentativo di fuga.
Le lettere
Sibilla acconsentì alla pubblicazione di Un viaggio chiamato amore, quindi delle sue lettere, nel 1958, due anni prima di morire. Lasciando ai posteri emozioni e sensazioni di due grandi menti della letteratura italiana.
Nel 1971, una sensazionale scoperta: il manoscritto ormai considerato perduto di Campana fu ritrovato tra le carte di Soffici.
Questa storia d’amore così drammatica e vera appassiona ancora, tanto che nel 2002, proprio dal loro carteggio, Michele Placido ne ha tratto un film con Stefano Accorsi e Laura Morante, dall’omonimo titolo di Un viaggio chiamato amore, premiato alla Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia.
Valentina Certo