L’industria cinematografica in cui si forma Johnnie To, quella di Hong Kong, ha sempre suscitato l’interesse del mondo occidentale per via della raffinatezza tecnica, delle spettacolari coreografie dei film di arti marziali, per l’esoticità dei paesaggi urbani ed extraurbani. Ma il cinema hongkonghese è molto di più. Esso rappresenta fin dalla sua nascita, e dal 1997 in particolare (anno del passaggio della città dallo status di colonia britannica a quello di regione a statuto speciale della Cina), un avamposto di libertà ed innovazione per la settima arte, di sperimentalismo e di incontro tra due culture diverse: la cultura mandarina del nord e quella cantonese, la quale vede nella stessa Hong Kong e in Macao le sue cattedrali.
Sia chiaro, nessuno dei film prodotti nella capitale cantonese sfugge alle attenzioni della censura di Pechino. A differenza dei film prodotti nella Cina continentale però, i film di Hong Kong possono osare parecchio di più. Possono, per esempio, mostrare una società violenta e corrotta. Possono denunciare l’inadeguatezza della polizia cittadina o il suo eccessivo zelo. possono contenere scene di sesso più o meno esplicito. Alcuni affermano che questa “manica larga” da parte di Pechino serva a fare da vetrina per la vicina Taiwan, da sempre nelle mire coloniali cinesi. Ma questa è un’altra storia.
Negli anni ’70 e ’80 il cinema di Hong Kong aveva conosciuto un exploit che lo aveva imposto al mondo attraverso le pellicole di arti marziali e i film cappa e spada. Negli anni ’90 questi generi erano ormai morenti e il pubblico hongkonghese, assuefatto da tale monotonia produttiva, disertava le sale in favore della pirateria domestica, grazie alla quale era possibile usufruire del grande cinema occidentale. L’industria cantonese cercò quindi di intercettare i nuovi gusti del proprio pubblico e riportarlo all’entusiasmo di un tempo.
Fu chiaro quasi immediatamente che ad attirare i giovani fossero i film sulle triadi, piaga ramificata nella millenaria civiltà cinese. Si cominciò così a svecchiare il genere poliziesco e ad infondergli nuova linfa vitale. Emersero così le figure di pregevoli artigiani della settima arte con tanta voglia di fare, come Dante Lam, ma, soprattutto, i grandi autori del cinema di Hong Kong, come Wong Kar-wai e soprattutto come Johnnie To.
Dagli inizi fino alla creazione di Milkyway, la “casa” di Johnnie To
To è senza alcun dubbio il maggior esponente del cinema hongkonghese del ventunesimo secolo. Nella sua sconfinata carriera ha spaziato tra quasi tutti i generi della cinematografia. Ma è nei “triad movies” che il grande maestro cantonese riesce ad infondere ogni goccia del suo genio.
Il cinema di Johnnie To fa suoi tutti i topoi del cinema di Hong Kong: le triadi, le amicizie virili, l’inettitudine e l’ignavia della polizia, la vendetta. To si è formato unendo il meglio del cinema orientale col meglio del cinema occidentale. Non ha mai nascosto il suo costante specchiarsi nei grandi capolavori di Akira Kurosawa, Sam Peckinpah, Martin Scorsese e Jean-Pierre Melville.
La carriera di To comincia negli anni ’80 quando, giovane autore, scrive e produce qualche serie televisiva. Nessun particolare sussulto fino al 1989, quando sbanca il botteghino con il film per famiglie All About Ah-Long, con protagonista la superstar Chow Yun-fat.
Fonda così la sua casa di produzione, la Milkyway, avvalendosi della collaborazione dello sceneggiatore Wai Ka-Fai, coautore della maggior parte dei suoi film. La carriera di To decolla. La Milkyway produce film commerciali, spesso diretti dallo stesso Johnnie To, per poi investire i ricavi nei grandi polizieschi e triad movies del suo fondatore.
Nel 1998 arriva la svolta: esce A hero never dies. È un successo che permette a Johnnie To di imporre al pubblico i suoi canoni estetici e di cominciare a mettere insieme la sua squadra di attori. To utilizza, infatti, sempre gli stessi interpreti: Lam Suet, Anthony Wong, Louis Koo, Nick Cheung, Simon Yam, Francis Ng. È come una compagnia teatrale.
I grandi capolavori e la conquista dell’occidente
Dopo A hero never dies Johnnie To non si ferma più. L’anno successivo esce The mission che viene distribuito anche in Francia, permettendo così al pubblico europeo di conoscere il grande regista cantonese.
Nel 2003 Lam Suet è protagonista di uno dei film più acclamati della carriera di Johnnie To: PTU. Una Hong Kong sudicia è notturna è teatro di un regolamento di conti tra le triadi locali e le squadre speciali della polizia. Tutto ruota intorno ad una pistola, rubata al corpulento sergente Mike Ho, che deve necessariamente essere ritrovata prima dell’ispezione ministeriale prevista per il mattino successivo.
PTU è da molti considerato la summa del cinema di Johnnie To, che lo gira semiclandestinamente mentre dirige contemporaneamente altri tre film. Con la sua mancanza di linea di confine tra quelli che dovrebbero essere i buoni e quelli che sono certamente i cattivi e il nichilismo trabordante in ogni scena, PTU è una perla nerissima che resta nella memoria dello spettatore. Il regolamento di conti finale è da antologia del cinema.
A due anni dall’uscita di PTU, To raggiunge quella che è probabilmente la vetta massima della sua carriera: Election. La scalata al potere di due boss, il pacato Lok e l’irruento Big D, che si contendono lo scettro della triade di Hong Kong, è il contesto in cui si muovono una serie di personaggi caratterizzati divinamente che parteggiano per l’uno o l’altro capo. Election è un film freddo, durissimo, spogliato di ogni orpello scenico e vestito solo della brutale crudeltà del mondo criminale, raccontato senza la minima ombra di romanticismo.
Oltre ad essere il capolavoro di To, Election è anche il suo film più nichilista: la Cina non si libererà mai delle triadi, troppo radicate nella società, e nessun passaggio di potere sarà mai frutto di un accordo pacifico. È necessario che scorra il sangue, perché si volti pagina. A colpire maggiormente lo spettatore, poi, è la disarmonia dei personaggi che, minuto dopo minuto, cominciano piano piano a scoprire le carte e a rivelare la propria identità, fino a giungere allo shockante finale.
Election fu presentato a Cannes dove fu sommerso dagli applausi e permise definitivamente al mondo di conoscere Johnnie To. Dopo Election il regista cantonese continuerà ad inanellare grandissimi successi e film di spessore eccelso. Exiled, Election 2 , entrambi del 2006, Mad Detective, dell’anno successivo, come Triangle (girato insieme a Tsui Hark e Ringo Lam). Nel 2009 Alain Delon gli chiede di fare un film insieme e To scrive Vendicami, un omaggio ai polar di Melville. Il divo francese si ritira all’ultimo momento, non sapremo mai perché, e il regista lo sostituisce con l’ex rockstar parigina Johnny Hallyday: è l’ennesimo successo.
Drug War e la penuria di titoli distribuiti in Italia
Il successo di Vendicami fu replicato anche tre anni dopo da Drug War, durissima lotta senza quartiere tra poliziotti e trafficanti di droga, interpretato dal solito cast corale di fedelissimi del regista. Per questo film alcuni criticano To per essersi eccessivamente “allineato” ai dettami della censura cinese. Ma in realtà Drug War è una critica spietata proprio all’ordinamento giuridico della Cina continentale, alla sua spietata legislazione e alla sua costante ricerca della legge del taglione.
La vena creativa di Johnnie To non accenna ad arrestarsi ancora oggi. Con la sua Milkyway è ancora capace di produrre e girare più di un film all’anno. Questo grazie anche alla nuova generazione di suoi allievi che si sta affacciando al grande cinema (Alan Yuen su tutti).
Purtroppo in Italia è possibile avere accesso solo ad una piccola parte dei film di Johnnie To, perché molti non vengono distribuiti. Per ovviare a tale limite appare opportuno sostenere sempre di più i distributori e i festival che tentano di esportare il grande cinema asiatico come il Far East Film Festival di Udine.
Domenico Vitale