L’ideale dell’ostrica è una delle concezioni più importanti all’interno della poetica di Giovanni Verga (1840-1922), principale esponente del Verismo italiano. Tale concetto, teorizzato ed esposto per la prima volta dallo stesso autore nella novella Fantasticheria, che apre la raccolta Vita dei campi (1880), viene riproposto nei Malavoglia (1881), il più importante romanzo dello scrittore siciliano. Qui, infatti, l’intera narrazione ruota intorno all’ideale dell’ostrica, che costituisce la chiave di lettura esistenziale dell’intera opera.
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Che cos’è l’ideale dell’ostrica?
L’ideale dell’ostrica è sostanzialmente una metafora che può essere così sintetizzata: come l’ostrica vive aggrappata allo scoglio, così coloro che appartengono alle fasce sociali più deboli e restano legati alle tradizioni patriarcali e al proprio nucleo familiare non si perdono e possono salvarsi. Contrariamente chi si stacca dal proprio ambiente e dai valori della famiglia (come l’ostrica che si stacca dallo scoglio) viene divorato dal mondo e dalla società del progresso come l’ostrica dal “pesce vorace”.
L’ideale dell’ostrica in Fantasticheria
All’interno della novella Fantasticheria, testo di apertura della celebre raccolta Vita dei campi (1880), Verga teorizza per la prima volta l’ideale dell’ostrica.
Questa novella si presenta come un’anticipazione, un piccolo abbozzo, di ciò che poi verrà raccontato nei Malavoglia, presentando l’ambientazione e i principali personaggi del futuro romanzo.
La trama della novella
Fantasticheria fu scritta sicuramente prima del 1878 e pubblicata per la prima volta sul «Fanfulla della domenica» il 24 agosto 1879 prima di essere inserita, l’anno successivo, nella raccolta Vita dei campi.
In questa novella l’autore si rivolge in forma di lettera a una sua amica francese dell’alta società, che, fermatasi nel villaggio di Aci Trezza, affascinata dalle bellezze di quel mondo pittoresco di pescatori, fugge via annoiata dopo soli due giorni, affermando: «Non capisco come si possa viver qui tutta la vita».
Il narratore cerca di spiegare alla donna le caratteristiche del luogo e la natura della povera gente che vi abita; egli mette in evidenza come l’attaccamento alla loro terra e al loro microcosmo sia per queste persone l’unica possibilità di sopravvivere. Proprio in questo contesto, alla fine della novella, viene teorizzato l’ideale dell’ostrica.
La spiegazione dell’ideale dell’ostrica
Ecco come si esprime Verga alla fine della novella:
— Insomma l’ideale dell’ostrica! direte voi. — Proprio l’ideale dell’ostrica! e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo che quello di non esser nati ostriche anche noi.
Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere mentre seminava principi di qua e duchesse di là, questa rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, questa religione della famiglia, che si riverbera sul mestiere, sulla casa, e sui sassi che la circondano, mi sembrano ― forse pel quarto d’ora ― cose serissime e rispettabilissime anch’esse. Parmi che le irrequietudini del pensiero vagabondo s’addormenterebbero dolcemente nella pace serena di quei sentimenti miti, semplici, che si succedono calmi e inalterati di generazione in generazione. ― Parmi che potrei vedervi passare, al gran trotto dei vostri cavalli, col tintinnio allegro dei loro finimenti e salutarvi tranquillamente.
Forse perché ho troppo cercato di scorgere entro al turbine che vi circonda e vi segue, mi è parso ora di leggere una fatale necessità nelle tenaci affezioni dei deboli, nell’istinto che hanno i piccoli di stringersi fra loro per resistere alle tempeste della vita, e ho cercato di decifrare il dramma modesto e ignoto che deve aver sgominati gli attori plebei che conoscemmo insieme.
Un dramma che qualche volta forse vi racconterò, e di cui parmi tutto il nodo debba consistere in ciò: ― che allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo; il mondo, da pesce vorace ch’egli è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui. ― E sotto questo aspetto vedete che il dramma non manca d’interesse. Per le ostriche l’argomento più interessante deve esser quello che tratta delle insidie del gambero, o del coltello del palombaro che le stacca dallo scoglio.
[G. Verga, Fantasticheria]
La prima teorizzazione dell’ideale dell’ostrica
Verga, dunque, nell’ultima parte della novella, dopo aver accennato alle tragiche vicende di alcuni personaggi che saranno i futuri protagonisti dei Malavoglia (qui solo abbozzati), esprime la consapevolezza che il mondo a cui essi appartengono, fondato sulla violenza e sui soprusi, non potrà cambiare.
Per questa ragione l’unica difesa contro gli immutabili e crudeli meccanismi sociali è l’‘ideale dell’ostrica’, cioè l’attaccamento alla “religione della famiglia” e alle tradizioni patriarcali.
Questo può considerarsi a tutti gli effetti un testo programmatico di ciò che poco più tardi verrà sviluppato nei Malavoglia, benché comunque siano presenti ancora delle differenze sostanziali.
Infatti, in Fantasticheria il mondo rurale è ancora idealizzato, non visto in modo disincantato e pessimistico nelle sue reali componenti come accadrà nel romanzo. Inoltre, qui non è presente neppure la tecnica della regressione, caratteristica del Verga pienamente verista: la voce narrante rappresenta lo stesso autore e il suo mondo in modo esterno e distaccato dai personaggi.
L’ideale dell’ostrica nei Malavoglia
L’ideale dell’ostrica, come si è detto, è un concetto essenziale per comprendere I Malavoglia. Proprio nel suo romanzo più importante, infatti, Verga sviluppa questa teoria che qui diventa la chiave interpretativa di tutte le disavventure dei protagonisti.
Il romanzo, pubblicato a Milano dall’editore Treves nel 1881, costituisce la prima tappa del cosiddetto ciclo dei Vinti, il progetto incompiuto di cinque romanzi (gli altri sono Mastro don Gesualdo, l’unico insieme ai Malavoglia a essere stato concluso e pubblicato, La duchessa de Leyra, L’onorevole Scipioni e L’uomo di lusso) che si apre proprio con la trattazione del ceto sociale più basso, in questo caso degli umili pescatori di un piccolo borgo siciliano.
La trama dei Malavoglia
Il romanzo è ambientato ad Aci Trezza, borgo di pescatori vicino a Catania, subito dopo l’unità d’Italia. La vicenda narrata riguarda i cambiamenti subìti dalla famiglia Toscano (soprannominata Malavoglia) e la sua disgregazione a causa della “fiumana del progresso” che investe quel mondo arcaico.
I componenti del piccolo nucleo sono Padron ’Ntoni, il vecchio capofamiglia, suo figlio Bastianazzo e la moglie Maruzza, detta “la Longa” e i loro cinque figli (’Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia), vivono tutti nella “casa del nespolo” e posseggono una piccola imbarcazione (la “Provvidenza”) per la loro attività lavorativa.
La loro vita viene sconvolta da alcuni fatti tra cui: la partenza del giovane ’Ntoni per il servizio militare, la cattiva annata della pesca e la necessità di preparare una dote per il matrimonio di Mena. Queste difficoltà spingono Padron ’Ntoni a comprare a credito un carico di lupini dall’usuraio zio Crocefisso per poi rivenderli. Ma una tempesta porta al naufragio della barca che li trasporta e causa la morte di Bastianazzo, oltre che la perdita della merce di cui resta il debito da pagare.
Da qui in poi altre sventure: la casa viene pignorata, Luca muore durante la battaglia di Lissa, Maruzza muore di colera, la Provvidenza naufraga una seconda volta e i Malavoglia sono costretti a lavorare come pescatori a giornata.
Il giovane ’Ntoni dopo il servizio militare che lo ha portato a scoprire il mondo non accetta più la vecchia vita di sacrifici e rinunce, comincia a frequentare l’osteria e si dà al contrabbando, ma quando viene scoperto ferisce il brigadiere don Michele e di conseguenza viene arrestato. Infine, come se non bastasse, Lia abbandona il paese e si prostituisce in città e il conseguente disonore manda in rovina il matrimonio di Mena, mentre Padron ’Ntoni muore in ospedale lontano da casa. Alessi riesce a riscattare la casa, ma ’Ntoni, uscito di galera, dopo un’ultima visita, va via per sempre.
L’ideale dell’ostrica alla base del disgregamento familiare
L’ideale dell’ostrica, come si può intuire dalle vicende, prende forma soprattutto nelle scelte del giovante ’Ntoni. Egli infatti dopo essere partito per il servizio militare, imposto dal nuovo regime unitario, scopre un mondo diverso da quello a cui è sempre stato abituato e non accettando più la sua vita precedente decide di staccarsi dal suo nucleo familiare, dapprima viaggiando in cerca di fortuna e poi trascorrendo tutto il suo tempo all’osteria e dandosi ad attività di contrabbando insieme a Rocco Spatu e Cinghialenta.
Il progresso che invade il microcosmo di Aci Trezza e l’allontanamento dalla famiglia e dalle tradizioni porta alla rovina generale di tutto il nucleo. Sia il vecchio Padron ’Ntoni sia il suo giovane nipote sono destinati alla sconfitta pur incarnando mondi diversi: il primo difende i valori e le sicurezze della famiglia (ma fallisce tentando la nuova e rischiosa strada del commercio), mentre il secondo, dopo aver fatto esperienza del mondo cittadino, perde le sue radici e non riesce più a riconoscersi nei valori della famiglia e del lavoro tradizionale.
La ricostruzione della casa del nespolo e di quella arcaica “religione della famiglia” è possibile solo per il giovane Alessi, l’unico che non è stato mai tentato dai richiami del nuovo mondo (come ’Ntoni, Luca e Lia) e che è sempre rimasto legato alle proprie radici, come un ostrica al proprio scoglio, riuscendo a non farsi mangiare dal “pesce vorace”.
L’ideale dell’ostrica e la poetica del Verismo
L’ideale dell’ostrica è profondamente legato al pessimismo di Verga e alla sua concezione della realtà, inserendosi perfettamente e coerentemente nell’ampia e complessa poetica del Verismo.
Secondo la visione di Verga la società umana è regolata dal crudele meccanismo della “lotta per la vita”, dove il più forte schiaccia il più debole. Gli uomini non sono mossi da ideali, ma da interessi economici (come nel caso dell’usuraio zio Crocefisso), dalla ricerca dell’utile, dall’egoismo e dalla volontà di sopraffare gli altri. Il più debole, in quest’ottica rigorosamente materialistica, deve necessariamente soccombere. Questa, secondo Verga, è una legge di natura, e in quanto tale è immodificabile. Tale immodificabilità rende inutile ogni intervento correttivo dell’autore, riflettendosi dunque nella scelta stilistica che riproduce la realtà così com’è senza lasciare spazio alla propria voce.
L’ideale dell’ostrica e la “fiumana del progresso”
L’intento di Verga nei Malavoglia, come lui stesso afferma nella prefazione al romanzo, è il seguente:
Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosìa dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio.
Il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali.
[I Malavoglia, Prefazione]
Verga è lontano da quella mitizzazione del progresso tipica dei suoi tempi e anzi ne ha una visione profondamente negativa. Il progresso è appunto una “fiumana” che travolge e distrugge il mondo arcaico dei Malavoglia. Proprio per questo motivo l’ideale dell’ostrica si rivela come l’unica via di protezione.
“Come le dita di una mano”
Molto efficace è la metafora che Verga utilizza per descrivere la peculiare unità familiare dei Malavoglia:
— Gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo. —
E la famigliuola di padron ’Ntoni era realmente disposta come le dita della mano.
[I Malavoglia, cap. 1]
In questo senso l’ideale dell’ostrica rappresenta il radicale attaccamento alla religione della casa, alle tradizioni alla famiglia, unica possibilità di salvezza per non soccombere.
Come ha affermato il critico Luigi Russo, «questo è il romanzo della fedeltà, nel senso religioso, alla vita, alle costumanze antiche e severe, agli affetti semplici e patriarcali. Dove questo patto è rotto, ivi sorgono gli elementi della futura catastrofe».
E infatti, proprio nel momento in cui l’ideale dell’ostrica viene meno, quando l’ostrica si stacca dallo scoglio, il dito dalla mano, il figlio dal proprio nucleo familiare, ecco che inesorabilmente sopraggiunge la catastrofe.
Rosario Carbone
Bibliografia
- Giovanni Verga, Tutte le novelle, a cura di Lorenzo Tinti, Milano, Rusconi, 2016.
- Giovanni Verga, I Malavoglia, Milano, Mondadori, 2012.
- Gabriella Alfieri, Verga, Roma, Salerno, 2016.
- Luigi Russo, Giovanni Verga, Bari, Laterza, 1963.
- Romano Luperini, Giovanni Verga. Saggi (1976-2018), Roma, Carocci, 2019.
- Enrico Ghidetti-Enrico Testa, Realismo, naturalismo, verismo, psicologismo. Capuana, Verga, De Roberto, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, VIII, Tra l’Otto e il Novecento, Roma, Salerno, 1999, pp. 389-459.
- Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana, III, Dall’Ottocento al Novecento, Milano, Mondadori, 2012.
- Guido Baldi-Silvia Giusso-Mario Razetti-Giuseppe Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, V, Dalla Scapigliatura al Verismo, Torino, Paravia, 2000.