Quello di Medea è uno dei miti più affascinanti dell’antichità. Nel periodo classico, esso venne presentato da diversi punti di vista: nel teatro, nell’elegia e nei poemi epici. La sua è la storia di una donna passionale, capace di grandi amori e di grandi delitti. Ciò che ci apprestiamo a fare è osservare come questo mito è stato rappresentato nel cinema, in particolare da due registi diversi e distanti nel tempo: Pier Paolo Pasolini e Lars Von Trier.
Il mito di Medea
La vicenda comincia con la spedizione degli Argonauti. Giasone, il cui trono è stato usurpato dallo zio Pelia, per recuperare la corona, è costretto a superare una prova: recuperare il vello d’oro in Colchide. La pelle dell’ariete di Frisso è custodita da un drago insonne per conto di Eeta, re della regione e padre di Medea. L’incontro tra Medea e Giasone è descritto con grande profondità elegiaca nelle Argonautiche di Apollonio Rodio. La donna, perdutamente innamorata del giovane, decide di aiutarlo con le sue arti magiche, tradendo la famiglia. Inoltre, per aiutare Giasone nella fuga e rallentare il padre Eeta che li insegue, arriva ad uccidere il fratello Absirto, spargendone i pezzi dietro di sé.
Arrivati a Iolco, Pelia rifiuterà di cedere il trono a Giasone. Medea sfrutta allora le sue abilità magiche e persuasive: inganna le figlie di Pelia, convincendole a ucciderlo. Dopo averne constatato la morte, Acasto, altro figlio del re, bandisce i due coniugi dalla città. Questi si rifugiano a Corinto.
Da qui inizia la vicenda descritta nell’omonima tragedia di Euripide. Dopo alcuni anni, Creonte, re di Corinto, vuole dare sua figlia Glauce in sposa a Giasone, assicurandogli la successione al trono. L’eroe accetta, provocando la disperazione di Medea. Questa, inoltre, viene bandita dalla città, per il timore di sue ripercussioni nei confronti del re e di sua figlia. Tuttavia, la donna riesce ad ottenere il permesso di restare ancora un giorno per prepararsi all’esilio, ma intanto medita vendetta. Fingendo di aver accettato le nozze, Medea manda un dono a Glauce: un mantello avvelenato che fa morire la donna. Anche Creonte, che era giunto in soccorso della futura sposa, soccombe tra atroci sofferenze.
Inoltre, per vendicarsi di Giasone, Medea decide di tradire la sua natura di madre, uccidendo i due figli avuti da lui. Infine, la donna riuscirà a fuggire grazie ad Egeo, di cui diventerà sposa.
La storia di Medea, come è nella natura stessa del racconto mitico, contiene in sé infiniti significati. Ogni autore l’ha interpretata a suo modo: Ovidio, nelle Heroides e nelle Metamorfosi, l’ha raccontata dal punto di vista elegiaco, Seneca, nell’omonima tragedia, ne ha sottolineato gli spunti etici.
Il sacro Sole nella Medea di Pasolini
Tutto è santo. Non c’è niente di naturale nella natura, ragazzo mio.
Il poeta di Casarsa si concentra principalmente sulla dimensione barbara della Colchide. Il film gioca sul dualismo tra Medea e Giasone, che rispecchia una dialettica presente in tutto il cinema di Pasolini. Il regista mette in contrapposizione due realtà incommensurabili:
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- Un’arcaica barbarie, dominata dall’irrazionalità e da una visione sacrale dell’esistenza, trova la sua rappresentante in Medea.
- La modernità, dominata dal raziocinio, dal pragmatismo e dall’utilitarismo, delineata da Giasone.
L’aspetto metafisico dell’esistenza di Medea è sottolineato nelle prime scene, che sono completamente prive di dialogo. Esse mostrano il sacrificio rituale dello spirito del grano. Il Sole è l’immagine simbolo di questo mondo altro. L’astro è il padre di Medea e rappresenta una sacralità pervasiva e una visione animista del mondo.
Di contro, Giasone è l’esponente di un umanità che ha perduto il suo rapporto diretto col sacro, come si può notare durante le varie fasi della sua crescita. Da bambino il suo pedagogo ha l’aspetto di un poetico e mitico centauro. Da adulto questi assume le sembianze di un semplice essere umano.
L’Acqua è l’elemento associato all’eroe greco. Essa diviene simbolo d’instabilità, di fluidità nei rapporti, di adattamento alle situazioni. Un eroe “liquido” potremmo dire, citando lo scomparso Bauman.
Dall’incontro dei due protagonisti sboccia l’amore di Medea. La donna scappa dalla sua terra e si sveste degli abiti di sacerdotessa del Sole, indossando vestiti alla greca. La sua barbarità si smarrisce nel bisogno di conformarsi agli usi dell’uomo che ama. Tuttavia, tale barbarie irrazionale non può essere cancellata, ma solo rimossa. Il tradimento di Giasone e l’apparizione onirica del Sole risvegliano la natura pre-storica di Medea e la portano a vendicarsi contro i regnanti, in sogno, e contro Giasone, tramite l’infanticidio.
Tuttavia, non c’è più possibilità per Medea di ritornare a quella che era un tempo. Come afferma la donna nel finale: “Niente è più possibile ormai“.
Pasolini ambienta il mito in un deserto ocra e rosa, un “terzo mondo” indeterminato nello spazio e nel tempo.
Tuttavia, è possibile leggervi la reale situazione storica terzomondista, all’epoca delle riprese (1969). In seguito alla decolonizzazione, il contatto tra l’Occidente e le tribù africane stava portando ad una colonizzazione culturale con la conseguente perdita della dimensione religiosa e sacrale delle seconde.
La Medea di Pasolini, quindi, nonostante l’ambientazione mitica, continua a mantenere uno stretto legame con la realtà dei fatti, contemporanea al regista.
L’universo paludoso della Medea di Lars Von Trier
Lars Von Trier, invece, rompe qualsiasi rapporto con la realtà concreta, creando un mondo completamente onirico e metafisico. Il terzo film del regista danese si basa su una vecchia sceneggiatura di Carl Theodor Dreyer, riadattata e trasformata in un film per la tv (anche se non sembra per niente televisivo).
Tuttavia, nonostante alcune inquadrature richiamino i primissimi piani di La passion de Jeanne d’Arc, lo stesso Von Trier tende a precisare che la sua è una reinterpretazione e non un tentativo di emulazione.
La mano di Von Trier, infatti, è abbastanza evidente. I personaggi si muovono in un ambiente umido e sfocato. Una fotografia dai colori freddi dà alla scena un evidente timbro nordico. La casa di Medea è immersa in una grande e nebbiosa palude psicologica nella quale la protagonista dialoga coi suoi antagonisti.
Nella pellicola di Von Trier è l’elemento Acqua che si insinua in ogni angolo dell’inferno interiore della donna, quasi a creare uno spazio metafisico uterino, un grembo in cui si consuma il passaggio dalla Vita alla Morte e viceversa.
La scena iniziale è emblematica: Medea si trova sulla battigia e aspetta l’alta marea con le braccia aperte come un crocifisso. Tuttavia, quando l’acqua sembra averla coperta del tutto, si rialza prendendo fiato: una sorta di rinascita. Veniamo così a scoprire che la donna ha già compiuto i suoi delitti e comincia a raccontarli ad Egeo, sulla spiaggia.
La liberazione, che passa attraverso la vendetta e la negazione della vita attraverso l’infanticidio, sembra l’unica possibilità per Medea di liberarsi dal peso del tradimento. I figli gravano sulle sue spalle come un giogo per arare i campi e la coscienza della necessità del delitto si insinua anche nella mente del figlio maggiore che afferma poco prima di essere ucciso: “So cosa sta per succedere“.
Nel finale Medea si libererà della cuffia che porta per tutto il film di Von Trier, liberando con amarezza i suoi capelli al vento.
Inverso è il percorso di Giasone, che da una prospettiva di abbondanza, potere e soddisfazione sessuale si ritrova a morire, travolto dall’impetuoso vento della passionalità vendicativa di Medea, che trasforma il mondo e fa diventare l’erba un mare tempestoso.
Non c’è, quindi, nel film di Von Trier alcun legame concreto con la realtà storica, come accadeva in Pasolini, ma uno scandaglio della più profonda e torbida psicologia dei personaggi.
Giuseppe Mele