Mao Zedong (o Mao Tse-tung secondo la trascrizione fonetica Wade-Giles, utilizzata prima degli anni Ottanta) è stato il fondatore della Repubblica Popolare Cinese. L’obiettivo di questo articolo è delineare i passaggi storici più significativi del Partito comunista cinese e riportare alcune strategie politiche di Mao Zedong, che hanno inevitabilmente condizionato il modo in cui la Cina si è sviluppata nel corso della seconda metà XX secolo.
Indice dell'articolo
Mao e la fondazione del Partito Comunista Cinese
La fondazione del Partito comunista cinese (Pcc) risale al luglio 1921, quando a Shanghai Mao Zedong e altri undici delegati si riunirono per la creazione di tale partito rivoluzionario. Di lì a poco, vi fu il primo Congresso Nazionale del Pcc che diventò il momento più importante della vita del partito. L’obiettivo era quello di “rovesciare le classi capitalistiche” e “stabilire una dittatura del proletariato”.
La fondazione del partito fu il risultato di diversi episodi della storia cinese dell’epoca. Per esempio, la rivoluzione avviata dai movimenti studenteschi, il Movimento del 4 Maggio, le crescenti proteste popolari, l’influenza della Rivoluzione russa del 1917, il lavoro politico del Comintern coordinato da Mosca. Quest’ultimo si proponeva di assegnare un ruolo essenziale ai paesi arretrati nella realizzazione della rivoluzione comunista. Tuttavia, anche grazie agli studiosi cinesi che diffusero le teorie marxiste (con la fondazione, per esempio, di una Società di studi sul marxismo a Pechino) e grazie alla scoperta della via del socialismo, il Pcc riuscì a penetrare gradualmente la vita quotidiana dei cittadini.
L’esperienza del Primo Fronte Unito (1923-1927) garantì al Pcc la possibilità di contribuire alla rivoluzione nazionale e antimperialista. Dall’altro lato consentì di rafforzare i propri rapporti con le masse contadine e con il movimento operaio. In seguito alla vittoria del Partito nazionalista cinese (Pnc) nel 1927, i comunisti furono costretti a scappare dalle continue persecuzioni e si rifugiarono nelle zone più interne della Cina. In quegli anni, Mao Zedong aveva formato sui monti Jinggang (nel confine tra il Jiangxi e lo Hunan) il primo soviet rurale. Una delle prime basi territoriali militari nelle campagne, che ben presto divenne il nucleo essenziale della futura rivoluzione comunista. Il lavoro organizzativo nelle zone rurali portò alla formazione di una guerriglia armata contadina, che divenne ben presto la cosiddetta Armata Rossa.
Tra il 1930 e il 1934, il Pnc avviò cinque campagne di annientamento delle numerosi basi comuniste, costringendo il Pcc a riformulare la strategia politica. Decimati, i superstiti iniziarono la famosa “Lunga Marcia” nel 1934, da sud verso nord, la cui guida di Mao Zedong risultò essenziale nel compimento degli obiettivi preposti. La “Lunga Marcia” segna uno dei momenti più intensi della memoria storica comunista cinese. Nel corso di 368 giorni, l’impresa rappresentò una tappa verso la conquista del potere e lo stabilimento di una nuova base per il Pcc. Inoltre, garantì il consolidamento di una dimensione più “nazionale” al movimento comunista. Tuttavia, come lo stesso Mao Zedong tenne a sottolineare, l’Armata Rossa fu ridotta in modo esponenziale e “le organizzazioni del partito nelle aree controllate dal Pnc furono quasi interamente spazzate via.”
Mao Zedong e “I discorsi di Yan’an”
Yan’an diventò la base comunista a partire dalla fine del 1936 e rappresentò ben presto il fulcro centrale della rivoluzione comunista cinese. In quegli anni la minaccia giapponese, che si sarebbe concretizzata nella guerra sino-giapponese del 1937, portò alla nascita del Secondo Fronte Unito. Dopo circa dieci anni dal fallimento del primo, nazionalisti e comunisti univano di nuovo le forze per difendere il territorio cinese. Tuttavia, Mao Zedong tenne a sottolineare, proprio a Yan’an, che non bisognava dimenticare di mantenere l’indipendenza del partito e delle forze armate. Soltanto così si sarebbe evitato un pericoloso assorbimento da parte del Pnc.
Nel 1942 Mao Zedong promosse a Yan’an una conferenza sulla letteratura e sull’arte. I suoi discorsi erano rivolti ai numerosi scrittori e artisti rivoluzionari giunti nella base comunista. Mao Zedong pose le solide basi per la realizzazione di una vera e propria “lotta di classe“. Al fine di realizzare a pieno la rivoluzione comunista, tutti dovevano convogliare le proprie forze per questo obiettivo comune e il compito degli intellettuali era fondamentale. Essi avrebbero dovuto, attraverso le loro opere, unire ed educare il popolo.
Mao Zedong non aveva grande fiducia negli intellettuali. Durante i Discorsi si stabilì che i problemi da risolvere erano i seguenti: cambiare l’atteggiamento degli intellettuali, il loro lavoro, il loro modo di pensare, il loro modo di scrivere. Egli infatti affermava: “[…] la nostra letteratura e la nostra arte sono in primo luogo destinate agli operai, la classe che dirige la rivoluzione. […] Per essere utili ad essi, dobbiamo porci sulla posizione del proletariato, non certo su quella della piccola borghesia”.
Gli artisti e gli scrittori rivoluzionari dovevano innanzitutto vivere tra le masse degli operai, dei contadini e dei soldati, dovevano apprendere, studiare, osservare la loro vita e il loro modo di condurre la lotta rivoluzionaria. In questo modo, gli intellettuali avrebbero potuto rieducare la loro condizione borghese e apprendere i valori puri rivoluzionari. La lotta di classe, infatti, si basava su una strategia volta a “sostituire il modo di sentire di una classe con quello di un’altra.” Soltanto così, le opere degli scrittori e degli artisti sarebbero state accettate dalle masse.
Il Maoismo: l’atteggiamento da assumere nella lotta di classe secondo Mao Zedong
La lotta di classe prevedeva tre categorie di persone: i nemici, gli alleati e le masse popolari. Verso ognuna di queste categorie bisognava adottare un atteggiamento diverso. I nemici erano gli imperialisti giapponesi, i ricchi proprietari terrieri e il compito degli scrittori consisteva nel denunciare la loro crudeltà e, allo stesso tempo, dimostrare la loro inevitabile sconfitta. Gli alleati erano i componenti del fronte unito e verso di loro bisognava avere un atteggiamento sia di cooperazione sia di critica. Gli scrittori dovevano esaltare gli alleati se resistenti al Giappone, ma bisognava criticarli quando e se si opponevano al Pcc.
Quanto alle masse popolari, ovviamente, bisognava lodarle, celebrare il loro lavoro. Gli scrittori e gli artisti dovevano rappresentare, nelle loro opere, la dedizione della classe contadina nel voler superare le idee arretrate e tutto ciò che intralciava la loro lotta. Mao Zedong delineò il compito della letteratura e dell’arte, ossia rappresentare in modo negativo i nemici e in modo positivo le masse popolari. Inoltre, bisognava denunciare le forze tenebrose che danneggiavano le masse popolari ed esaltare, invece, i valori e le azioni di queste ultime.
Si può chiaramente intuire che la letteratura ha sempre avuto un ruolo importante nella vita politica e sociale cinese. Rispetto alle opere occidentali, è difficile ritrovare nel corso del Novecento lo stesso numero di scritti cinesi distaccati dalle vicende civili del paese. La letteratura ha forgiato il carattere di ogni singolo cinese. Mao Zedong è stato molto attento nel permettere agli scrittori di realizzare soltanto determinate opere, con precisi personaggi e vicende utili alla causa comunista. In questo modo gli scrittori e gli artisti hanno contribuito a costruire le identità cinesi, seguendo pedissequamente le direttive di Mao Zedong.
Mao Zedong e la nascita della Repubblica Popolare Cinese
Il 1° ottobre 1949 a Pechino, Mao Zedong proclamò trionfante la nascita della Repubblica Popolare Cinese (RPC). Questo traguardo fu fondamentale nel processo di rinascita di una moderna nazione cinese. Intanto, però, i nazionalisti si rifugiarono a Taiwan ponendola sotto il proprio dominio. Hong Kong e Macao rimanevano rispettivamente sotto il controllo della Gran Bretagna e del Portogallo. La nuova leadership comunista, al cui vertice vi era Mao Zedong, doveva governare un paese immenso, segnato da decenni di guerre e profondamente diviso al suo interno. L’esperienza comunista nelle basi rurali, negli anni precedenti la fondazione della RPC, consentì di comprendere le molteplici condizioni ed esigenze delle diverse aree. Questo fu un punto di forza essenziale nella definizione di un importante programma di sviluppo economico e sociale.
Mao Zedong iniziò a scontrarsi con alcuni membri del partito che non condividevano la sua linea strategica. Si tracciò presto una divisione tra coloro che avevano ostacolato la sua ascesa e coloro che invece lo avevano sempre sostenuto. Tra il 1949 e il 1954, si cercò di combattere la crisi economica, delineare nuove istituzioni e rafforzare il consenso sociale. Un ruolo fondamentale svolse l‘Esercito Popolare di Liberazione (Epl), contribuendo alla stabilità e alla sicurezza nazionale. A partire dagli anni Settanta, poi, assunse un ruolo sempre più significativo sul piano politico. Mao Zedong avviò una strategia politica ed economica definita “tre anni di risanamento e dieci anni di sviluppo“. L’obiettivo primario era l’industrializzazione del paese, così come stabiliva il Primo Piano Quinquennale varato nel 1953.
Il Piano Quinquennale, ripreso dall’esperienza sovietica, stabiliva le direttive da seguire per raggiungere i risultati desiderati nel campo della produzione e degli investimenti nell’arco di cinque anni. In breve, lo stato raccoglieva tutte le informazioni relative alle risorse e ai bisogni del paese per stabilirne la gestione. Così tutti sapevano cosa dovevano produrre e in quanto tempo. Terminato il lavoro, consegnavano tutto allo stato che si occupava di distribuirlo a seconda delle esigenze. La Commissione Statale di Pianificazione ogni anno realizzava il piano e lo mandava ai livelli gerarchici inferiori della struttura statale.
Mao Zedong e la leadership comunista basavano le proprie scelte su un fondamentale principio socialista. Non esiste la proprietà privata e tutti devono convogliare le proprie forze per la crescita del paese. A tal fine vennero create le danwei 单位 ovvero delle unità di lavoro e residenziali, il cui obiettivo era la produzione industriale. Ogni cinese viveva in un’unità in base al posto di lavoro, al quartiere e non potevano abbandonarla. Lo stato garantiva loro ogni servizio sociale (scuole, ambulatori sanitari, mense ecc.) cosicché i cinesi avrebbero dovuto soltanto preoccuparsi di lavorare, al resto avrebbe pensato lo stato. In seguito gli studiosi hanno parlato, in riferimento agli anni Cinquanta (e fino al 1978), di un vero processo di demonetarizzazione, proprio perché non circolava moneta. In effetti, non ce n’era bisogno: dato che lo stato garantiva tutto, a cosa sarebbero serviti i soldi?.
Mao Zedong: dal Grande Balzo in Avanti alla Rivoluzione Culturale
Il Grande Balzo in Avanti venne ratificato nel 1958 sotto le direttive di Mao Zedong. Fu basato sul fatto che il volontarismo delle masse doveva essere sfruttato per sollecitare la crescita economica e industriale. Per condurre al meglio il Grande Balzo in Avanti, Mao Zedong istituì le comuni popolari: vecchie unità collettive rurali a cui era affidato il compito di coordinare il lavoro agricolo. Queste svolgevano anche compiti amministrativi, come raccogliere le tasse nelle aree rurali, occuparsi delle politiche sociali e sanitarie ecc. Ogni aspetto relativo alla proprietà privata venne abolito definitivamente, al fine di migliorare la coesione e radicare la forza dello Stato.
In realtà, il Grande Balzo in Avanti si rivelò ben presto un fallimento. Già dal 1959 la produzione cominciò a declinare e le statistiche ufficiali mostrano che tra il 1959 e il 1960 la popolazione totale diminuì di 10 milioni. Si può dedurre che le politiche economiche di quegli anni succhiarono tutta l’energia della popolazione, così da convogliarle verso una plausibile repentina crescita economica e industriale. Alcuni membri del partito criticarono Mao Zedong, in particolare per la sua “idea di poter arrivare al comunismo in un sol colpo” (come affermò Peng Dehuai, ministro della Difesa). Non è difficile pensare alle conseguenze di tali critiche: la cricca di Peng Dehuai (lui stesso e i suoi sostenitori) venne rimossa dagli incarichi politici.
Mao Zedong a partire dagli anni Sessanta avviò la Rivoluzione Culturale. Le basi della rivoluzione vanno ricercate nella conferenza sulla letteratura e sull’arte a Yan’an (1942). Infatti, in quella circostanza vennero definite le linee corrette da seguire, contrapposte a quelle erronee da eliminare. C’è da dire che il ruolo di Mao Zedong era diventato sempre più influente, tant’è che si parla di un vero e proprio culto alla sua personalità (vi ricordate di Stalin?). Nella prima metà degli anni Sessanta, Mao Zedong sollevò le problematiche della lotta di classe e delle differenze nel partito, condannando in particolare coloro che avevano “intrapreso la via del capitalismo.” Fu in tale contesto che nel 1964 Mao Zedong costituì il Gruppo per la Rivoluzione Culturale. L’obiettivo era di promuovere una campagna nazionale in campo culturale, per valutare la qualità rivoluzionaria delle opere letterarie e artistiche prodotte dal 1949.
Lo stesso Mao Zedong selezionò alcuni esempi di opere “negative” da diffondere nel paese, al fine di criticarle. In seguito alla mancata obbedienza del Gruppo per la Rivoluzione culturale, Mao Zedong sciolse tale gruppo e fu in tale contesto che nacquero le famose “guardie rosse”. Figli di famiglie “rosse” (contadini e operai), si riunirono per affermare il loro ruolo sociale e ideologico e per denunciare gli appartenenti alle classi “nere” (nemici alle classi rosse, inclusi gli intellettuali). Il Libretto rosso, diffuso dall’esercito, raccoglieva gli aforismi di Mao Zedong e costituì la guida ideologica dei rivoluzionari. Le guardie rosse rappresentarono il principale fattore che causò numerose perdite nella popolazione cinese. La violenza psicologica, ma soprattutto fisica subita dai nemici di classe, caratterizzò tutto il decennio della Rivoluzione Culturale e terminò definitivamente soltanto con la morte di Mao Zedong nel 1976.
La Cina comunista dopo la morte di Mao
Dopo la morte di Mao Zedong, la Cina fu costretta a ripercorrere le tappe della sua storia comunista. L’obiettivo primario era duplice: comprendere i risultati raggiunti, ma soprattutto identificare le cause delle numerose perdite subite nella seconda metà del XX secolo. Indubbiamente, la figura carismatica di Mao Zedong ha condizionato la vita quotidiana dei cinesi e, sul piano economico, la Cina ha comunque raggiunto buoni risultati nei primi anni Cinquanta. Tuttavia, è difficile sintetizzare il periodo maoista e tentare di dare delle considerazioni lucide. Un ausilio proficuo può essere garantito dalla lettura di scrittori come Yu Hua. Nel suo libro Brothers, dà l’idea di come erano costrette a vivere e a sentirsi determinate categorie di persone, soltanto perché appartenenti alla classe sociale sbagliata.
Un punto di riflessione interessante è dato dalla concezione del destino in Cina. Il destino stabilisce se si nasce ricchi o poveri, proprietari terrieri o giapponesi, e nel periodo maoista l’appartenenza a una classe sociale piuttosto che ad un’altra, poteva sancire la vita o la morte di una persona. Ad ogni modo, bisognerà aspettare il 1978 per poter assistere ad un cambiamento epocale che ha portato la Cina a diventare la potenza mondiale che conosciamo oggi. Deng Xiaoping sarà il protagonista indiscusso di tale svolta, al fine di superare la povertà e l’arretratezza del paese. Ma questa è tutta un’altra storia.
Miriam Verzellino
Bibliografia
- Guido Samarani, La Cina contemporanea, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, 2017
- Yu Hua, Brothers, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 2005