L’archetipo dell’automa ha radici lontane nel mito. In ogni civiltà preindustriale, dall’antichità al rinascimento, se ne trovano tracce più o meno fiabesche: dagli automi di vario aspetto, umanoide o meno, costruiti da Efesto e da Dedalo, alla leggenda ebraica del golem, passando per il cinese Libro del Vuoto Perfetto (III sec. a. C.), col suo resoconto sugli androidi che l’ingegnere Yan Shi mostrò al re Mu di Zhou.
L’androide cretese Talos
Talos (il cui nome in ambito cretese è equivalente di Helios) è un uomo artificiale di bronzo, pressocché invulnerabile, fatta salva una vena scoperta dietro una caviglia, poco sopra il tallone. Il mito che lo riguarda indica come suo costruttore Efesto, che ne avrebbe fatto dono a Minosse. Talos tutelava i confini di Creta, impedendo che chiunque ne uscisse o vi entrasse contro il volere del re.
Altre versioni ravvisano in Talos una creazione di Dedalo, l’inventore di creazioni artigianali raffinate. Questi era fuggito da Atene dopo aver ucciso suo nipote Talos, della cui perizia inventiva era geloso. Giunto a Creta, pentitosi dell’omicidio, costruì per Minosse l’androide, a cui diede il nome del nipote, per eternarne il nome.
Quale che ne fosse il costruttore, Talos fu poi ucciso, o meglio “disattivato”, da uno degli Argonauti, Peante, quando Giàsone e Medea e i loro compagni giunsero a Creta. Peante poté trafiggere Talos nella sua vena fatale solo dopo che Medea, maga e antesignana di hacker e sabotatori, ebbe fatto impazzire l’androide. La presenza di Talos nell’immaginario moderno è ben viva, se si pensa che il progetto di polizia robotica oggi messo in opera dall’Unione Europea, il Project Talos, porta il suo nome.
Tutti gli androidi di Omero
Di androidi ci parlano sia l’aedo dell’Iliade, sia l’aedo dell’Odissea. Sono ben note le tre fanciulle coperte d’oro che Efesto si è costruito come aiutanti alla forgia. Il poeta dell’Iliade le descrive nel XVIII libro, intente ad aiutare il dio del fuoco nella fabbricazione dello scudo di Achille:
[…]Si mossero a reggere il sire le ancelle
auree, che a vive fanciulle parevano simili in vista
mentre racchiudono dentro il petto, e posseggono voce,
forza, e ai lavori son pronte in virtù dei numi immortali.
(Il.XVIII vv. 417-420 trad. Daniele Ventre)
Nella loro forma e struttura non hanno nulla da invidiare al C-3PO di lucasiana memoria, superandolo in efficienza e design. Il poeta dell’Iliade, parecchio addentro nell’officina di Efesto e precursore di Asimov e di alcune sottili distinzioni della cibernetica, immagina anche macchine di forma non umana: fra queste i tripodi automatici, portavivande, che Efesto costruisce per gli dèi. Come si può notare, la distinzione fra robot e androide ha una lunga tradizione:
[…] forgiò venti tripodi tutti insieme,
da collocare alle mura del suo ben costrutto palazzo,
sotto ciascun piedistallo aveva attaccato auree ruote
sì che da soli potessero andare all’accolta divina,
quindi tornassero a casa di nuovo, un prodigio a vedersi.
(Il. XVIII vv. 373-377 trad. Daniele Ventre)
Meno appariscenti i robot e gli androidi dell’Odissea: li troviamo descritti fra le meraviglie della reggia di Alcinoo, sorvegliata da statue animali e umane, anch’esse creazione di Efesto:
d’oro e d’argento, da entrami i lati, poi v’erano cani
quelli che Efesto forgiò, con ispirazione sapiente,
a tutelare la casa di Alcinoo, magnanimo cuore
(giorno per giorno immortali duravano e immuni a vecchiaia).
(Od. VII vv. 91-94 trad. Daniele Ventre)
Antichità cibernetica: la Silicon Valley antica, da Siracusa a Rodi
L’immaginario mitologico degli androidi di Efesto e Dedalo ispirò più tardi gli scienziati ellenistici: così Ctesibio descriveva nei suoi trattati un ampio novero di automi da spettacolo, per effetti speciali, e molti ne aveva già realizzati Erone di Siracusa.
Un gigantesco braccio meccanico artiglia-navi pare fosse poi fra le macchine da guerra che Archimede aveva costruito per rendere inespugnabile Siracusa.
La vera e propria Silicon Valley antica, con i suoi automi e i suoi calcolatori meccanici, pare fosse però l’isola di Rodi, da cui proveniva il meccanismo rinvenuto in un relitto sommerso presso l’isola di Antikithera. Il meccanismo di Antikithera era un complesso calcolatore a ingranaggi usato per l’astronomia e l’astrologia. Vi era rappresentato il sistema geocentrico di matrice tolemaica, e le indicazioni di calcolo erano notate da più di trentamila minutissimi caratteri greci impressi nelle lamine di bronzo.
Non è dunque un caso, nella storia dell’Occidente, l’approdo a una civiltà di macchine, visto che l’uomo macchina è già nei cromosomi della cultura occidentale, creata dagli aedi e dai loro miti.
Arianna Colurcio