Sintetizzare la complessità e la vastità della Divina Commedia di Dante Alighieri in un breve articolo non è cosa semplice, ma senza pretesa di completezza ed esaustività cercheremo di offrire alcune nozioni fondamentali affinché tutti (soprattutto i neofiti) possano apprendere qualche informazione di base e approcciarsi più consapevolmente al più grande capolavoro della nostra letteratura.
Indice dell'articolo
Genere e struttura della Divina Commedia
La Divina Commedia è un poema allegorico-didascalico scritto da Dante Alighieri (1265-1321) mentre si trovava in esilio, fra il 1306 e il 1321, che racconta in prima persona il viaggio dell’autore (che è anche il protagonista) nei tre regni dell’aldilà cristiano. L’opera mescola due generi diffusi nel medioevo, quello del viaggio allegorico-didattico con quello della visione dell’aldilà.
La Divina Commedia si divide in tre parti definite dallo stesso autore “cantiche”: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ciascuna di queste è a sua volta divisa in 33 canti, ad eccezione dell’Inferno che ne conta 34 (perché il primo ha una funzione introduttiva). In totale si contano 100 canti, numero perfetto nella numerologia medievale.
Ogni canto è composto da terzine incatenate di endecasillabi, con lo schema metrico ABA, BCB, CDC … YZYZ. Tale schema, che può proseguire all’infinito, consente di variare a piacere la lunghezza dei canti, che infatti oscillano tra i 115 e i 160 versi.
«Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita»
[Incipit del poema]
Cronologia del viaggio
Quando inizia la Divina Commedia?
Il viaggio raccontato da Dante nella Divina Commedia segue una scansione temporale molto precisa perché ha evidenti significati simbolici. Questo si immagina compiuto nel 1300, anno in cui fu indetto il primo Giubileo, e ha inizio nel giorno dell’anniversario della morte di Cristo, cioè il 25 marzo oppure l’8 aprile. Il dubbio deriva dal fatto che potremmo considerare plausibilmente sia la data tradizionale della morte di Cristo (cioè il 25 marzo), sia la data nella quale cadde il Venerdì santo specificamente nel 1300 (era infatti l’8 aprile). Nonostante non ci sia una risposta definitiva a questo dubbio, si tende a considerare più probabile la data del 25 marzo, che però si immagina egualmente coincidere, per quell’anno, con il Venerdì santo, considerato insomma un anno ideale.
Quanto dura il viaggio?
Il viaggio si svolge in 7 giorni: il cammino vero e proprio inizia all’imbrunire del Venerdì, dopo lo smarrimento nella selva in cui Dante soggiorna dal giorno prima; dopo aver impiegato il Sabato per percorrere l’Inferno, approda la Domenica (giorno di Pasqua) al Purgatorio, per percorrere il quale impiega ben 4 giorni (la regola del luogo impone infatti di camminare solo con la luce del sole). L’ascensione al Paradiso occupa poi 19 ore fino al raggiungimento dell’ultimo cielo, l’Empireo, la cui natura puramente intellettuale fa sì che sia fuori dal tempo.
Struttura dell’Aldilà
I tre regni dell’oltretomba presentano una struttura molto precisa e attentamente studiata dall’autore. Il viaggio si compie sotto la guida del poeta Virgilio dall’inizio fino al culmine del Purgatorio (Pg, XXX, 40), al quale subentrerà Beatrice (donna amata da Dante) che lo guiderà nel Paradiso e che sarà sostituita alla fine da San Bernardo (Pd, XXXI, 58) che accompagnerà il pellegrino alla visione di Dio.
Inferno
L’Inferno dantesco è rappresentato come una enorme voragine a forma di cono rovesciato degradante in ampi terrazzi concentrici che da Gerusalemme culmina al centro della terra, dove è conficcato, per metà nell’emisfero settentrionale e per metà in quello meridionale, Lucifero.
Subito dopo la porta dell’Inferno, il vestibolo (Antinferno) ospita le anime degli Ignavi, coloro che non ebbero il coraggio di scegliere tra bene e male. Superato il fiume Acheronte, si apre il baratro infernale suddiviso in 9 cerchi. Abbiamo, in ordine, il Limbo (che ospita le anime buone che non furono battezzate), il cerchio dei Lussuriosi, Golosi, Avari e Prodighi, Iracondi e Accidiosi, Eretici, Violenti (formato da tre gironi), Fraudolenti (diviso in dieci bolge) e Traditori (diviso in quattro zone).
Le anime vengono punite seguendo la legge del “contrappasso”, cioè ricevono una pena che riproduce per estensione o per contrasto le caratteristiche della colpa.
Purgatorio
Il Purgatorio ha la forma di un monte altissimo a tronco di cono costituito da sette terrazze concentriche (“cornici”), quasi un calco della voragine infernale, alla cui sommità si trova il Paradiso terrestre. La montagna del Purgatorio si trova isolata in mezzo al mare nell’emisfero australe proprio agli antipodi di Gerusalemme ed è stata formata dalla terra che, alla caduta di Lucifero, inorridita dalla presenza di quest’ultimo, è risalita lasciando vuota una enorme caverna intorno a lui (la “natural burella” che collega Inferno e Purgatorio).
Anche il Purgatorio è preceduto da un Antipurgatorio dove si trovano, non ancora ammessi alla purificazione, le anime dei negligenti e dei pigri che si sono pentiti tardi, che insieme alle sette cornici e al Paradiso terrestre, divide il monte in nove settori, ciascuno ospitante una diversa categoria di peccatori puniti anche qui per contrappasso che si trovano lì per purificarsi dal peccato e accedere poi al Paradiso. La classificazione delle sette cornici segue quella dei Vizi capitali e i peccati sono disposti in ordine inverso di gravità: Superbi, Invidiosi, Iracondi, Accidiosi, Avari e Prodighi, Golosi, Lussuriosi.
Paradiso
Il Paradiso, separato dal Purgatorio dalla “sfera del fuoco”, è diviso in nove cieli, secondo il sistema cosmologico tolemaico. I cieli sono delle sfere concentriche che girano attorno alla Terra, in sette delle quali brilla un astro, nell’ottava una miriade di stelle e nella nona una luce diffusa. Quest’ultimo cielo, detto Primo mobile, ruotando vorticosamente conferisce il moto agli altri cieli.
Ciascuna sfera celeste e governata e mossa da una gerarchia angelica e tutte sono abbracciate da un decimo cielo, di natura spirituale, al di fuori del tempo e dello spazio, detto Empireo, sede di Dio e di tutte le anime beate, le quali sono disposte in una immensa gradinata circolare in forma di “candida rosa”. Nonostante ciò, queste anime si presentano a Dante, per grazia divina, ciascuna nel cielo denominato dal pianeta che, con il suo influsso, ha caratterizzato la loro personalità. I cieli sono in ordine: cielo della Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno, delle Stelle fisse e Primo mobile.
Perché la Divina Commedia si chiama così?
Il titolo
La Divina Commedia in realtà non è nata con questo titolo. Le moderne edizioni critiche che si attengono a un maggiore rigore filologico utilizzano in modo oscillante i titoli “Commedia” (ed. Petrocchi), “Commedìa” (ed. Lanza) e “Comedia” (ed. Sanguineti). Solo queste ultime due trovano riscontro nel testo dantesco, mentre la prima ha alle spalle una lunga tradizione. L’aggettivo Divina, che oggi rientra in modo canonico nel titolo, compare per la prima volta solo nell’edizione fiorentina del 1555 curata da Ludovico Dolce, ma era stato applicato in precedenza dal Boccaccio (uno dei primi commentatori della Divina Commedia), sul modello della definizione di Stazio dell’Eneide (in Tebaide, XII, 816: «nec tu divinam Aeneida tempta»).
Perché “Commedia”?
La ragione per cui Dante utilizzi questo titolo per la sua opera non è del tutto chiara. Secondo quanto egli dice nell’Epistola XIII inviata al signore di Verona Cangrande della Scala (ma bisogna precisare che non tutti gli studiosi la ritengono autentica) l’opera si intitolerebbe “Comedia” perché a differenza della tragedia, questa ha un inizio tragico (Inferno) e un finale gioioso (Paradiso). Inoltre, come nella rigida ripartizione dei generi la commedia usava un linguaggio basso e dimesso, anche la sua opera utilizza il volgare (anziché il latino).
Fonti e modelli della Divina Commedia
Pur essendo un’opera di grandissima originalità, la Divina Commedia rimescola al suo interno un patrimonio culturale vastissimo, che fu ripreso, rielaborato e profondamente rinnovato da Dante.
I classici antichi nella Divina Commedia
L’Eneide
Uno dei primi modelli subito evidenti è l’Eneide di Virgilio, non a caso quest’ultimo è stato scelto come prima guida del suo viaggio. I riferimenti lessicali al poema virgiliano sono moltissimi, ma altrettanti sono anche i materiali inseriti all’interno dell’Inferno che troviamo già nell’Eneide, in particolare nel VI libro che racconta la discesa di Enea agl’inferi. Come Dante anche Enea ha una guida, Sibilla, e nel suo cammino si imbatte in molti custodi che ritroviamo nella Divina Commedia: Gerione, i Centauri, le Arpie, Cerbero, Minosse, Caronte; anche i fiumi si trovano già in Virgilio: l’Acheronte, il Flegetonte, lo Stige, il Cocito e il Lete.
Naturalmente quello dell’Eneide è un oltretomba pagano ed è tutto sotterraneo, ma comprende comunque il Tartaro, dove vengono puniti con varie torture i malvagi, e i Campi Elisi, destinati agli spiriti buoni. Sull’incontro fra Enea e il padre Anchise è modellato l’incontro di Dante con il suo trisavolo Cacciaguida in Paradiso, denso anche di esplicite citazioni dal testo virgiliano.
Altri classici
Oltre a Virgilio vi sono altri autori classici che Dante aveva ben presente mentre scriveva la Divina Commedia, soprattutto come modelli stilistici, e questi possono essere identificati con i poeti che Dante incontra nel Limbo (Inf., IV): Orazio, Ovidio e Lucano. Escludiamo Omero (che pure era presente nel gruppo) in quanto Dante, non conoscendo il greco, non lo aveva letto, ma lo considerava come il “poeta sovrano”, simbolo stesso della poesia. A questa lista bisogna aggiungere anche Stazio, poeta che i due incontrano nel Purgatorio, e il quale significativamente affianca come guida Virgilio dal canto XXI in avanti.
La Bibbia e la Divina Commedia
All’interno della Divina Commedia moltissimi sono i riferimenti al testo biblico. Dante si ispirò certamente ai testi profetici nell’attribuire al suo viaggio uno scopo preciso di testimonianza, l’idea di una missione datagli da Dio da svolgere presso gli uomini attraverso la sua scrittura. L’incipit della Divina Commedia ricorda le parole del profeta Ezechia (riferite da Isaia, XXXVIII, 10): «In dimidio dierum meorum vadam ad portam inferi» (trad. “Nel mezzo dei miei giorni andrò alle porte dell’inferno”) e prosegue con l’incontro delle tre fiere sul modello di Geremia (V, 6) nella cui visione della corruzione di Gerusalemme compare un leone, un lupo e un leopardo.
Dal libro dell’Apocalisse Dante trasse i modi d’espressione delle profezie, nonché la simbologia della processione che avviene nel Paradiso terrestre.
E infine, senz’altro lo stile semplice (sermo humilis) della Bibbia, diede a Dante l’avallo per l’uso della lingua volgare, oltre all’impego della polisemia, conferendo al testo una molteplicità di significati.
Le visioni dell’aldilà
Delle fonti che certamente Dante aveva presente mentre componeva la Divina Commedia erano le opere sulle visioni dell’aldilà. Una di queste è il testo apocrifo del V secolo, falsamente attribuito a S. Paolo e noto come “Visio Pauli”, che, prendendo spunto dalla seconda Epistola ai Corinzi, in cui il santo dice di essere stato rapito in cielo, racconta che S. Paolo viene condotto da un angelo al terzo cielo per poi visitare l’Inferno. Questo testo costituisce, insieme ai “Dialoghi” di S. Gregorio Magno, il prototipo delle “visioni”, genere molto diffuso soprattutto fra XII e XIII secolo.
Sicuramente Dante deve aver conosciuto alcune di queste opere, tra le quali si ricordano la “Visio Eyncham”, la “Visio Alberici”, o il “Purgatorio di S. Patrizio”.
Inoltre, due autori italiani prima di Dante avevano scritto delle opere didascaliche sull’aldilà, questi erano Giacomino da Verona, autore di “De Babilonia civitate infernali” e “De Jerusalem celesti” e Bonvesin de la Riva, autore del “Libro delle tre scritture”.
Le visioni allegoriche
Nella letteratura romanza medievale si sviluppa anche il genere delle visioni allegoriche, cioè narrazioni di un sogno o una immaginazione in forma di poemi raccontate in prima persona e popolate da personificazioni allegoriche di concetti astratti con funzioni didattiche. Il prototipo di questo genere è il “Roman de la Rose”, che sicuramente Dante aveva letto e che ha molto in comune con la Divina Commedia.
Tra le altre opere di questo genere, ben presente al poeta era il “Tesoretto” del suo maestro Brunetto Latini, poemetto in settenari a rima baciata che inizia come un viaggio reale del poeta ambasciatore in Spagna e prosegue come un viaggio allegorico per una “selva diversa” (la “selva oscura”) a seguito dello smarrimento del “gran cammino” (“la diritta via”).
Altre fonti della Divina Commedia
Le fonti presenti nella Divina Commedia sono innumerevoli, oltre a quelle già citate potremmo annoverare ancora tutta la cultura scientifica e filosofica che Dante aveva utilizzato già nel Convivio, ma anche la teologia mistica di Bernardo di Chiaravalle o di Bonaventura da Bagnoregio, autore dell’“Itinerarium mentis in Deum”, o le opere di Gioacchino da Fiore.
Ma, ancora, non mancano, fra lo sterminato materiale alla base della Divina Commedia, la letteratura coeva in volgare come i romanzi cortesi (si pensi soprattutto all’episodio di Paolo e Francesca) o la poesia stilnovista, in particolare i riferimenti all’amico Guido Cavalcanti.
Perché la Divina Commedia è un poema allegorico?
Tutta la Divina Commedia è costruita intorno all’allegoria, cioè quella figura retorica per cui dietro il significato letterale di ciò che viene raccontato si cela qualcos’altro. Spesso i personaggi, le situazioni, le creature incontrate da Dante sono il simbolo di concetti astratti e nascondo i più diversi significati.
Lo stesso Dante ci avverte di ciò quando, rivolgendosi al lettore dice:
O voi ch’avete li ‘ntelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
sotto ‘l velame de li versi strani
[Inf., IX, 61-63]
L’intero viaggio di Dante è allegorico: la sua perdizione nella selva oscura non è altro che una perdizione nel peccato, il viaggio rappresenta il cammino di purificazione che culmina con la visione di Dio. Le tre fiere che si incontrano nel primo canto, non sono altro che l’allegoria dei vizi della lussuria, della superbia e dell’avarizia. Per fare alcuni esempi, Minosse rappresenta la giustizia, Gerione la frode, e ancora del tutto allegorica e simbolica è la processione che avviene nel Paradiso terrestre.
Le tre guide
Virgilio
Durante il suo viaggio Dante, essendo un viandante smarrito, ha bisogno di una guida che lo riconduca sulla “diritta via”. La prima guida che gli si presenta davanti, già nel primo canto della Divina Commedia, è l’anima di Virgilio, il poeta latino autore dell’Eneide e tanto amato da Dante.
“Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?”,
rispuos’io lui con vergognosa fronte.
“O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi”.
Pur essendo pagano Virgilio rappresenta la saggezza e la ragione di cui l’uomo ha bisogno per ritrovare il suo cammino. Egli è un personaggio rassicurante e quasi paterno verso il pellegrino smarrito, un appiglio fondamentale durante i momenti di timore e di paura suscitati dal viaggio.
Beatrice
Giunto sul Paradiso terrestre, Virgilio cessa la sua funzione e scompare, la ragione (che egli rappresenta) non è più sufficiente per proseguire il viaggio. Subentra quindi la figura di Beatrice, donna amata da Dante e cantata nella Vita Nova.
vidi la donna che pria m’appario
velata sotto l’angelica festa,
drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.
Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta,
regalmente ne l’atto ancor proterva
continüò come colui che dice
e ’l più caldo parlar dietro reserva:
“Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Beatrice rappresenta la teologia, unico mezzo per comprendere il divino. Grazie a lei Dante attraversa tutti i cieli del Paradiso e una volta giunti alla candida rosa dei beati ella ritorna a sedere fra loro.
San Bernardo
Alla conclusione del suo viaggio Dante assiste alla visione di Dio. Per una esperienza del genere necessita, quindi di una guida all’altezza. Questa guida e San Bernardo che allegoricamente rappresenta la contemplazione mistica.
…credea veder Beatrice e vidi un sene
vestito con le genti glorïose
Bernardo di Chiaravalle è stato scelto da Dante in questa funzione in virtù del suo spirito contemplativo e della sua devozione mariana. Nell’ultimo canto della Divina Commedia, quando la Vergine Maria dimostra di aver accolto la preghiera di Dante e si volge verso Dio, Bernardo indica con un sorriso dove guardare.
Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea
La lingua e lo stile della Divina Commedia
Dante accoglie all’interno della Divina Commedia una notevole varietà formale. La lingua di base è il fiorentino che tende ad avere una certa patina arcaica che gli conferisce solennità e nobiltà. Tale lingua però non è affatto uniforme, ma viene usata in tutte le sue varietà diacroniche e diastratiche (cioè varietà impiegate in tempi cronologici differenti e da diverse classi sociali). Le ragioni di questa varietà, oltre a dipendere da fattori tecnici di metrica o di rima, spesso sono di carattere stilistico. Troviamo alternanza tra forme popolari e forme colte, tra termini arcaici e termini moderni, e anche lessico di altri dialetti toscani (ad esempio pisano e lucchese).
Inoltre di origine letteraria sono i frequentissimi latinismi (soprattutto nel Paradiso), i sicilianismi (prelevati dalla tradizione della Scuola poetica siciliana) e i francesismi (eredità della letteratura francese e provenzale coeva). Nella Divina Commedia vi è una grande disponibilità ad accogliere i lemmi più diversi e non pochi sono i neologismi, cioè parole nuove inventate da Dante. Vengono toccati gli estremi della lingua aulica e allo stesso tempo gli estremi della volgarità e del linguaggio basso, a seconda della situazione in cui ci si trova. Per tali ragioni quando si parla della lingua della Divina Commedia si utilizza il termine Plurilinguismo.
Dante: padre della lingua italiana
È innegabile che noi oggi parliamo la lingua di Dante. Infatti, il nostro italiano non è altro che l’evoluzione diretta del volgare fiorentino. Nel ’500 questo volgare, sulla base di grandi modelli come Petrarca e Boccaccio, si è imposto come lingua letteraria sugli altri volgari italiani. Il colpo decisivo lo ha poi dato Manzoni nell’800 scegliendo, da milanese, di scrivere i Promessi Sposi usando il fiorentino parlato ai suoi tempi. Da allora, anche tramite un’opera di promozione scolastica, il fiorentino s’identificò sempre di più con l’Italiano tout-court.
Dante è considerato il padre della lingua italiana perché ha scritto la più grande opera della nostra letteratura, la Divina Commedia, in volgare fiorentino. Ecco cosa affermava il grande linguista Tullio De Mauro:
«Quando Dante comincia a scrivere la Commedia il vocabolario fondamentale è già costituito al 60%. La Commedia lo fa proprio, lo integra e col suo sigillo lo trasmette nei secoli fino a noi. Alla fine del Trecento il vocabolario fondamentale italiano è configurato e completo al 90%. Ben poco è stato aggiunto nei secoli seguenti. Tutte le volte che ci è dato di parlare con le sue parole, e accade quando riusciamo ad essere assai chiari, non è enfasi retorica dire che parliamo la lingua di Dante. È un fatto».
[De Mauro, 1999]
Rosario Carbone
Bibliografia
- Dante Alighieri, La Divina Commedia, 3 voll., a cura di A.M. Chiavacci-Leonardi, Milano, Mondadori, 1991.
- Erich Auerbach, Studi su Dante, Milano, Feltrinelli, 2012.
- Saverio Bellomo, Filologia e critica dantesca, Brescia, La Scuola, 2008.
- Gianfranco Contini, Un’idea di Dante, Torino, Einaudi, 2001.
- Guglielmo Gorni, Dante. Storia di un visionario, Roma, Laterza, 2008.
- Giorgio Inglese, Dante: guida alla Divina Commedia, Roma, Carocci, 2011.
- Giorgio Inglese, Vita di Dante: una biografia possibile, Carocci, 2015.
- Enrico Malato, Dante, Roma, Salerno, 2010.
- Charles S. Singleton, Introduzione alla Divina Commedia, Napoli, Scalabrini editore, 1961.