Luc Besson (Parigi, 1959), regista di “Léon: The Professional”, è uno spy-like film maker che ha connotato in maniera del tutto peculiare la categoria dei film d’azione.
La sua poetica si pone al limite tra tradizione francese e retorica hollywoodiana: il risultato è un ibrido che ha fatto di Besson un regista idiosincratico e reticente a essere ricondotto a schemi classici.
Il cinema di Besson è popolato da agenti solitari, i quali vivono in città immense e tecnologiche che attraversano da estranei in continuo divenire, reclusi nella loro condizione personale a-temporale. Gli eroi e le eroine dei lungometraggi del regista, infatti, hanno quasi sempre identità ambigue e complesse frutto di un passato difficile.
La solitudine dei protagonisti dei film di Besson è insieme condanna e liberazione: permette loro di superare frontiere e limiti sia fisici che psicologici. Un esempio è Jacques, protagonista di “Le Grand Bleu” (1988), il quale passa di continuo dalla terraferma al mare e riesce a fatica a distinguere la realtà dalle allucinazioni.
La fluidità è anche identitaria e di genere, come dimostrano Nikita e Jeanne. Nikita è assassina, fidanzata, donna fatale e perfino uomo. Jeanne, invece, adotta uno stile mascolino, tagliandosi i capelli e diventando una guerriera.
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Léon: un’opera di rara e tetra bellezza
Léon è un film del 1994, interamente girato in inglese, conforme ai temi canonici del cinema di Besson: lo spionaggio, la morte e la gioventù difficile.
Léon (Jean Reno) è un assassino, uno della peggior specie: un sicario. Vive da solo nel quartiere di Little Italy, a New York. Taciturno e analfabeta, si muove come un’ombra inafferrabile che minaccia continuamente le strade della città.
La sua vita viene improvvisamente rivoluzionata da Mathilda (una meravigliosa Natalie Portman al suo esordio cinematografico), una ragazzina tanto adorabile quanto audace che vive sul suo pianerottolo.
Il padre di Mathilda, uno spacciatore, un giorno riceve la visita intimidatoria di Stansfield (Gary Oldman), un ispettore folle e corrotto della DEA, il quale intende recuperare una partita di stupefacenti.
Dal momento che il padre di Mathilda appare restio a collaborare, l’ispettore – peraltro assiduo consumatore di droghe – scatena (non senza una perversa soddisfazione) la sua furia omicida. Unica superstite del massacro familiare è Mathilda, la quale troverà rifugio nell’impenetrabile mondo di Léon.
L’ambigua amicizia tra i due protagonisti
Contro ogni aspettativa, Léon si rivela ben preso un ragazzino intrappolato nel corpo di un sicario di quarant’anni.
La relazione tra lo spietato assassino e la ragazzina è inizialmente improntata alla sopportazione reciproca e alle discussioni. Successivamente, però, sfocia in un rapporto poco canonico che, all’epoca dell’uscita del film, scandalizzò il pubblico e la critica.
I due concludono un patto: ognuno insegnerà all’altro ciò che sa. Léon, così, impara finalmente a leggere, mentre Mathilda inizia a familiarizzare con le armi e a esercitarsi ad uccidere il prossimo.
La protagonista, però, si innamora inesorabilmente del suo nuovo protettore. L’alchimia tra i due genera una serie di situazioni tenere e divertenti che, insieme alla bravura degli interpreti e all’equilibrio tra film d’azione e dramma à la française, hanno reso “Léon: The Professional” il capolavoro indimenticato che è ancora oggi.
A tal proposito, vale la pena rievocare la scena in cui il protagonista rischia di strozzarsi mentre beve del latte alla vista di un’ammiccante Mathilda travestita da Marilyn Monroe con Björk in sottofondo che intona “Venus as a Boy”.
Con l’evolversi del rapporto tra i due, cresce anche il bisogno di Mathilda di vendicare la morte della famiglia.
La voglia della ragazza di farsi giustizia da sé si scontrerà irrimediabilmente con l’ira assassina dell’ispettore Stansfield.
Il bilanciamento perfetto tra violenza e tenerezza in Léon
Léon è un eroe silente o comunque uno che percepisce che le parole non sarebbero in grado di garantire una comunicazione appagante. Vive recluso in un universo di spietatezza e incomunicabilità fino all’incontro con Mathilda.
La ragazzina, a metà tra orfana bisognosa e tenera Lolita, riuscirà con i suoi sforzi a portare una parvenza di normalità nella vita dell’infallibile sicario.
L’equilibrio che si crea tra i due protagonisti genera una relazione che va oltre i limiti dell’immaginario e del buonsenso: essa oscilla costantemente tra una dialettica genitore-figlio e la convivenza tra due amanti.
Sebbene la trama non sia particolarmente complessa, la caratterizzazione dei personaggi e l’abilità degli interpreti hanno generato alcuni soggetti iconici nell’immaginario cinematografico sia americano che europeo.
Léon è un buono inusuale: rivela un animo puro che contrasta apertamente con la sua professione.
Mathilda, invece, rivela essere più adulta e responsabile di tutti i personaggi che la circondano, compreso il suo protettore.
Come in ogni idillio francese che si rispetti, il dramma è dietro l’angolo: un rapporto del genere non può esistere in un mondo tetro e ingiusto come quello in cui si muovono i protagonisti. La distruzione è sempre in agguato. Ogni parvenza di speranza di risolve nell’impossibilità di trovare un complice che protegga i protagonisti dalle avversità.
La poetica di Besson tra azione e melodramma
Controcorrente rispetto al precedente movimento della Nouvelle Vague, la poetica di Besson ha sempre diviso la critica contrapponendo coloro che ne elogiavano l’audacia a quanti condannavano la mancanza di autenticità del suo stile.
Il regista, infatti, è sempre stato considerato straniero sia nella sua patria che all’estero proprio a causa del fatto che i suoi film non rispecchiassero pienamente gli standards cinematografici di riferimento. Le pellicole di Besson utilizzano gli effetti speciali e tematiche come la violenza e la tecnologia simboliche del cinema statunitense. La desacralizzazione dell’autenticità di tali temi proviene da espedienti come il ricorso alla tecnica del cinemascope e della retorica artistica dei film drammatici europei.
Sebbene sembri fuggire a rigide schematizzazioni, il cinema di Besson è facilmente riconducibile fenomeno della transvergence : ci si riferisce all’utilizzo della tecnica cinematografica hollywoodiana per trattare tematiche francesi. Difatti, il regista adopera gli effetti speciali per affrontare topos quali la morte e la gioventù difficile in ambienti degradanti.
La chiave del successo di Léon: The Professional
All’interno del percorso cinematografico così variegato e transdisciplinare di Besson, Léon risulta l’esperimento cinematografico meglio riuscito.
Léon è una di quelle pietre miliari del cinema che sconvolgono i dettami classici di un genere, in tal caso il cinema d’azione. Una volta visto lascia un misto di turbamento e stupore che lo spettatore non dimenticherà facilmente.
La riuscita dell’opera si deve soprattutto alla tanto criticata capacità di Besson di riunire generi apparentemente discordi.
Difatti, ciò che ha reso questa pellicola uno dei film francesi più amati nella storia del cinema è stato l’insolito bilanciamento tra la violenza dei film d’azione e la tenerezza del dramma proprio del cinema francese.
La ferocia dei momenti di distruzione è stemperata dalla dolce intesa che si sviluppa tra i due protagonisti. Il massacro iniziale è esemplificativo di questo bilanciamento. L’ispettore distrugge un intero nucleo familiare, ma alla sua ferocia viene posto rimedio attraverso l’intervento di un complice inaspettato.
In conclusione, sebbene Léon sia stato criticato per la scelta del regista di attribuire a una dodicenne un perverso carisma sensuale, esso resta uno dei film cult degli anni Novanta. La storia terribile e meravigliosa tra i due protagonisti e la fluidità dei generi adoperati nel film, non hanno ancora trovato un degno rivale né nel cinema di Besson né altrove.
Marta Aurino
Bibliografia
- The Professional, Roger Ebert, 1994 https://www.rogerebert.com/reviews/the-professional-1994
- François Truffaut/Luc Besson – De la Nouvelle Vague à l’immersion, Laurent Jullier, 2001
- Sabotage or espionage? Transvergence in the works of Luc Besson, William Brown University of Oxford, 2007