Il 1968 in Italia e all’estero è forse una di quelle date che rimarranno impresse nella memoria collettiva per sempre. Anno ricco di avvenimenti, lo si ricorda comunemente come periodo di inizio della rivolta studentesca.Quali furono le cause della protesta? Quali furono i paesi coinvolti? E quali le classi sociali?
Analizzeremo la rivolta soprattutto in Italia, la quale fu molto vasta, anche se va detto che nella penisola il movimento fu meno duraturo rispetto al Maggio francese o ai moti statunitensi.
Indice dell'articolo
Quali erano le motivazioni della protesta del 1968 in Italia?
Premesse
Le origini del movimento studentesco vanno ricercate nella complessiva decadenza del sistema educativo del Bel Paese. Agli inizi degli anni ’60 era stata innalzata l’età dell’obbligo scolastico a 14 anni, prevedendo quindi il completamento della scuola media.
Ciò permetteva un maggiore accesso all’istruzione superiore di secondo grado ed in seguito all’università. Ma il problema era strutturale e portò poi alla rivolta del 1968 in Italia.
La crescita
Innanzitutto il discorso era economico. Se anche le classi meno abbienti potevano, negli anni del boom, mandare i loro figli a scuola e talvolta all’università, ciò non escludeva che i ragazzi dovessero lavorare per reggere il costo degli studi. I numeri dell’aumento, alla fine del decennio, parlano chiaro:
- Roma 60.000
- Napoli 50.000
- Bari 30.000
I corsi
Questa impennata era dovuta ad un clima di generale crescita della classe media, ma è bene notare che un flusso così imponente di persone che si riversava nei vari atenei inevitabilmente creava un clima di tensione.
Le strutture erano piccole, ma il vero problema era relativo ai piani di studio e all’organizzazione dei corsi.
I docenti erano quasi sempre assenti, poiché si trattava di professionisti che svolgevano altri mestieri. Infatti se a fine anni ’50 i professori con una cattedra stabile erano il 30 % del totale, a fine anni ’60 erano solo il 13%. Il loro orario era di appena 52 ore annuali, gli esami erano molto superficiali e con un alto tasso di bocciatura.
Le tasse
Inoltre le tasse risultavano troppo elevate, in specie negli atenei di grande prestigio come la Cattolica di Milano o l’Università di Trento. I corsi erano male organizzati e difficili da seguire, col risultato di dover studiare banalmente dai libri di testo, senza una formazione tout court. Questi aspetti sono fondamentali per comprendere il malcontento che imperversava nelle file di giovani sessantottini italiani.
Quali erano i valori fondanti dei giovani?
Si è detto brevemente delle ragioni che spinsero i giovani a ribellarsi nel 1968 in Italia: esse non furono solo di tipo tecnico, ma, progressivamente, assunsero un carattere politico, chiaramente extraparlamentare.
Prima di disporre diacronicamente gli avvenimenti, bisogna comprendere quali fossero gli ideali fondativi del movimento, pur consci che non si giunse mai alla creazione di un partito, data la disomogeneità delle proteste.
Rifiuto del sistema produttivo capitalista
Il sistema di produzione capitalista veniva rifiutato nella sua esasperazione consumistica. Si avversava la tensione quasi spasmodica all’acquisto ed al consumo, la quale sembrava allontanare i singoli da quelli che dovevano essere, secondo i giovani, i valori fondanti della nuova società. Si trattava di valori essenzialmente ispirati ad una sintesi tra liberalismo e collettivismo, nel rispetto del bene comune.
Rifiuto dei modelli sociali correnti e della cultura imposta
Ciò avveniva soprattutto attraverso il sistema scolastico, ritenuto ormai superato, ed i mezzi di informazione, televisione compresa.
Forte anticomunismo
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la componente di studenti comunisti era esigua ed emarginata nel complesso del movimento studentesco. Il PCI non era ritenuto capace di poter affrontare i problemi che i giovani ponevano, data la sua istituzionalizzazione.
Quale fu il ruolo degli intellettuali?
Marx e l’antipsichiatria
Uno spunto di riflessione interessante ci è fornito dalla tipologia di testi filosofici, politici, economici e letterari che si ponevano come base dell’ideologia complessiva del movimento studentesco durante la rivolta del 1968 in Italia e all’estero.
Nonostante l’anticomunismo, i testi del giovane Karl Marx godevano di un credito positivo tra i ragazzi, soprattutto in chiave critica nei confronti del consumismo: “Il capitale”, divenne uno scritto di ampia diffusione, sia in Italia che nei Paesi esteri. Gli studi di Ronald David Laing sull’antipsichiatria e la sua critica anticapitalistica si univano con forza alle teorie di David Cooper, fondatore di questa nuova disciplina.
All’avversione per il PCI e la sua politica si univa, contestualmente, un forte antifascismo, nonostante fra i protestanti vi fosse anche una componente di studenti di destra, come alcuni iscritti al MSI.
Marcuse e Don Milani
In assoluto, l’opera di maggior successo fu “L’uomo a una dimensione”, edito nel 1964, di Herbert Marcuse, uno dei maggiori rappresentanti del gruppo di filosofi conosciuto come Scuola di Francoforte.
Marcuse teorizzò il principio della prestazione, cioè il principio per cui ogni singolo membro della società doveva essere spinto al massimo delle sue potenzialità psico-fisiche con il solo fine di lavorare e produrre. Ma, come il capitalismo, questo fenomeno portava con sé il seme della ribellione, il quale covava e che prima o poi si sarebbe manifestato, com’è avvenuto, appunto, nel 1968.
Inoltre, anche dalla parte cattolica vi era un fermento di ideali espressi in diverse opere letterarie. Una delle più note è sicuramente “Lettera ad una professoressa”, del compianto Don Lorenzo Milani.
L’esasperazione dei conflitti a inizio 1968 in Italia
Il corso degli avvenimenti vede come punto di inizio tutta una serie di proteste cominciate già nei primi mesi del 1967, come nell’Università di Pisa.
Trento
La prima vera occupazione avvenne però ad ottobre, nel prestigioso ateneo della città di Trento. Questa università era stata fondata nel 1962 secondo ideali fortemente cattolici, radicati nella classica ideologia della Democrazia Cristiana.
Sembra ovvio che ci si aspettasse che questa istituzione “sfornasse” i futuri dirigenti del Paese, indottrinandoli alla statalizzazione più assoluta. Questa esasperazione fu alla base dei primi scontri con le forze dell’ordine che si recarono in loco per porre fine all’occupazione delle aule.
Milano e Torino
In seguito la protesta si spostò in altre due città dell’Italia settentrionale. A Milano si ribellarono gli studenti dell’Università Cattolica, che era privata. Qui le tasse erano state aumentate e, a ragion veduta, gli studenti avevano diritto a lamentarsi, ma la protesta prescindeva dalla sola ragione economica. Il 27 novembre fu la volta di Torino. I grandi avvenimenti del 1968 si avvicinavano.
Riforma Gui
Il democristiano Luigi Gui fu Ministro della pubblica istruzione dal 1962 al 1968. Fu lui a prorogare a 14 anni l’obbligo scolastico e ad istituire la scuola materna statale e la scuola media unica. Nell’ambito delle sue riforme stabilì il cosiddetto Piano Gui, con il provvedimento 2314, il quale prevedeva due punti fondamentali:
- formazione dei dipartimenti tramite l’accorpamento di insegnamenti
- istituzione di tre livelli di laurea (il diploma dopo il primo biennio; la laurea; il dottorato di ricerca dopo due anni dalla laurea)
Questo tipo di ordinamento, nelle tesi del movimento sessantottino, favoriva l’avanzamento della carriera universitaria solo di coloro che potevano permetterselo, mentre i meno abbienti, che erano costretti a lavorare, prima o poi erano costretti a lasciare gli studi, con il terribile risultato che solo il 44% degli iscritti arrivava a conseguire la laurea.
La battaglia di Valle Giulia
Valle Giulia si trova alle pendici dei Parioli, alle spalle di Villa Borghese: in questa zona è tutt’oggi situata la facoltà di Architettura dell’Università di Roma. Durante il mese di febbraio 1968 gli studenti, per protesta contro il sistema, sulla scia dei movimenti dei mesi precedenti, avevano occupato la sede. Il 29 febbraio, per ordine dell’allora rettore Pietro Agostino D’Avack, l’università venne sgomberata e occupata dai poliziotti.
Se l’affluenza nel mese precedente era stata bassa, il primo marzo circa 4000 persone marciarono da Piazza di Spagna alla facoltà. Lo scontro ebbe inizio quando alcuni studenti usarono violenza nei confronti dei poliziotti: entrambe le parti misero a ferro e fuoco la zona, con il risultato di 4 arrestati, 228 fermati, 5 poliziotti privati di pistola e molti feriti (148 tra le forze dell’ordine e 478 tra i manifestanti).
Alcune personalità
In mezzo a quegli studenti vi erano molti futuri personaggi di spicco del giornalismo e della musica italiana, come Giuliano Ferrara, Ernesto Galli della Loggia e Antonello Venditti.
Paolo Pietrangeli compose una canzone dedicata alla vicenda, intitolata proprio “Valle Giulia”. Ancora oggi, per loro, il 1968 in Italia è un periodo che mai sarà cancellato dalla memoria.
L’incomprensione
I genitori dei ragazzi coinvolti nelle manifestazioni non riuscivano a comprendere cosa spingesse i loro figli ad una ribellione che per loro non aveva senso, verso un sistema che sembrava essere il migliore possibile. C’era da studiare, trovare un posto, possibilmente fisso, mettere su famiglia. Ma era questo immobilismo che i giovani non tolleravano e contro cui si scagliavano.
Lo stesso Pier Paolo Pasolini, che era fortemente antisistema, criticò aspramente i moti di protesta, non tanto per le ragioni sottese, quanto per le modalità e la violenza. In fondo quei ragazzi si scagliavano contro padri di famiglia e persone che provenivano da ceti umili, i poliziotti appunto. Il PCI di Giorgio Amendola non poteva essere, però, per i ragazzi, un punto di riferimento.
Contestazione americana e francese
Contestazione negli USA
Ritornando a Don Milani, va sottolineato che esso si riferiva ad un fenomeno sempre più palese nel nord Italia, cioè quello degli obiettori di coscienza, coloro che si rifiutavano di intraprendere il servizio di leva militare obbligatorio. I giovani italiani che si professavano tali cominciarono ad essere sempre più numerosi quando si diffuse il modello dei manifestanti statunitensi contro la guerra in Vietnam.
La tenacia della popolazione vietnamita, la compattezza politica e l’ideale di libertà per la propria terra erano dei deterrenti di non poco conto rispetto alla scelta di unirsi alle forze armate del proprio Paese, in specie se si trattava degli USA, massacratori di poveri innocenti nello Stato comunista del Vietnam del Nord.
Maggio francese
I manifestanti americani, che si conta fossero più di 40.000 nel 1967, si scagliavano contro una politica belligerante incondivisibile e incomprensibile, soprattutto alla luce dei danni arrecati alle popolazioni locali. Il loro motto “I care”, si diffuse rapidamente fra i giovani di tutta Europa.
Questi ideali trovarono terreno fertile in Francia, prima a Parigi e poi in altre città. Tutto il mese di maggio del 1968 fu caratterizzato da un’escalation di scontri e violenze a partire dalla Sorbonne. Si avversava la riforma Pompidou ed il legame che essa instaurava tra università e mondo produttivo, sulla scia di un modello conformista che, come visto, si era diffuso anche in Italia.
Dagli studenti agli operai
I terreni di battaglia furono vari, dalle centinaia di feriti del Quartiere latino, agli 800.000 scioperanti sparsi in tutta la capitale. La rivolta coinvolse, quindi, anche il mondo del lavoro. Il Maggio produsse morti e feriti e la temporanea fuga del presidente Charles De Gaulle. Anche in questo caso la ragion di Stato prevalse sulle violenze di strada, ma, dopo le nuove elezioni, ci fu comunque un aumento dei salari minimi e medi.
Che conseguenze ebbero le rivolte del 1968 in Italia?
La violenza delle manifestazioni certamente raggiunse picchi altissimi e ingiustificabili. Ma la base ideologica dei movimenti, anche se mai cristallizzati in formazioni politiche efficienti e operative, si perpetuò nel corso di tutto il decennio successivo al 1968 in Italia e all’estero. Almeno in alcuni ambiti, vi furono progressi notevoli nel campo dei diritti civili.
La ricerca della libertà
I cosiddetti “capelloni”, come venivano definiti i giovani tra anni ’60 e ’70, erano portatori di una ventata di novità: non erano sempre democratici e avevano numerosi difetti, ma furono in grado di modernizzare gradualmente alcuni settori della società occidentale. Quella cultura hippie fece capire agli adulti che la libertà era un valore che andava conquistato e mantenuto nel tempo, difendendolo ad ogni costo.
Questo paradosso generazionale è anche il milieu in cui si snoda la storia del portentoso romanzo “Pastorale Americana” di Philip Roth, ma anche il meraviglioso brano di Joan Baez “Blowin’ in the Wind”.
Giuseppe Barone
BIBILIOGRAFIA
- Ginsborg P., Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, 2006
- Roth P., Pastorale Americana, traduzione di Vincenzo Mantovani, Einaudi, Torino, 1998, pp. 423
SITOGRAFIA