Ritenuto da Kurosawa stesso il suo film preferito insieme a Vivere, I sette samurai è forse il film giapponese più famoso al mondo. Uscito nel 1954 dopo una travagliata lavorazione e numerosi tagli effettuati dalla produzione, il film viene premiato con il Leone d’Argento al Festival di Venezia. La pellicola sarà poi esplicitamente presa come ispirazione da John Sturges per realizzare I magnifici sette, il celebre western del 1960.
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I sette samurai: la trama
Ambientato nel tardo XVI secolo, negli anni dello shogunato, I sette samurai racconta la lotta per la sopravvivenza di un villaggio di contadini minacciati da una banda di predoni. Su consiglio dell’anziano capovillaggio, i contadini si mettono alla ricerca di ronin, samurai senza padrone, da reclutare per difenderli. Alla fine, viene composto un gruppo di sei samurai, a cui si aggiunge Kikuchiyo, uomo rozzo e impetuoso che si finge un grande guerriero.
Sebbene pronti a sacrificarsi per difendere il villaggio, i sette devono fronteggiare il disprezzo degli stessi contadini. Abituati alla ferocia e alla violenza tipica dei ronin dell’epoca, i contadini mal sopportano la loro presenza. Tra momenti di vita quotidiana e addestramenti, i sette cercano dunque di ottenere la loro collaborazione, in attesa del violento scontro finale.
I sette samurai: un tuffo nel Giappone feudale
Con I sette samurai, Kurosawa sceglie di analizzare le condizioni di vita delle classi sociali più basse durante la seconda metà del Cinquecento. La vicenda raccontata si svolge nel 1578, all’epoca delle guerre civili del periodo Sengoku. Dopo la caduta dello shogunato Ashikaga, avvenuta nel 1573, il Giappone era stato sconvolto da una serie di lotte per il potere. Dopo la breve parentesi di governo di Obu Nobunaga, che cercò di riunificare il paese ma finì assassinato nel 1582, la pace fu raggiunta nel 1603, con l’ascesa al potere del clan Tokugawa.
In questo clima di violenza e sopraffazione, gli abitanti dei piccoli villaggi erano costretti a difendersi da frequenti attacchi di predoni e soldati. Anche i contadini di Kurosawa si trovano in questa situazione. Kurosawa ci mostra la spietatezza dei criminali dell’epoca fin da subito, con il rapimento di un bambino da parte di un ladro. A fermare il criminale è il ronin Kambei Shimada, esperto samurai che diverrà il leader dei sette.
Tuttavia, i contadini non hanno fiducia nei guerrieri che giungono al villaggio, ne hanno paura e non seguono volentieri le loro indicazioni. Alcuni rifiutano di abbandonare le case troppo esposte, altri non vogliono combattere, uno costringe addirittura la figlia a vestirsi da uomo. Kurosawa dedica gran parte del film a esplorare il rapporto tra samurai e contadini, raccontando i punti di vista degli uni e degli altri. È però attraverso il bizzarro Kikuchiyo che il regista chiarisce al meglio la situazione.
Kikuchiyo: raccordo tra contadini e ronin
Kikuchiyo appare fin da subito come un personaggio difficile da inquadrare. Si finge un grande guerriero e porta con sé un rotolo che dovrebbe provare la sua discendenza da una nobile famiglia. In realtà, gli altri samurai capiscono subito che si tratta di un oggetto rubato e si prendono gioco di lui. Tuttavia, Kikuchiyo è anche un uomo testardo e orgoglioso, al punto da seguirli quando partono per il villaggio per aiutarli nella missione. Forte e audace, riesce in molti momenti a mostrare il proprio valore.
Kurosawa ricorre al personaggio di Kikuchiyo per fare chiarezza sul legame tra contadini e samurai. Lungi dall’essere il discendente di una nobile famiglia, Kikuchiyo è in realtà figlio di contadini e ha assistito da bambino all’uccisione dei genitori per mano di alcuni ronin. In lui si mescolano il fascino per la figura carismatica del samurai e la consapevolezza del male di cui può essere capace. È vero, spiega a un certo punto ai compagni, che i contadini del villaggio non li hanno accolti bene, malgrado loro fossero venuti a difenderli. Ed è vero che hanno finto di non avere cibo per non dividerlo con loro. Tuttavia, spiega, se si sono comportati da bestie invece che da uomini è per colpa dei samurai che li hanno terrorizzati nel corso degli anni.
La via del samurai
Kurosawa non si limita a dare un’idea romanzesca ed eccessivamente romantica del samurai. La figura del samurai perfetto la ritroviamo solo nel leader Kambei. Grande guerriero e stratega, sempre capace di controllare impulsi ed emozioni, votato al sacrificio per il bene degli altri, Kambei incarna al meglio i dettami del bushido, la via del guerriero. Eppure, il rispetto completo delle norme di comportamento di un samurai era spesso pura utopia e Kurosawa vuole che sia chiaro a tutti. Abbiamo quindi Katsushiro, giovane e inesperto aspirante samurai, oppure Shichiroji, sopravvissuto a una battaglia rinunciando al suo onore e nascondendosi nel fango.
Abili spadaccini ed esperti di arti marziali, a volte persino artisti, i samurai ritenevano un’offesa al loro onore svolgere mestieri diversi da quello della guerra. Per questo, quando il loro signore moriva e iniziavano a muoversi in solitudine, non era raro che ricorressero alla forza per sopravvivere. Razzie, omicidi e stupri erano la norma e rendevano difficile e inutile la distinzione tra samurai e banditi.
Si può comprendere allora l’accusa mossa da Kikuchiyo contro la categoria dei samurai, ma anche la sua volontà di essere uno di loro. È vero che alcuni dei samurai protagonisti sembrano aver rinunciato al proprio onore, ma allo stesso tempo rischiano la vita per un’ideale di giustizia che vale più di qualsiasi guadagno personale. Permane dunque in Kurosawa, malgrado la consapevolezza dei lati più oscuri dei samurai, anche un profondo rispetto per una morale considerata degna di ammirazione.
Una vita solitaria
Se l’ammirazione di Kikuchiyo lo spinge a voler essere un samurai, questo non vale però per Kurosawa. Il regista non riesce a vedersi in un contesto di quel tipo, in cui vivere da soli passando da una battaglia all’altra. Da questo punto di vista, è importante l’inserimento di un personaggio come il giovane Katsushiro. Il suo desiderio di diventare allievo di Kambei è grande, ma più volte gli viene consigliato di scoprire prima il mondo. Infatti, nel corso della vicenda, il giovane si innamora di una ragazza del luogo. Il suo destino sarà allora diverso da quello di Kambei che, ormai anziano e solo, non sa vivere senza combattere.
I sette samurai non è un mero elogio della figura del classico guerriero giapponese, nemmeno durante la battaglia. Nonostante i combattenti riescano a mettere in luce il loro valore, questo non li rende vittoriosi. I banditi sono sconfitti, i contadini possono tornare con gioia ai loro campi, ma i samurai hanno subito dolorose perdite. Consapevoli che il loro sacrificio non servirà a riscattare la figura dei samurai, rendono un ultimo, malinconico omaggio alle tombe dei compagni caduti, per poi riprendere le proprie strade.
Davide Proroga