Il rapporto che lega sport e cinema è da sempre indissolubile, basti pensare ai vari Rocky, Il migliore, Ogni maledetta domenica, ecc. Lo sport racchiude in sé un profondo senso di gioia e libertà, il che rende le storie ad esso legate ideali per una trasposizione sul maxi-schermo. Fuga per la vittoria (Victory) racconta come una semplice partita di calcio possa far sentire liberi anche gli uomini sottoposti alla più feroce delle tirannie. Il cast del film, datato 1981 e diretto da John Huston, è formato da attori e calciatori di altissimo livello. Ai vari Sylvester Stallone, Michael Caine e Max von Sydow vanno affiancandosi, infatti, Pelé, Bobby Moore e Osvaldo Ardiles.
Costumi e ambientazione risultano fedeli al contesto storico, mentre le musiche del geniale Bill Conti comunicano perfettamente l’ideale senso di epicità sportiva. Fuga per la vittoria non è però soltanto un cult del genere sport-movie ma la storia di un gruppo di soldati prigionieri che trova nel calcio un insperato mezzo di riscatto. Il calcio assurge a simbolo di libertà e salvezza contrapponendosi all’oppressivo regime nazista.
Fuga per la vittoria, un’occasione per scappare
Anno 1942, la II guerra mondiale è in pieno svolgimento. Un gruppo di soldati alleati, prigionieri tra le mura di un apposito campo di concentramento, viene sfidato a disputare, nella Parigi occupata, una gara amichevole contro la nazionale tedesca. L’ufficiale britannico nonché ex calciatore John Colby (Michael Caine) si assume la responsabilità di reclutare i migliori giocatori presenti nel campo. Grazie ad una costante opera persuasiva convince i prigionieri-calciatori ad accettare la sfida lanciata dal maggiore nazista Von Steiner (Max von Sydow).
Il prigioniero canadese Robert Hatch (Sylvester Stallone), benché incapace di giocare a calcio, chiede a Colby di potere entrare a far parte della squadra. L’intento di Hatch consiste nell’ideare un piano che consenta a lui e ai compagni di trovare una via di fuga dall’attuale stato detentivo. Il canadese entra così in gruppo nel ruolo, meramente simbolico, di preparatore atletico. Viste le sue buone doti tra i pali verrà poi selezionato come portiere. Colby convince i suoi superiori ad inviare al campo altri prigionieri alleati con alle spalle importanti trascorsi calcistici. Intanto Hatch fugge dalla prigionia per architettare la futura fuga della sua squadra assieme ad alcuni partigiani francesi prima di farsi catturare e rispedire nel campo.
Un calcio all’oppressione
A Parigi, nello stadio di Colombes, la nazionale tedesca e la formazione alleata danno finalmente inizio al loro confronto. I tedeschi praticano un calcio ai limiti del regolamento, spesso violento, supportati da un arbitraggio tutt’altro che imparziale. Segnano un goal dietro l’altro portandosi a condurre sul risultato di quattro a zero. Gli alleati, con un moto d’orgoglio, riescono a trovare alla fine del primo tempo il goal della speranza. Le due squadre fanno quindi il proprio ingresso negli spogliatoi per l’intervallo.
Lì il tunnel appositamente preparato per la fuga dei prigionieri appare pronto ma essi rifiutano di percorrerlo. La squadra alleata, John Colby in primis, si mostra, infatti, riluttante ad abbandonare la partita. Dopo un intenso confronto anche Hatch si convince a rientrare sul terreno di gioco per la ripresa del match. Gli alleati giocano con maggiore cattiveria e determinazione, costringendo i propri avversari sulla difensiva e mettendo a segno tre reti che conducono ad un rocambolesco pareggio.
Sul finire dell’incontro il direttore di gara concede un generoso rigore alla nazionale tedesca. Incitato dall’intero stadio che intona le note de la Marsigliese, Hatch, fino ad allora non impeccabile, riesce a parare il tiro. Fuga per la vittoria si conclude con le immagini dei calciatori alleati che si nascondono tra gli invasori di campo giunti ad acclamarli riuscendo a fuggire. Von Steiner osserva la scena dalla tribuna d’onore con espressione lieta e compiaciuta.
Rinunciare alla fuga per conservare la libertà
Fuga per la vittoria racconta tutto il senso di libertà trasmesso dal calcio. Gli alleati perdono malamente 4-1 contro la nazionale tedesca, compagine rappresentante il potere totalitario per eccellenza. In campo subiscono ripetute aggressioni fisiche mascherate da interventi di gioco che l’arbitro volutamente preferisce non segnalare. Hanno la irripetibile opportunità di fuggire e mettersi in salvo, ma non lo fanno, anzi scelgono di proseguire la partita. Durante i novanta minuti di gioco gli uomini in divisa bianca non avvertono essere prigionieri di guerra. Il loro unico pensiero è, infatti, quello di ribaltare il risultato, non accettando la presunta superiorità sportiva (e razziale) millantata dalla compagine ariana. Riprendono a giocare perché arrendersi nello sport, dinanzi ad un avversario sleale e prepotente, equivale a perdere nella vita. Si può rinunciare alla fuga, non alla libertà.
Davide Gallo