Alcune famiglie hanno alle spalle storie intricate e controverse. Così che ogni (sporadica) riunione fa incontrare tra loro nuove persone. L’albero genealogico scopre nuovi rami, intersecando i percorsi con parentele inattese. Spesso pure difficili da giustificare. Alle tavolate della intricatissima famiglia degli Hominidae – ad esempio – continuano a sedersi nuovi congiunti. Dal 2019 anche l’uomo di Luzon brinderà con loro.
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Uomo di Luzon: uno strano ritrovamento
Luzon è l’isola più grande delle Filippine. Più nel preciso, è il nome che si da al ragruppamento di terre emerse che costituisce la fascia nord dell’arcipelago. L’etimo della parola – da ricercare in un utensile da cucina – chiarisce la natura pacifica del luogo.
Sconvolto nel ’91 dall’eruzione del Pinatubo, il turismo del paese riesce a risollevarsi solo vent’anni dopo. Prima del disastro aveva conosciuto le luci dei riflettori attraverso la cinepresa di Coppola, in Apocalypse Now. Contro ogni aspettativa, proprio un posto tanto riservato è diventato all’improvviso uno dei siti dal maggior interesse paleoantropologico al mondo.
Era il 5 maggio del 2007 quando un gruppo di ricercatori riportò alla luce alcuni frammenti ossei dalle profondità della Grotta di Calloa. Il metatarso in questione fu classificato come appartenente al genere Homo. La più antica evidenza di Homo nelle Filippine. Altri ritrovamenti annoverano al record due falangi – una di una mano, l’altra di un piede -, due premolari e tre molari.
Uomo di Luzon: una classificazione controversa
Prima dell’archiviazione nel National Museum of Philippines, i resti antropici furono oggetto di lunghe analisi. Le pubblicazioni scientifiche del 2010 ne diffusero i risultati: si trattava di Homo Sapiens. Questo risultato non convinse però proprio tutti. Florent Detroit (e il suo team) riaprirono così le indagini.
Sulla base delle nuove risultanze, il ricercatore francese concluse che si trattasse di una nuova specie. La battezzò Homo luzonensis. Questa scoperta aprì però diverse diaspore.
Ci si chiedeva infatti come una specie fosse riuscita 67.000 anni (almeno) fa a raggiungere quella parte del mondo. Nel tardo Pleistocene non esisteva alcun tipo di ponte che collegasse le Filippine alla terra ferma. Stando alle affermazioni di Detroit (riportate su Nature) l’uomo di Luzon sarebbe quindi il primo marinaio della (prei)storia.
Tardo Pleistocene: un’epoca affollata
Centomila anni fa il Pianeta vide un’insolita sovrabbondanza di specie appartenenti al genere Homo. I Sapiens – unici ad esistere ancora oggi – si contendevano la supremazia con i Neanderthal. H. erectus ci regalava le ultime frasi di una storia durante quasi 2 milioni e mezzo di anni.
Accanto a queste specie maggiori, i cui rapporti filogenetici sono ancora oggetto di diatribe, ce n’erano alcune minori. Poco diffuse dal punto di vista geografico, si immagina contassero popolazioni numericamente ristrette. Il loro apporto alla storia evolutiva umana è però immenso.
L’uomo di Denisova avrebbe fornito un contribuito al patrimonio genetico dell’Oceania. Sul come, la spiegazione è da ricercare in una possibile ibridazione coi Sapiens locali. Pare si fosse adattato alla vita in montagna. L’unica testimonianza consiste in un frammento di mignolo. I ricercatori che lo rinvennero in Siberia, riuscirono ad estrarne il DNA. Un altro ritrovamento fa supporre incroci anche coi Neanderthal.
A Flores, Indonesia, il record fu più generoso. Nella cava di Liang Bua si rinvennero abbastanza pezzi da poter costruire un identikit attendibile. Si trattava di un piccolo primate, alto un metro, con lunghe braccia e grossi piedi. Era diverso dai Cromagnon, ma ne fu contemporaneo. La sua fisicità gli valse il soprannome di Hobbit.
Identikit dell’uomo di Luzon
La ricostruzione elaborata dal team di Detroit si basa su supposizioni. Il record fossile è troppo esiguo perché si possa scendere nei particolari. Non è possibile determinare la statura dell’uomo di Luzon. Sarebbe possibile dedurla dalla dimnsione delle ossa lunghe, ma finora abbiamo solo ossicine.
Mettendo a confronto i denti ritrovati a Calloa con quelli di H. florensiensis si riscontrano evidenti similitudini. Parliamo di due specie di ominidi adattate alla vita insulare. Entrambe le specie appartenevano a popolazioni geneticamente isolate. Il parallelismo ha portato alcuni studiosi a supporre che anche H. luzonensis fosse nano.
Le ossa delle mani e dei piedi ricordano più Australopitecus che non Homo. Alcuni sostengono, su questa base, che l’uomo di Luzon fosse tornato arboricolo. Altri invece credono che la suddetta somiglianza sia una prova di diretta discendenza. Questa teoria vedrebbe un’ondata di australopitechi precedere gli erectus nell’espansione verso l’Asia.
Nonostante non sia stato possibile estrarre il DNA, i più concordano invece sulla derivazione da H. erectus. Il dibattito si è acceso per la discrepanza che certi caratteri trovano, nel tentativo di combaciare. H. luzonensis presenterebbe sia caratteri molto ancestrali, che altri propri di Homo.
Per Erik Trinkaus non esisterebbero né H. luzonensis, né H. florensiensis. Secondo lui i fossili apparterrebbero a dei Sapiens deformi. Nel contesto pleistocenico infatti le malformazioni genetiche erano abbastanza diffuse.
Tutti sono però concordi sulla causa della sparizione delle specie minori: l’espansione dei Sapiens. Per tutti gli altri dibattiti invece l’unica soluzione sarà continuare a scavare. Solo attraverso nuove evidenze fossili le domande ancora aperte troveranno risposta.
Lorenzo Di Meglio
Bibliografia
Dal Neanderthal allo Hobbit. Fossili e idee contro corrente – Vincenzo Formicola – Oltre edizioni