Tra i filosofi più osannati e criticati dello scorso secolo ritroviamo di certo Paul K. Feyerabend, noto per le sue sferzanti critiche al metodo scientifico e la propensione ad un relativismo epistemologico estremo. In questo articolo scopriamo, però, che Feyerabend assume una posizione meno netta nel Dialogo sul metodo, pubblicato nel 1989. Ciò si evince già dal fatto che il discorso viene articolato come dialogo tra due punti di vista differenti: quello di A che crede di sapere e B che sa di non sapere. Il confronto fa presupporre che Feyerabend sia pronto ad accogliere prospettive diverse da quelle che lui stesso ha elaborato.
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Feyerabend: gli assunti del Dialogo
Si può considerare sensato qualcosa che non ha presupposti scientifici o razionali, dal momento che la stessa scienza è talvolta insensata e affine a ciò che non è scientifico. Pertanto è anche possibile trarre dal mito o dall’astrologia nozioni che potrebbero contribuire all’avanzamento della società.
Quelle suddette sono alcune delle tesi sostenute da B, che forse fa le veci di Feyerabend, poiché come quest’ultimo ha preso le distanze da Karl Popper, pur essendo stato suo allievo.
Questo significa che B crede nell’astrologia? Niente affatto, ma significa invece che è possibile sostenere una tesi senza doverla necessariamente abbracciare. In questo caso specifico, basta sapere che il rapporto con la natura, la divinazione o lo studio degli astri hanno permesso all’uomo di raggiungere alcune consapevolezze, poi dimenticate, che i moderni hanno dovuto acquisire nuovamente con altri metodi.
Dunque, con uno stile ironico e provocatorio B cerca di far vacillare a tutti i costi le certezze di A. Ciò non per il puro gusto di metterlo in difficoltà, ma per dimostrare che non esiste un metodo universale con il quale è possibile spiegare o conoscere le cose. Il bersaglio principale di Feyerabend si conferma essere il metodo scientifico, ma l’iter portato avanti da B ingloba anche altre sfere della nostra vita. Pertanto, egli non può esimersi dal rivolgersi non solo contro il razionalismo critico, ma anche contro la filosofia stessa.
Kant e Hume
Già nell’esordio al centro del dibattito vengono poste le virtù e da qui l’apertura di una parentesi su Kant a dir poco polemica. Egli viene accusato da B di aver dato vita ad una mostruosa caricatura di quello che significa essere umano. Cercare una coerenza nella pratica delle virtù è di fatto spesso impossibile, poiché la stessa gentilezza può scontrarsi con la verità. B ritiene che ad una donna morente che chiede del figlio che si trova in prigione, si può dire una bugia. A non è d’accordo perché, come sostenuto da Kant, anche una minima bugia offende l’umanità. B ribatte:
Devo dirglielo facendo sì che lasci questo mondo nella disperazione? […] Ora Kant dice che la sua disperazione non conta, se paragonata al benessere dell’umanità. […] Ma non una sola delle persone che soffrono in Etiopia esulterà o soffrirà meno perché sono stato crudele con la donna che ho davanti.
Si chiama in causa una buona dose di relativismo anche quando si parla della tendenza di Hume a giustificare un’asserzione generale in base ad un limitato numero di casi. Oltre al fatto che molti filosofi e scienziati tendono a supportare le loro tesi seguendo un ordine coerente e lineare. Questo modo di procedere dimostra scarsa consapevolezza del fatto che ogni convinzione o verità muti a seconda della tradizione e dal contesto in cui si sviluppa.
Mito, storia e scienza
Anche se come vedremo il relativismo epistemologico di Feyerabend viene smorzato da alcune sequenze del testo, si presenta comunque come il fil rouge del Dialogo sul metodo. Per spiegarlo ci rifacciamo al battibecco tra A e B sulla differenza tra Enoch, il personaggio biblico che vaga tra le sfere celesti per poi giungere a Dio e la storia dell’allunaggio.
B ritiene che non siano così diverse. Il mito e la storia non hanno confini così sfumati: vedasi il caso dell’Iliade e dell’Odissea. Per anni si è pensato che la guerra di Troia fosse solo un racconto, ma poi si è scoperto che così non era. Ricordiamo anche che la stessa Teogonia di Esiodo è stata la prima vera narrazione cosmologica. Una visione globale dell’universo che poi è stata del tutto abbandonata e ripresa solo di recente dalle teorie evoluzioniste.
Si potrebbe addirittura ritenere che:
gli inventori del mito hanno dato vita alla cultura, mentre gli scienziati l’hanno solo modificata, e non sempre per il meglio. […] La scienza è senz’altro un serbatoio di conoscenza, ma lo stesso vale per i miti, le favole, le tragedie, i componimenti epici e mole altre creazioni delle tradizioni non scientifiche.
Questo non significa demonizzare la razionalità in tutto e per tutto, ma anzi in alcuni passaggi l’accusa che B rivolge all’Occidente è il fatto di non aver considerato che quest’ultima non vada pensata solo in relazione all’ambito scientifico. Bisogna tra l’altro ammettere che spesso e volentieri proprio tra gli scienziati si annodano pregiudizi infondati. Molti paladini del metodo scientifico, come dimostra Feyerabend con alcuni esempi, avanzano giudizi critici su materie che neppure conoscono.
Il relativismo epistemologico di Feyerabend
Tutto questo relativismo, però, fa dubitare del fatto che proprio il Discorso sul metodo contempli la possibilità di fare un passo indietro su quella che egli definisce altrove come tesi dell’incommensurabilità. Secondo quest’ultima due o più teorie non possono neppure confrontarsi tra loro, poiché i piani di significato sono differenti. Per Feyerabend ciò vale soprattutto per teorie che inglobano dentro di sé molteplici aspetti. In questo scritto, però, si va oltre, poiché A chiede se le storie siano incommensurabili e B risponde:
Per niente. Per quanto attualmente manchi una spiegazione che renda le storie comprensibili, concedendo tempo agli antagonisti, è assai probabile che riescano a spiegarsi reciprocamente.
Non solo un confronto è possibile, ma sarebbe opportuno darsi tempo per capirsi. Del resto Feyerabend articola questo dialogo non a caso tra due persone che hanno idee diametralmente opposte. Inoltre non manca, mediante le parole di B, di elogiare alcuni intellettuali e filosofi che sono riusciti ad accogliere nel proprio pensiero aspetti considerati di solito irrilevanti o addirittura fuorvianti.
Di Gotthold Ephraim Lessing scrive:
Lo ammiro perché era un pensatore senza dottrine e uno studioso senza scuole. […] Lo ammiro perché non era soddisfatto della finta chiarezza, ma capì che a comprensione è spesso ottenuta tramite offuscamento delle cose.
Pro e contro della visione di Feyerabend
Le critiche di cui è stato oggetto Feyerabend hanno probabilmente a che fare con l’estremismo della sua posizione. Egli non manca di proporre in questo dialogo immaginario un’integrazione tra medicina tradizionale, agopuntura, fisioterapia e addirittura guarigioni per suggestione. Il presupposto è che ognuna di queste discipline dovrebbe acquisire lo stesso valore. L’individuo dovrebbe poter accedere ad una conoscenza complessiva e poi decidere liberamente da che parte stare.
Oggi risulta forse difficile pensare che una tale prospettiva non porti con sé caos e conseguenze controproducenti. Va detto, però, che se il presupposto è discutibile il fine, o per meglio dire, l’intento di Feyerabend lo sembra meno. Questa visione così radicale ha come obiettivo quello di mettere a tacere la presunzione di molti finti esperti che, facendo leva sull’ignoranza altrui, pretendono con smania di potere di dettare legge su questi. Il loro vero compito dovrebbe essere, invece:
rafforzare la capacità che gli esseri umani hanno di trovare da soli la propria strada.
Dietro le nebulose disquisizioni di B e il suo a tratti irritante modo di confondere A e con esso il lettore, si può intravedere un fine nobile: la riconquista della libertà perduta.
Giuseppina Di Luna
Bibliografia
Paul K. Feyerabend, Dialogo sul metodo, ed. Laterza, 2007.