Monica e il desiderio (titolo originale svedese Sommaren med Monika) è un film drammatico del 1953 diretto da Ingmar Bergman.
«Ignorato a suo tempo, quando uscì in prima visione, Monica è il film più originale dei registi. È al cinema di oggi quel che Nascita di una nazione è al cinema classico. Come Griffith influenzò Ejzenstejn, Gance, Lang, così Monica, con cinque anni d’anticipo, portava all’apogeo la rinascita del giovane cinema moderno»1
Trama in breve: Monica e Harry sono due giovani ragazzi svedesi che, insoddisfatti della vita che conducono, decidono di scappare via e vivere la loro storia d’amore lontano dalla città e dalle rispettive famiglie. Ben presto, però, l’estate volge al termine e devono fare i conti con la realtà.
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I tre atti di Monica e il desiderio
Già dalla breve rievocazione della vicenda si percepisce con chiarezza la struttura tripartita del racconto che segue una linearità cronologica semplice.
Sul piano spaziale si passa da ambienti urbani, prevalentemente chiusi, alle aperture paradisiache dell’isola, per far ritorno nuovamente a degli spazi civili. In parallelo, c’è anche una tripartizione dell’elemento temporale ed emotivo: la primavera che sgela Stoccolma e fa nascere l’amore, la passionale e travolgente estate che si conclude con un autunno dei sentimenti.
Questa suddivisione netta è, quindi, già di per se carica di significato e di intenzioni: la scansione eloquente degli spazi e dei tempi corrisponde anche all’escursione che Bergman fa nei sentimenti.
Monica e il desiderio si divide, così, in tre elementi emozionali specifici: la sognante attesa della prima parte, la felicità dirompente della seconda e l’inabissarsi nella desolazione della terza.
Il realismo poetico di Monica e il desiderio
La scansione in tre atti trova una corrispondenza anche sul piano formale.
Nella prima parte del film ci sono una serie di inquadrature dedicate alla città e alla presenza di personaggi colti nella loro quotidianità con una certa aderenza allo stile del realismo poetico francese.
Lo sguardo narrante cambia quando si passa al secondo blocco filmico. Il passaggio dalla vita di città a quella in vacanza è forte: oltre alla contrapposizione tra luoghi aperti e chiusi, si respira la sovversione liberatoria ricercata e ottenuta dai protagonisti. A una distribuzione quasi geometrica degli elementi della scena del primo blocco narrativo si passa a uno spazio circolare nel quale la scena appare meno organizzata e caratterizzata da una luce naturalmente delicata.
Il paesaggio come Stimmung
«Con la stessa freschezza degli occhi dei suoi personaggi, la macchina da presa esplora l’isola insieme a loro, assumendo la medesima spontaneità e immediatezza»2.
Nell’articolo che Godard dedica a Monica e il desiderio nota che a ogni immagine corrisponde un sentimento preciso e c’è, a suo avviso, l’idea del paesaggio come Stimmung: trasposizione figurativa di uno stato d’animo.
In questo tipo di inquadrature (se volessimo usare la terminologia pasoliniana le definiremmo soggettive libere indirette) la macchina da presa non fronteggia più il mondo che sta rappresentando ma vi si immerge, partecipando allo sprofondamento emotivo dei personaggi.
Visioni negate: i controcampi
In Monica e il desiderio si può notare come la rappresentazione è ricca di punti ciechi nei quali Bergman sceglie di non far vedere una porzione di spazio anche quando viene chiamato in causa dallo sguardo fuori campo dei personaggi.
Ciò avviene in diverse circostanze: ad esempio quando Harry va a vedere per la prima volta sua figlia appena nata Bergman sceglie di non far vedere la soggettiva ma il controcampo del volto del protagonista che fissa turbato la neonata.
Mette in scena, così, un volto turbato ricco di senso ma anche di mistero, un volto che dice e non dice, rivelato e nascosto.
Come nota Luciano De Giusti nel suo saggio dedicato a Monica e il desiderio3, le visioni negate allo spettatore sono tutte soggettive di Harry anche, ad esempio, quando coglie di sorpresa Monica a letto con un altro. Non ci viene offerta la visione ma la m.d.p. rimane con pudore su di lui perché ciò che Bergman ci vuole raccontare è lo stato emotivo di Harry, la sua estate con Monica.
Lo sguardo in macchina di Monica
«L’inquadratura più triste della storia del cinema»4, così è definita da Godard. L’affezione di questa inquadratura va tutta nella lettura dello sguardo di Monica, carico di disprezzo e di disgusto per se stessa.
Ma questa questa è solo una delle probabili letture che se ne possono fare. Di certo è uno sguardo sfidante, uno sguardo disilluso ma fermo: Monica è consapevole di mettere in crisi quelli che sono gli imperativi morali correnti ma decide consapevolmente di sovvertirli.
Lo sguardo in macchina in Monica e il desiderio non è solo una rottura dell’ipnosi filmica ma costituisce un momento di straordinaria intensità proprio perché, posto in quel determinato momento della narrazione, induce lo spettatore a schierarsi.
Il cinema come mezzo di riflessione
Il fatto che una riflessione così impegnata sia stata fatta attraverso il mezzo filmico non deve stupirci: sappiamo fin dai primi momenti che Monica vive il dispositivo cinematografico come una specifica dimensione.
Ma, al tempo stesso, l’atteggiamento di Monica riflette anche il peso che Bergman dà al cinema: un mezzo per analizzare l’anima, tracciare i profili di anime inquiete e desiderose proprio come la sua che di volta in volta si rispecchia nei personaggi che crea.
Monica e il desiderio non fa altro che raccontare, attraverso la tormentata storia d’amore di Harry, l’impossibilità di far confluire nel mondo reale le pulsioni irrefrenabili e caotiche di un animo desiderante.
Cira Pinto
Bibliografia:
– I. Bergman, Lanterna Magica.
– J. L. Godard, Il cinema è il cinema.
– J. Mandelbaum, Ingmar Bergman.
Note
1 In Ingmar Bergman, a cura di Antonio Costa, 2009, Venezia.
2 J. Luc Godard, Il cinema è il cinema, p. 110.
3 Luciano De Giusti, Monica e il desiderio, in Ingmar Bergman a cura di Antonio Costa, Venezia, 2009, p. 34.
4 J. L. Godard, in Arts, 30 luglio – 5 agosto 1958, trad. it. In Godard, Il cinema è il cinema, p. 108.