Heath Ledger, nato a Perth, 4 aprile 1979 e morto a New York, 22 gennaio 2008, è noto soprattutto per la sua interpretazione di Joker e per il suo ruolo in Brokeback Mountain. Ma la sua carriera non fu solo questa.
Heath Ledger non è solo un bel biondino
Fa persino tenerezza l’impegno che Heath Ledger mette nell’interpretare un personaggio agghiacciante come Alex ne “La setta dei dannati” (2003), film dello stesso Brian Helgeland che lo aveva diretto ne “Il destino di un cavaliere” (2001).
È semplicemente inutile e privo di ogni appagamento il tentativo di descrivere il livello di assurdità e di cattivo gusto di entrambe le pellicole, perché sono due auto-dichiarate perle del kitsch: basterebbe citare una scena de “Il destino di un cavaliere”, quella del pubblico della giostra medievale che ritma “We will rock you” dei Queen a forza di applausi e pugni; oppure la strana van-helsinghiana interpretazione che in “La setta dei dannati” si dà dei preti, mistiche creature dotate di poteri magici molto affascinanti – quali dare l’assoluzione, liberare dai mal di testa con un esorcismo… – ma purtroppo strettamente vincolati alla castità (“non sono più un prete!” è ciò che urla il giovane Ledger dopo aver ceduto alla tentazione carnale della ragazza amata).
Ma tutto questo non importa, perché l’australiano Heath Ledger è lì, con il suo talento straripante e ficcato a forza dentro sceneggiature imbarazzanti. Per lo meno, con Helgeland una cosa era stata messa in chiaro: Ledger non era solo un biondino da film per teenager come tutti pensavano all’epoca di “10 cose che odio di te” (Gil Junger – 1999).
È vero che film di altro genere non erano mancati – dai due lavori di Gregor Jordan, “Two Hands” (1999) e “Ned Kelly” (2003), a “Lords of Dogtown” (Catherine Hardwicke – 2005) – ma il proverbiale la non gli era ancora stato dato.
Era il momento di mettergli a disposizione quel che si meritava.
Era il 2005, era Terry Gilliam, era “I fratelli Grimm e l’incantevole strega”.
Gli anni dei bei film
Per Heath Ledger arrivarono quindi gli anni dei bei film. Terry Gilliam gli mise gli occhiali sul naso, e lui rispose con un’interpretazione da batticuore, adattandosi con passione alla stravaganza del regista, alla scenografia barocca e persino a Monica Bellucci, portando in vita uno studioso comicamente impacciato e pieno di rancore, desiderio di amore e debolezza.
Ma non c’è tempo per rendersene conto! Se Jacob Grimm è interessante, Ennis Del Mar di “I segreti di Brokeback Mountain” (Ang Lee – 2005) è cento volte di più. All’epoca dell’uscita in sala del film, il mondo del grande schermo si esibì in un unanime boato di approvazione: divenne un caso cinematografico, piovvero nomination e piovvero incassi, Jake Gyllenhaal e Heath Ledger divennero adulti.
Lo stesso anno uscì anche l’assolutamente rosa, inutile e adorabile “Casanova” (Lasse Hallström – 2005); nel 2006 toccò al tormentato “Paradiso + Inferno” (Neil Armfield) e nel 2007 a “Io non sono qui” (Todd Haynes), un concentrato di grandi nomi in omaggio a Bob Dylan.
Heath Ledger, con tranquillità, lavorava bene. Più espressivo in pellicola che sui red carpet (sarà che notoriamente aveva un rapporto difficile con stampa e affini), schivo e dalla parlata strascicata, preceduto da una certa fama di preparazioni maniacali sui suoi personaggi.
Il mito
E così Christopher Nolan lo volle per “Il Cavaliere Oscuro” (2008) per la parte del Joker. E non importa se sia stata o no una rivoluzione per il cinecomic o se mai esisteranno altri Joker migliori: Heath Ledger era esploso. Ed era esploso di nuovo.
Dopo un successo come “I segreti di Brokeback Mountain” l’unico compito che ci si sarebbe sentiti in dovere di assegnare a Heath Ledger era quello di mantenere un buon livello, di riconfermarsi bel talento. E invece zitto e muto, da bravo stakanovista discreto, durante i mesi delle riprese aveva plasmato un mito, un personaggio tanto distante dai precedenti e tanto ben costruito da diventare il cuore del film e una figura dell’immaginario collettivo.
Il potenziale stimato per Heath Ledger, che già presumibilmente sarebbe salito alle stelle con la sola uscita de “Il Cavaliere Oscuro”, venne ulteriormente amplificato dalla sua morte, che adombrò première, premiazioni (tra cui un Oscar postumo) e proiezioni in sala. La trepidante attesa dell’esplosione successiva si trasformò in gigantografie di tutto ciò che avrebbe potuto fare se solo non…
Toccò a Terry Gilliam riportarlo sullo schermo con il suo coloratissimo “Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo” (2009), pellicola che porta gli evidenti segni di amputazione e riformulazione in corsa. A prescindere dal valore del film così come è arrivato poi in sala, ciò che si impone allo sguardo è il classico grande punto interrogativo sui resti di un disastro: come sarebbe stato, altrimenti?
E da quella domanda in poi, quel che ci rimane è un reiterarsi di anniversari.
Chiara Orefice