Dario Fo è stato uno dei più importanti e innovativi drammaturghi italiani del Novecento. La sua carriera prese avvio all’inizio degli anni ’50 (quando mise in scena i primi lavori), raggiungendo poi il massimo riconoscimento nel 1997; infatti, proprio in quell’anno venne inaspettatamente insignito del premio Nobel per la Letteratura.
In questo arco temporale, soprattutto tra gli anni ’60 e ’70, si collocano le opere di maggiore importanza e impatto. Tuttavia, anche dopo il Nobel, fino a poco tempo prima di lasciarci, Fo continuò instancabilmente a scrivere e a rappresentare i suoi spettacoli.
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Dario Fo e il premio Nobel
Molti intellettuali italiani non furono particolarmente contenti quando l’Accademia svedese decise di assegnare il premio Nobel per la Letteratura a Dario Fo. Infatti, con un riconoscimento così prestigioso si faceva entrare nell’olimpo dell’alta letteratura un “giullare”, un uomo di spettacolo, un personaggio che, secondo alcuni, con la letteratura aveva poco a che fare.
Così, Dario Fo – che nel corso di tutta la sua produzione teatrale aveva attinto a piene mani dalla tradizione popolare e che al popolo si era sempre rivolto – si elevava sopra l’élite culturale e letteraria, scrivendo il suo nome accanto a quelli dei suoi illustri predecessori: Carducci, Deledda, Pirandello, Quasimodo e Montale.
Dario Fo artista del popolo
Dunque, potremmo identificare in Dario Fo l’emblema di un riscatto, il riscatto del popolo nei confronti delle élite. E in effetti questa dicotomia tra élite e popolo costituisce un po’ il filo conduttore di tutta la sua opera.
Infatti, egli ha sempre mostrato un grande interesse verso la cultura popolare, vero fulcro di tutte le arti, ma spesso offuscata e posta in secondo piano rispetto alla cultura ufficiale. In particolare nelle sue opere possiamo riconoscere la tradizione giullaresca e il teatro medievale, la commedia dell’arte e le classi subalterne, delle quali egli prende costantemente le difese.
Cenni biografici
Dario Fo nacque a Sangiano (Varese) il 24 marzo 1926. Si formò a Milano come pittore e scenografo presso l’Accademia di Brera. Ma a partire dal 1950 iniziò a lavorare per la Rai come attore e autore di testi satirici. Pochi anni dopo sposò Franca Rame, che gli restò sempre accanto nella vita e nel lavoro. Il loro sodalizio artistico fu determinante per l’affermazione teatrale di Fo.
Nel 1969 uscì la sua opera più importante e più fortunata, Mistero buffo, modello del cosiddetto “teatro di narrazione”. In questo lavoro l’attore-autore Fo, da solo, occupa tutta la scena, dando vita a vari personaggi e rivisitando episodi tratti dai vangeli apocrifi e dalla letteratura, rievocando un medioevo carnevalesco con riferimenti al presente. Anche dopo il Nobel, Fo continuò a scrivere commedie farsesche o monologhi, sul modello di Mistero buffo. Morì nel 2016, all’età di novant’anni.
Dario Fo e la Commedia dell’arte
Tra le caratteristiche del teatro di Dario Fo possiamo annoverare l’improvvisazione, il gusto per lo sketch comico, per la goliardia, i lazzi, le maschere, il mimo. Tutti questi sono elementi che rinviano a una tradizione ben precisa: la commedia dell’arte, cioè quel tipo di teatro popolare basato su semplici canovacci e figure stereotipate diffuso soprattutto in Italia tra ’500 e ’700 e che ci ha tramandato maschere celebri come Arlecchino, Pulcinella, Brighella o Pantalone.
Il grammelot di Dario Fo e Ruzzante
L’archetipo di tutte le maschere della commedia dell’arte era lo Zanni (variante veneta del nome Gianni); essa rappresentava lo stereotipo del servitore, figura che in questo tipo di rappresentazioni ebbe molta fortuna. A questo personaggio è dedicato anche un celebre monologo di Mistero buffo, La fame dello Zanni: qui, il povero servitore, in preda a una fame pantagruelica, è intento a cucinare e divorare qualunque cosa si trovi sotto mano.
Il pezzo, rappresentato in modo magistrale da Dario Fo, con un’abilità mimica ineguagliabile, è un omaggio al celebre personaggio ed è scritto con un linguaggio artificiale noto come grammelot. L’utilizzo di questa lingua, un misto di dialetto lombardo-veneto, onomatopee e parole inventate, è diventato una delle cifre stilistiche tipiche del drammaturgo premio Nobel.
Dario Fo erede di Ruzzante
Dario Fo ha particolarmente valorizzato il grammelot inserendolo numerose volte nei suoi spettacoli e usandolo per comporre interi monologhi dalla notevole forza espressiva, seguendo la tradizione delle commedie dialettali del Ruzzante (commediografo del primo ’500 molto amato da Fo e da lui definito “l’ultimo dei giullari”).
Proprio Ruzzante è stato uno delle principali fonti di ispirazione per il teatro di Dario Fo, il quale ha apertamente dichiarato di averlo “saccheggiato”. Infatti, nella scrittura teatrale di Fo si ritrovano molte caratteristiche già presenti nell’archetipo dell’autore cinquecentesco: il gusto per il comico e il grottesco, la capacità di raccontare il quotidiano e la gente comune, di denunciare attraverso la satira e lo sberleffo le ingiustizie e le angherie dei potenti a danno dei più deboli.
Per rendergli omaggio Dario Fo gli dedicò addirittura un intero spettacolo, Ruzzante, con lo scopo di riscoprirlo e raccontarlo al suo pubblico.
Dario Fo e la tradizione giullaresca
Mistero buffo si apre con un grande elogio di Cielo d’Alcamo (o Ciullo, come preferisce chiamarlo Fo), il poeta siciliano del XIII secolo autore del famoso contrasto Rosa fresca aulentissima. In questo primo monologo viene rivendicata con orgoglio l’origine popolare e giullaresca del poeta, contro tutti quei dotti filologi che in passato lo avevano ricondotto ad ambienti aulici e colti, quasi a non voler riconoscere qualità artistica anche alla produzione poetica popolare.
Il giullare è una figura molto presente nel teatro di Dario Fo (si veda La nascita del giullare, altro monologo di Mistero buffo), ma è anche la figura in cui egli stesso si riconosce.
Ponendo come sottotitolo di Mistero buffo l’espressione “giullarata popolare”, Fo si presenta al suo pubblico come erede di tutta quella tradizione di attori comici e dissacranti che animavano la vita delle città medievali.
Dario Fo, nella presentazione della sua opera principale, precisa:
«il giullare, cioè l’attore comico popolare del Medioevo, non si buttava a sbeffeggiare la religione, Dio e i santi, ma piuttosto si preoccupava di smascherare, denunciare in chiave comica le manovre furbesche di coloro che, approfittando della religione e del sacro, si facevano gli affari propri».
È chiaro che i giullari che intende imitare Fo, non sono i buffoni di corte o i canterini comunali legati ai grandi signori e alle famiglie aristocratiche, ma piuttosto quelli che si esibivano per il popolo nelle piazze e che, come lui, non allineati con il potere, lo criticavano.
Dario Fo: un giullare moderno
Dario Fo ha pienamente incarnato la figura del giullare e l’ha adattata ai nostri tempi. Infatti, la stessa motivazione del premio Nobel recita:
«seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi».
Il legame con questa tradizione è così stretto e integrato nella sua arte che probabilmente senza i giullari non avremmo mai avuto Dario Fo.
Nel 1999, con Lu santo jullare Francesco, trasformò in giullare persino San Francesco d’Assisi. Partendo dal fatto che lo stesso santo si definiva “giullare di Dio”, egli ci offre una narrazione atipica della sua vita, lontana dall’immagine agiografica tradizionale.
Francesco diventa un personaggio provocatorio e ironico. Infatti, come spiega Fo, il poverello d’Assisi conosceva bene le tecniche e il mestiere dei giullari: non teneva prediche tradizionali, ma cantava, recitava e si muoveva suscitando il divertimento e la commozione dei presenti.
Un artista poliedrico
Inoltre, Dario Fo ebbe in comune con i giullari anche la poliedricità. Egli fu un artista multiforme: oltre a essere uno straordinario attore, commediografo e uomo di teatro, era anche un pittore, uno scenografo e autore di numerose canzoni che spesso inseriva nei suoi spettacoli.
Negli ultimi anni riuscì a coniugare il teatro con la sua grande passione per la pittura, realizzando alcuni spettacoli su grandi artisti del passato come Giotto, Caravaggio, Mantegna, Raffaello o Picasso.
Fo vedeva il mondo con gli occhi di un giullare, e nelle sue opere la risata si trasformava in un mezzo efficace per affrontare con leggerezza i problemi del reale.
Dario Fo e le classi subalterne
Il teatro di Dario Fo è sempre stato vicino alla cultura delle classi subalterne, smascherando le ipocrisie del ceto borghese (come accade in Non tutti i ladri vengono per nuocere) e prendendo le parti del proletariato (L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone). Con La signora è da buttare (1967), allestita in collaborazione con i clown Colombaioni, la compagnia Fo-Rame abbandonò il teatro ufficiale a favore di uno sommerso e alternativo.
Il pubblico borghese venne deliberatamente sostituito da quello operaio e popolare, il centro dalle periferie, nel tentativo di dar vita a un teatro politico. Le rappresentazioni furono organizzate nelle Case del Popolo e conobbero una larga diffusione.
Un teatro di sinistra
La collaborazione con l’ARCI, struttura ricreativa del Partito Comunista Italiano, già nel 1971 terminò e Dario Fo trasformò il suo collettivo Nuova Scena nel circolo La Comune, con il quale compì l’occupazione della Palazzina Liberty di Milano, rivendicando la propria autonomia artistica.
Infine, anche l’attualità divenne una delle sue principali fonti d’ispirazione: la misteriosa morte in questura dell’anarchico Pinelli fu lo spunto per Morte accidentale di un anarchico (1970), mentre, più tardi, con Il Fanfani rapito (1975) mise in scena la satira politica verso il leader della Democrazia Cristiana.
Un bilancio complessivo
Per concludere, possiamo dire che Dario Fo ha avuto il grande merito di portare in alto la cultura popolare, riscoprendola e riscattandola, facendoci comprendere l’importante ruolo che questa ha assunto, nel corso dei secoli, nella nostra società.
Fino al giorno della sua morte è sempre stato un artista controcorrente e scomodo, non smettendo mai di lottare e di battersi in prima persona per i diritti dei più deboli.
Rosario Carbone
Bibliografia
- Ferrone, S.-Megale, T., Il teatro, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, Roma, Salerno, 2016, pp. 1369-1466, a pp. 1428-1429.
- Fo, D., Mistero buffo, a cura di F. Rame, Torino, Einaudi, 2014.
- Fo, D.-Rame, F., Ruzzante, Parma, Guanda, 2018.
- Puppa, P., voce Fo, Dario, in Dizionario biografico degli italiani, 2018.