Quando i servizi segreti israeliani fecero il nome di Josef Mengele al redivivo Adolf Eichmann, l’architetto della “soluzione finale”, costui fu colto da brividi. Basti pensare questo per comprendere che sorta di uomo debba essere “l’angelo della morte di Auschwitz”.
Studente, dottorando, nazista, soldato, dottore, assassino: questa è l’evoluzione della prima parte della vita di Mengele, uno dei più famosi criminali di guerra nazisti della storia. La seconda parte della sua vita l’ha vissuta in Sudamerica come fuggiasco, talvolta vivendo anche nel benessere e usando il suo vero nome.
Indice dell'articolo
Leggenda e realtà di Josef Mengele
Descrivere asetticamente Mengele è molto complicato siccome è assai difficile scindere la persona dal personaggio, la realtà dalla leggenda. Giornalisti, scrittori, politici, registi, spie, in tanti hanno contribuito ad accrescerne l’aura diabolica che circonda il dottore. Sia direttamente che indirettamente, la figura di Mengele è entrata nell’immaginario collettivo venendo rappresentata come uno scienziato elegante e raffinato, ma allo stesso tempo sadico e spietato.
Opere teatrali come Il vicario dove il personaggio del Dottore è direttamente ispirato a lui. Un romanzo e un film come Il maratoneta del 1976 il cui antagonista è ispirato a lui così come un altro romanzo, anch’esso divenuto film nel 1978, I ragazzi venuti dal Brasile, dove Mengele è l’antagonista diretto. Sono state scritte autobiografie dai suoi assistenti e dalle sue cavie, biografie di Mengele, romanzi semibiografici come il recente Lo sputo del Diavolo.
Tutte queste opere hanno accresciuto negli anni la sua fama a tal punto che, dopo oltre vent’anni dalla sua morte, la gente trema ancora pensando alle sue becere azioni. Del resto, 400.000 morti, molti di sua propria mano, ed esperimenti tanto crudeli quanto insensati, dovrebbero farci intuire con chi abbiamo a che fare.
Studente modello
Josef Mengele nasce nel 1911 a Günzburg, in Baviera, in una famiglia benestante. Il padre Karl è proprietario dell’omonima grande azienda che produce macchine agricole e sua madre è una fervente cattolica. Ancora oggi a Günzburg c’è una via dedicata a Karl Mengele, poco distante dal cimitero cittadino dove c’è un’opera dedicata al figlio Josef formata da tanti occhi.
Josef sin da bambino voleva impressionare i genitori e il mondo intero. Voleva divenire famoso, fare scoperte scientifiche che avrebbero consegnato il suo nome alla storia. Così si dedicò con fermezza agli studi universitari in medicina, nonostante si godeva la vita tra alcol, fumo e donne, con brillanti risultati. Prese la prima laurea in antropologia nel 1935 la seconda in medicina pochi anni dopo, ottenendo anche un dottorato in medicina nel 1938.
All’epoca concetti come la purezza della razza, l’eugenetica, l’eutanasia, la sterilizzazione forzata erano ben accettati nel mondo accademico, non solo tedesco. Questi concetti plasmarono la mente di Mengele. Egli ereditò l’interesse per i gemelli e l’eugenetica dal suo mentore, il professor Otmar Freiherr von Verschuer, col quale terrà una stretta corrispondenza anche durante gli anni di Auschwitz.
Un prode guerriero
Di bell’aspetto e fisicamente prestante, Josef si unì ai gruppi paramilitari degli Elmetti d’Acciaio (Stahlhelm) già a vent’anni per poi iscriversi al partito nazista nel 1937 con la tessera numero 5.574.974. La sua cieca fede nella dottrina nazista lo portò ad entrare nelle SS nel 1938. L’anno successivo, contro il volere dei suoi genitori cattolici sposa Irene Schönbein di fede protestante.
Allo scoppio della guerra, Mengele viene inviato al fronte dove riceverà quattro decorazioni, di cui due croci di ferro. Una di esse la ebbe perché, sprezzante del pericolo, aveva salvato due soldati intrappolati in un carro armato in fiamme. Nel 1942, però, una brutta ferita gli impedirà di continuare a combattere. Mengele non si arrenderà e continuerà a prestare servizio come medico di campo nelle retrovie finché von Verschuer non lo contatterà per offrirgli una posizione di responsabilità in Polonia. Si tratta di un lavoro da medico, dove potrà anche condurre anche le sue ricerche scientifiche, in un grande campo di concentramento: Auschwitz.
L’ambiente giusto
“È un’occasione unica” furono tra le prime parole di Mengele quando arrivò ad Auschwitz con grado di Untersturmfuhrer. A differenza della maggior parte dei medici nazisti che provavano disagio dalla situazione, come anche il suo superiore Eduard Wirths e l’anonimo Ernst B., Mengele si sentiva a suo agio lì, addirittura felice. Sempre distinto, di buon umore, con il camice lindo e gli stivali lustrati, un profumo di acqua di colonia e con un particolare sorriso sulle labbra, Mengele da anonimo dottore divenne una presenza costante ad Auschwitz anche in sua assenza.
Mengele era il primo ad essere presente alle selezioni (il decidere chi era idoneo per i lavori forzati e chi essere spedito direttamente nelle camere a gas) e il più entusiasta quando entrava nei laboratori. Qui la prima cosa che faceva era quella di aprire le finestre per far ventilare i locali, siccome era un maniaco dell’ordine e della pulizia. Raccoglieva migliaia di dati e campioni e dava istruzioni ai suoi sottoposti sul come procedere. Nonostante le poche risorse disponibili e con l’ambiente negativo di Auschwitz, Mengele creò un efficiente team di ricerca formato da scienziati e medici, per la maggior parte prigionieri.
In breve tempo, passò dal settore degli zingari ad uno creato appositamente per sé per studiare i gemelli. A tal riguardo, i gemelli, che cercava minuziosamente durante le selezioni, avevano un tatuaggio speciale (ZW) sul braccio e godevano di privilegi speciali nel campo. Oltre ai gemelli, s’interessava anche di nani, giganti, zingari e chiunque avesse malattie ereditarie o tratti somatici peculiari.
Le vittime
Le selezioni di Mengele erano surreali. Canticchiando o fischiettando, in un attimo decideva chi spedire nelle camere a gas mentre altre volte trovava metodi più scenografici. Una volta disegnò una linea sul muro di 150 cm: tutti i bambini al disotto di tale linea dovevano essere gasati.
Una particolare selezione lo rese però felicissimo. Fu quando incontrò la famiglia Ovitz, cinque fratelli e due sorelle, affetti da nanismo e che lavoravano al circo prima della deportazione. Quando li vide e prese appunti esclamò “Molto bene, ho lavoro per i prossimi vent’anni!”. Per loro iniziò l’incubo. Essi divennero i giocattoli preferiti di Mengele sui quali eseguiva i suoi cruenti esperimenti, nonostante le sere prime si faceva deliziare con i loro spettacoli ricambiati da gesti di paradossale gentilezza.
Oltre alle fucilazioni e alle camere a gas, un altro modo di morire nei campi di concentramento erano le iniezioni di fenolo direttamente al cuore. Mengele si distinse nella calma con cui uccideva i bambini in quel modo, tanto da dare lezioni ad altri. I cadaveri, o parte di essi, venivano poi spediti nei vari centri di ricerca. È singolare pensare al fatto che magari Mengele avrà pure giocato con quei bambini poiché aveva l’abitudine di portarli caramelle e giocattoli e, talvolta, di farli fare un giro nella sua auto.
Degli zingari, invece, era affascinato dalla malattia del noma che spesso colpiva questa etnia. Arrivò a chiedere ad un medico internato l’aiuto per poter sviluppare una ricerca in merito a tale malattia. Eppure, quando un’epidemia di tifo si sviluppò in una baracca di zingari, Mengele li fece uccidere tutti.
Gli esperimenti di Mengele
Cruenti e folli furono gli esperimenti del medico nazista. Sebbene non fu l’unico, come Horst Schumann e Carl Clauberg, i suoi erano tra i più allucinanti che una mente umana possa mai partorire. È bene ricordare che spesso questi esperimenti venivano effettuati senza anestesia e senza sterilizzazione degli strumenti.
L’ossessione per i gemelli fece di queste persone le vittime preferite, per lo più bambini. Mengele voleva scoprire i tratti ereditari trasmessi dai gemelli per potere creare una razza perfetta. Per aumentarne il numero, fece accoppiare anche uomini e donne gemelli, invano. Si racconta che, quando si accorse che una donna dell’esperimento aveva un solo bambino in grembo, Mengele prese il neonato e lo gettò direttamente nel forno crematorio.
Ai gemelli applicava soluzioni chimiche di varia natura per cambiarli la pelle, li uccideva in modo sincronizzato per cercare di capire se ci fossero differenze di tempo tra le due morti, eseguiva emotrasfusioni tra i due, utilizzava sostanze chimiche per alterarli il colore degli occhi. E se questi ultimi gli piacevano particolarmente li collezionava – per questo motivo gli fu dedicato il monumento degli occhi. Il suo esperimento più eclatante fu la realizzazione di due gemelli siamesi artificiali. I due bambini, tornati uniti nelle baracche, furono uccisi dai detenuti poiché soffrivano troppo.
In genere la routine che Mengele applicava alle sue vittime erano prelievi continui di sangue e midollo, acqua bollente gettata nelle orecchie e poi congelata, iniezioni di sostanze chimiche sconosciute nell’utero delle ragazze, denti strappati, recisioni di tessuti e organi.
Il sadismo psicologico
Di Mengele si ricorda anche il suo humor nero misto al sadismo con cui compiva le sue scelleratezze. Alle richieste di un uomo che gli chiese dei lavori leggeri egli gli disse “Lei avrà un lavoro leggero”, spedendolo nella camera a gas.
Il suo profondo antisemitismo lo portò una volta nel Blocco H dove le donne stavano celebrando una festa ebraica. Annunciò dapprima un concerto e poi un’enorme selezione per mandarle ai crematori. Mengele, a differenza delle altre SS, preferiva la tortura psicologica anziché fisica.
Anche alle selezioni giocava con le sue vittime. Una volta, una donna chiese energicamente pietà per sua figlia e lui estrasse la pistola uccidendo madre e figlia. Dopodiché spedì, come punizione collettiva, tutti i deportati di quella selezione alle camere a gas, nonostante furono dapprima selezionati per i lavori forzati.
I rapporti con gli altri
Mengele aveva un atteggiamento di distacco verso le altre SS, che lo temevano, mentre era molto socievole con i suoi colleghi medici, anche quelli prigionieri. Il suo amico Ernst B. – che salvò molti deportati – lo descrisse come una personalità forte e carismatica, capace di influire sugli altri. Non a caso un dottore che crollò psicologicamente per le selezioni, Hans Delmotte, fu affiancato da Mengele per essere recuperato.
I bambini invece lo adoravano, almeno fino a quando non iniziava gli esperimenti su di loro. I bambini zingari lo chiamavano “Zio Pepi” o “Zio Mengele” mentre lui li chiamava “le mie cavie”. Anche le deportate subivano il fascino sinistro di Mengele avendo spesso il desiderio di passare una notte con lui. E lui le accontentava, salvo poi spedirle il giorno dopo al crematorio.
Di ben diversa natura era il rapporto con i medici deportati della sua equipe, come il dottor Nyiszli e la dottoressa Eva C.. Le sue conversazioni erano sempre professionali e li trattava come parigradi, a meno che non commettessero degli errori. In tal caso, da uomo gentile e professionale mutava in un istante in un bruto rabbioso.
È interessante ricordare un dibattito riguardo una diagnosi su due bambini, molto amati dai dottori e dallo stesso Mengele, avuta col radiologo Abraham C. e altri medici. La tesi di Mengele era tubercolosi mentre gli altri dissentivano. Così Mengele sparò ai due bambini e li sezionò per poi tornare dentro al laboratorio e chiedere scusa ai colleghi della sua diagnosi errata.
La fuga di Mengele
Quando l’Armata Rossa era alle porte di Auschwitz, Mengele fu tra gli ultimi ad abbandonare il campo, non prima di mandare a morte altri deportati e assicurarsi di distruggere tutte le prove. Tenne i suoi faldoni ricchi di ricerche e dati scientifici, la maggior parte dei quali non fu mai trovata. Il suo mentore, il professor von Verschuer, invece eliminò tutta la corrispondenza e il materiale così che finita la guerra tornò ad insegnare all’università.
Tenuto prigioniero dagli americani, Mengele stranamente non fu riconosciuto come un SS e fu liberato. Le SS dovevano avere obbligatoriamente un tatuaggio speciale sul braccio sinistro assieme al loro gruppo sanguigno. Mengele, inspiegabilmente, non lo aveva. Salpò per l’Argentina passando prima per l’Italia con un nome fittizio, Helmut Gregor.
Nazisti che hanno trovato l’America
Assieme a tanti altri nazisti, Mengele nel paese dei Peròn iniziò una nuova e fiorente vita. Divorziò da Irene, con la quale aveva concepito pure un figlio durante una visita ad Auschwitz, e sposò la vedova di suo fratello. La famiglia Mengele lo aiutò molto, facendogli aprire una succursale dell’azienda in Argentina. Il dottore aprì inoltre una falegnameria e uno studio medico. Iniziò ad utilizzare anche il suo nome originale e tornò anche saltuariamente in Germania per visitare suo figlio Rolf– che anni dopo cambiò nome per la vergogna.
Ma quando Eichmann fu arrestato dal Mossad e il famoso cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal disse che Mengele era da quelle parti, ecco che l’Angelo della Morte prese il volo dapprima per il Paraguay, di cui aveva la nazionalità, poi in Bolivia, paese che dava protezione ad un altro pezzo grosso del Reich, Klaus Barbie.
Nonostante la grossa taglia messa sulla sua testa, il nome celebre e le foto divulgate dappertutto, Mengele non fu mai preso. Nel 1956 si trasferì in Brasile e, tra mille peripezie, trascorse lì la sua esistenza, conclusasi morendo annegato accidentalmente nel 1979. Fu sepolto sotto falsa identità e solo nel 1985 i suoi resti furono identificati tramite il DNA.
Lo strano caso del Dr. Mengele e Mr. Auschwitz
Per molti, Mengele è l’incarnazione del male nazista, più concreto rispetto ad Hitler e a Himmler poiché era in prima linea ad eseguire ciò che i mandanti invocavano da dietro una scrivania. E come ogni nazista di fascia alta anch’egli aveva un lato mirabile, come l’intelligenza, la cultura, la raffinatezza.
“Cuore di ferro” Heydrich concepì i peggiori massacri ed era così spietato da spaventare addirittura Göring, ma amava anche gli sport come il nuoto e la scherma ed era un ottimo violinista. Ma le vette estreme del bipolarismo di Mengele superavano di gran lunga quelle di tutti gli altri nazisti, spiazzando sia i prigionieri che i colleghi. Lo sdoppiamento, tipico di questi gerarchi ma ancor di più dei dottori nazisti, con Mengele toccava punte estreme.
Con Ernst. B il suo io e il suo io di Auschwitz entrarono in contrasto fin da subito portando all’abolizione occulta del secondo. Con Eduard Wirths, un bravo dottore divenuto il dirigente medico della catena di morte di Auschwitz, accadde che passava tranquillamente da uno all’altro per senso del dovere. Proprio per questo quando il Terzo Reich cadde e un ufficiale statunitense lo volle salutare dicendogli di aver stretto la mano “all’uomo che porta sulla coscienza la morte di quattro milioni di persone”, Wirths si suicidò. Con Mengele accadde l’opposto. L’io di Auschwitz assorbì il brillante ricercatore e il coraggioso soldato facendolo divenire il mostro che abbiamo conosciuto.
Mengele: ritratto di un mostro
Il male esercita il suo fascino specialmente se a compierlo è un personaggio con qualità peculiari. Ne è un esempio il personaggio immaginario di Hannibal Lecter. Un assassino, un sadico, un cannibale, ma anche un uomo raffinato, un brillante psichiatra, una persona di mondo. Ciò che ci consola è che egli non esiste.
Mengele è esistito e ha fatto molti più morti del dottor Lecter. È stato il dottore che ha infangato più di tutti il Giuramento di Ippocrate e che ha causato così tanta sofferenza in nome di una scienza perversa. Per questo motivo essa deve sempre essere guidata da un’etica siccome il fine non sempre giustifica i mezzi.
Si può dire che lo scopo della sua vita Mengele l’ha raggiunto. Voleva che il suo nome venisse ricordato negli annali della medicina e così è stato. Ha raggiunto un successo mediatico senza precedenti e durevole nel tempo. Il suo esempio è da tenere bene in mente quando siamo in cerca di notorietà e successo, sia che vogliamo divenire grandi scienziati, dottori o anche youtuber, poiché non conta solo la vetta, ma anche tutto il percorso da seguire.
Mengele ci è d’esempio anche per un’altra questione: il dubbio. La feccia complottista e negazionista, con le loro teorie squinternate, ci hanno fatto abbracciare ciecamente la scienza ufficiale. Ma questo è un grave errore siccome il dubbio scientifico è alla base del progresso. E quando la scienza ha come base il sentimentalismo, come le teorie razziali della Germania pre-nazista basate sull’antisemitismo neoromantico, allora è un dovere avere dubbi. Se Mengele avesse avuto il dubbio che quegli ebrei fossero stati degli esseri umani forse si sarebbe ricordato di Ippocrate e avrebbe agito diversamente.
Antonio Cusano
Bibliografia
G.L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, Milano, Il Saggiatore (2015), pag. 72, 165, 189, 191, 335, 336
J.P. Picaper, Nazisti in fuga, Roma, Newton Compton editori (2020), pag. 109, 299, 319-322, 338, 394
R.J. Lifton, I medici nazisti, Milano, BUR Rizzoli (2019), pag. 413, 415, 421, 422, 459- 529, 568, 569, 576, 577
R.J. Samuelson, Josef Mengele – L’angelo della morte di Auschwitz, Los Angeles, Le case books (2020), eBook