Nel 1941 il filologo ungherese Karoly Kerenyi pubblica, insieme allo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, Einführung in das Wesen der Mythologie (Introduzione all’essenza della mitologia), nel tentativo di diffondere la loro visione congiunta della mitologia. Il testo fu edito presso Einaudi nella famosa collana viola diretta da Cesare Pavese ed Ernesto de Martino con il titolo Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia. Al centro c’è il mitologema.
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La perdita dell’oggetto mitologico
Nell’introduzione scritta da Kerenyi viene detto che per intendere la natura della mitologia è necessario un rapporto reale con il suo oggetto, al pari di ciò che avviene con la musica o la poesia. Mentre ciò risulta naturale per queste ultime, il discorso si complica nel caso della mitologia, divenuta talmente estranea all’uomo a causa delle spiegazioni rivolte al suo oggetto forniteci dallo spirito scientifico. È la stessa scienza – intesa nel senso più ampio di conoscenza – ora, a detta di Kerenyi, a dovercene restituire il senso.
La questione del mitologema
La mitologia è un’arte e possiede, come la musica con i fenomeni sonori, un suo materiale peculiare detto mitologema che è stato tramandato attraverso racconti.
La mitologia è il movimento, la composizione della materia dei mitologemi. Allo stesso modo in cui per comprendere una sinfonia bisogna ascoltare il flusso musicale, per comprendere la mitologia è necessario lasciar parlare i mitologemi e prestar loro l’orecchio.
Questo movimento di materiale che era la mitologia rappresentava la forma d’espressione del pensiero e della vita dei popoli antichi: l’uomo faceva un passo indietro verso i modelli mitologici prima di agire, si plasmava su di essi; in tal modo la sua vita trovava un senso.
Mitologia e fondazione della vita
Tale misteriosa facoltà di dare un senso all’esistenza è la questione su cui Kerenyi fa perno per chiarire quella che dovrebbe essere l’essenza della mitologia. Malinowski, nel suo studio empirico del 1926 Myth in primitive psychology, riporta che il mito è una realtà vissuta che non viene creduta né come storia inventata né come realtà bensì come manifestazione di una realtà superiore ed originaria che determina la vita umana da tempi primordiali.
Falsa è la concezione eziologica del mito secondo cui esso sarebbe una spiegazione atta a soddisfare curiosità scientifica. Il mito non spiega nulla ma lascia rivivere, in forma di racconto, una realtà dei tempi primordiali ed attraverso questa esperienza dà alle società primitive modi e motivi per cui mettere in atto l’esistenza.
Per spiegare al meglio questa differenza ci viene in aiuto la lingua greca: la mitologia non fornisce mai delle αἰτία, aitìa, (cause) ma sempre delle ἀρχαὶ, archài – cioè delle condizioni primordiali da cui tutto ha eternamente origine. Simili alle ἀρχαὶ sono i fatti mitologici.
La mitologia è dunque ciò che fonda l’esistenza umana.
Le due ἀρχαὶ
L’origine mitologica viene sperimentata dall’uomo antico in due modi. Prima come ἀρχή assoluta, vale a dire l’inizio da cui diviene un individuo, l’unità di tutti i contrasti del suo essere – a tale origine allude il mitologema del fanciullo divino.
Poi come ἀρχή relativa, quella di tutti gli esseri prima e dopo di lui per mezzo della quale il singolo è immerso nell’eternità. È il mitologema della fanciulla divina a rappresentare questa ἀρχή.
La fondazione mitologica è appunto la pratica dell’immersione in questi due mitologemi.
Giovanni Marco Ferone