Loro è un film del 2018, ottavo lungometraggio del premio Oscar Paolo Sorrentino (Le conseguenze dell’amore; La Grande Bellezza). È l’Italia che vive tra il 2006 e il 2010 e il protagonista della pellicola è un Silvio Berlusconi (Toni Servillo), appena spodestato dal suo trono al governo italiano, che arranca durante gli ultimi anni di vita del berlusconismo.
L’intenzione – più volte dichiarata – di Sorrentino era proprio quella di non voler raccontare il Silvio Berlusconi politico, ma di voler portare sullo schermo il Silvio Berlusconi uomo e umano, permeato ormai da sentimenti come l’insoddisfazione e la noia. Un “uomo del fare”, come dice lui stesso nel film, recluso tra le maestose mura di Villa Certosa, che cerca in ogni modo di rimettere in piedi la relazione con sua moglie Veronica Lario (Elena Sofia Ricci) e il suo impero politico. Ma gli echi del diavolo tentatore sono troppo vicini e troppo assordanti. E Lui (così viene apostrofato Berlusconi per la prima ora di film) si lascia trasportare in un turbinio di spensieratezza e nuova vitalità nei party con giovanissime e bellissime ammiratrici.
Il concept narrativo generale del film è lo stesso de Il Divo (2008) o del più recente Hammamet (2020): raccontare le vicende professionali e soprattutto private di un potente politico italiano in declino. Ed è proprio la decadenza la tematica su cui si fonda l’ultimo lungometraggio di Sorrentino. Un tema presente in tutti i suoi film precedenti e a cui, il regista, è particolarmente legato.
Loro, il film: la decadenza berlusconiana secondo Paolo Sorrentino
Paolo Sorrentino sviscera ancora una volta il tema affidandosi, questa volta, a una simbologia molto marcata, a tratti macabra e triste. Con un’estetica spiccatamente pop, il regista anima quella fauna decadente e tossica che abita il substrato del cosmo berlusconiano. Dà vita, con sequenze dal montaggio frenetico e creativo, ai limiti del videoclip, a una trasposizione visiva kitsch di quel fenomeno conosciuto come Bunga bunga. Artefice dei pittoreschi e grotteschi teatri di festa a cui partecipa allegramente il Cavaliere è Sergio Morra (Riccardo Scamarcio), giovane imprenditore tarantino, il cui unico obiettivo è quello di conoscere il Presidente ed entrare nelle sue grazie. Un personaggio mosso da un’ambizione smisurata che si ritroverà ben presto con un pugno di mosche in mano.
Nelle enormi stanze e nei giardini curatissimi di Villa Certosa, però, l’atmosfera cambia. Diventa più intima e tranquilla. Lì dove risuonano le placide note della chitarra di Mariano Apicella (Giovanni Esposito), si consuma il dramma sentimentale di una coppia – quella tra Silvio e Veronica – e del loro amore che sembra essere giunto al capolinea. Tra le mura domestiche, ci viene mostrato il Silvio Berlusconi uomo e umano, spogliato delle vesti di avvenente sex-symbol, che soffre per amore. È netta, infatti, la spaccatura che si percepisce tra le vicende che accadono all’interno e all’esterno dei confini di Villa Certosa. Un tentativo, questo, del regista di provare a raccontare due personalità diverse, ma sempre dietro lo stesso cerone dello stesso personaggio.
Un mix confuso e superficiale di generi, fatti, personaggi
L’esperimento sorrentiniano risulta essere una miscela confusa di generi, di fatti veri e fatti inventati, di personaggi reali e fittizi. Un miscuglio indefinito che ci mostra quello che, purtroppo, tutto il mondo sa già della figura di Silvio Berlusconi. Il focus di Sorrentino sulle vicende che narra nella sua pellicola sarebbe dovuto essere un altro. Forse avrebbe dovuto mostrarci la sua personale e autoriale chiave di lettura di un personaggio indecifrabile. Non una scontata e macchiettistica visione di una maschera, che banalmente tutto il mondo conosce. Del Sorrentino autore – quello che scava nell’animo dei personaggi che mette in scena – c’è ben poco. Gli archi narrativi si interrompono all’improvviso senza una vera conclusione, con caratteri, pregi e difetti delle creature che abitano la pellicola che sono appena accennati.
Le scene d’altronde sono tutte per Lui – che per la prima ora di film non ci viene mai mostrato, creando un’aura di mistero sul personaggio protagonista – e per la sua personalità intoccabile e inscalfibile. Un barlume di debolezza, che turba l’animo del nostro Silvio, ci viene mostrato durante l’incontro fugace con Stella (Alice Pagani). La ragazza, che si sente fuori luogo in quel mondo abitato da arrivisti e squillo di lusso, si rifiuta di concedersi al Presidente e lo liquida con un’offesa goffa e infantile. Nella mente di Silvio si fa spazio un’amara consapevolezza. La giovinezza è ormai solo un lontano ricordo e resta solo un patetico vecchio che prova a fare il giovane.
Certo, da un punto di vista puramente tecnico-stilistico, Loro è un film perfettamente riuscito. La fotografia del solito eccelso Luca Bigazzi è magistrale e un montaggio fresco e dinamico accompagnano e confezionano una regia impeccabile. L’unica nota stonata resta il make-up di Servillo che risulta fin troppo caricaturale. Sorrentino, però, non aveva di certo bisogno di realizzare un film su Berlusconi, almeno non così, per dare prova del suo talento dietro la cinepresa.
Loro: lo specchio del cinema sorrentiniano di oggi
Loro ha incassato circa 6.5 milioni di Euro, secondo film di Sorrentino per numero di incassi nelle sale italiane dietro La Grande Bellezza. Ma così come già successo per altre opere del regista, si è creata una netta frattura sia tra i critici che tra il pubblico.
C’è chi ha lodato il film, definendolo come un’opera totalizzante e artisticamente inedita nel panorama cinematografico italiano. Altri invece sono rimasti delusi, apostrofando la pellicola come un superficiale tentativo di Sorrentino di scimmiottare confusionariamente opere di altri autori, mettendo in scena un protagonista e una vicenda che non sono per niente superficiali e confusionarie.
In conclusione, Loro è un po’ lo specchio del cinema sorrentiniano degli ultimi tempi: economicamente molto ricco, ma molto povero di contenuti profondi. La rappresentazione visiva di questo concetto si può ritrovare nelle battute conclusive del film. La statua di un Cristo viene estratta dalle macerie di una chiesa dell’Aquila, ancora scossa dal terremoto. La scultura viene deposta sui detriti, sotto gli occhi di quei Loro che guardano la morte di un cinema che, forse, non ci sarà più.
Chissà che con il suo nuovo film, È stata la mano di Dio, Sorrentino non ci sorprenda di nuovo tutti, magari tornando ad abbracciare quella poetica intima che ci ha fatto amare il suo cinema.
Marco Sito