La fine del Medioevo porta un distacco dai dogmi imposti dalla fede e dalla chiesa: la scienza compì un balzo in avanti. L’evoluzione lo fece con Lamarck.
L’uomo medievale, il cui pensiero era basato e fortemente radicato sulla fede in Dio e sulla profonda religiosità, aveva una visione della natura fissista ed un approccio creazionista alla storia delle specie. L’evoluzionismo, pur non escludendo aprioristicamente l’intervento di un creatore che in principio accese la scintilla della vita, di fatto è in netto contrasto con l’idea, proveniente dall’interpretazione letterale della Genesi, della fissità della specie: la Chiesa giudicava infatti incompatibile con la propria visione della natura l’idea evoluzionista di progresso delle specie, che furono create così come sono oggi.
Durante il Rinascimento, periodo che seguì il medioevo, la gente cambiò radicalmente il modo di approcciarsi al sapere, con un progressivo allontanamento dalla mentalità dogmatica predicata dalla religione, a favore di un nuovo paradigma. L’uomo del Rinascimento ebbe il coraggio di pensare diversamente dalla Chiesa. L’influenza che ebbero Galileo ed il metodo scientifico sperimentale, spinse col tempo l’uomo a cambiare il metodo di indagine con cui cerca di conoscere il reale: dimostrare la tesi espressa diventerà per ogni studioso un priorità impossibile da ignorare.
Rinascimento ed illuminismo: la ripresa del progresso
Durante il Rinascimento molte credenze diffuse furono scardinate. Grazie alle dimostrazioni scientifiche e matematiche di Niccolò Copernico la teoria dell’eliocentrismo, che pone il Sole al centro del nostro sistema ed i pianeti componenti in orbita attorno ad esso,soppiantò quella del geocentrismo, spogliando l’uomo e la Terra della centralità sacra che la religione aveva loro da sempre attribuito; cadde, grazie al medico italiano Francesco Redi, il mito della generazione spontanea.
Il decisivo balzo in avanti è compiuto però durante il periodo illuminista: il metodo di calcolo dell’età massima della Terra utilizzato in precedenza, basato sulla Bibbia, fu messo in discussione da James Hutton. Secondo il geologo la morfologia del nostro pianeta sarebbe il risultato di lenti e graduali processi di modellamento, che richiederebbero ben più dei 6000 anni di cui parlano le Sacre Scritture.
Altro interesse della comunità scientifica divenne la paleontologia. Fino ad allora i fossili erano collezionati come curiosità o stramberie; William Smith fu tra i primi a studiarli scientificamente, con accurate ricerche, che la distribuzione di questi non era affatto casuale, ma ricorrente in determinate zone geografiche ed in certi strati rocciosi.
Lamarck e l’apice del pre-Darwinismo
Se il fissismo continua a ricevere sostegno da scienziati, come Cuvier, zoologo promulgatore del catastrofismo, e Linnaues, padre della nomenclatura binomia (sistema utilizzato tutt’oggi), molti altri naturalisti cominciarono invece ad avanzare tesi basate sull’evoluzionismo. Di assoluto rilievo è il pensiero di Leclerc, che espresse nella sua opera Histoire naturelle un’idea consapevole sia di evoluzione che di involuzione del mondo dei viventi, rapportandola anche all’influenza esercitata dall’ambiente, ponendo l’accento sull’importanza dei fattori climatici.
Jean-Baptiste de Lamarck fu però senza ombra di dubbio lo scienziato che maggiormente contribuì alla teoria evoluzionista in epoca pre-Darwinista. Il biologo francese elaborò le sue tesi, condivise con il mondo nel 1809, a partire dallo studio dei fossili, (egli infatti si accorse che le rocce più antiche contenevano creature dalle forme più semplici), avanzando l’ipotesi che le forme più complesse si fossero originate mediante una precisa progressione, che egli spiegò elaborando un suo modello.
L’evoluzione per Lamarck è spiegabile con tre concetti
- Uso e disuso delle parti
- Volontà di migliorarsi
- Ereditarietà dei caratteri acquisiti
Secondo questo modello l’impiego continuato nel tempo di una parte corporea da parte di un organismo faceva sì che questa migliorasse in termini di dimensioni ed efficienza (ipertrofia); di contro uno scarso utilizzo portava ad un progressivo decadimento (atrofia). I viventi inoltre aspiravano a migliorarsi: il miglioramento di un distretto anatomico era determinato anche dalla volontà dell’individuo di perfezionare se stesso.
Per Lamarck i caratteri acquisiti erano trasmissibili da una generazione alla successiva, accumulandosi e portando poi alla formazione di nuove specie. Le modifiche che garantivano agli organismi di un vantaggio rispetto agl’altri che erano invece sprovvisti di queste variazioni fisiche avrebbero portato questi ad essere favoriti all’interno del loro habitat.
L’esempio, forse abusato, per spiegare questo modello è quello della giraffa: un animale ancestrale a collo corto ha una dieta a base di foglie. Quando il fogliame dei rami più bassi si esaurisce, la suddetta bestia allunga il collo per brucare il nutrimento dalle zone più in alto. Tirando il collo per tutta la vita, questo diventava un po’ più lungo, favorendolo rispetto ai competitori dotati di un’estensione minore. Questo carattere viene poi ereditato dalla prole, formando col passare delle generazioni un animale del tutto simile alla giraffa.
Questa teoria all’epoca ebbe uno straordinario successo e servì molto a diffondere il concetto di evoluzionismo.
Lorenzo Di Meglio
Bibliografia
Paul B. Weisz – Zoologia – Zanichelli
Curtis, Barnes, Schnek, Flores, Valitutti, Tifi, Gentile – Invito alla biologia – Zanichelli
Sitografia
http://www.ucmp.berkeley.edu/history/lamarck.html