Il Festival di Cannes è una delle rassegne cinematografiche più importanti del mondo. Il Festival ha radici che risalgono addirittura alla fine degli anni Trenta del XX secolo, ma la prima vera edizione – a causa della Seconda Guerra Mondiale – si ebbe soltanto nel 1946.
Tra i film vincitori della 1ª edizione del Festival ci fu anche un italiano. Il regista era Roberto Rossellini e l’opera che si aggiudicò l’ambita Palma d’oro fu Roma città aperta, di cui parleremo più avanti nell’articolo.
Indice dell'articolo
Festival di Cannes: i film italiani nella storia del Festival
Il rapporto tra il Festival di Cannes e l’industria cinematografica italiana è da sempre stato molto longevo e proficuo.
Oltre al già citato Roma città aperta, furono altri undici i film italiani che trionfarono al Palais des Festivals et des Congrès della città di Cannes.
Basti pensare che, nel periodo di maggior splendore del cinema italiano, tra gli anni Cinquanta e Settanta, ad aggiudicarsi il Grand Prix du Festival International du Film furono autori del calibro di Vittorio De Sica, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni e tanti altri registi che hanno fatto la storia del cinema italiano e mondiale.
Insomma, tanta Italia nella storia del Festival di Cannes. In questa speciale classifica, infatti, abbiamo elencato 8 film italiani che si sono aggiudicati la Palma d’oro e che, secondo noi, vale la pena recuperare.
Attenzione però! Questa è una classifica che si focalizza solo su alcuni dei film italiani vincitori della Palma d’oro al Festival di Cannes che, con il loro linguaggio innovativo, le tematiche affrontate e la sperimentazione narrativa e visiva hanno cambiato la storia del cinema.
La Dolce Vita (Federico Fellini, 1960)
Il capolavoro di Federico Fellini si aggiudicò la Palma d’oro del 13° Festival di Cannes. È il 1960 e il film, con protagonista Marcello Mastroianni, narra le vicende dell’avvenente giornalista di cronaca mondana Marcello Rubini. Un uomo che, per riempire il vuoto che ha dentro, si rifugia in una moltitudine di feste e orge, in compagnia di numerose donne che crede di amare. Il racconto della vita orgiastica dei borghesi romani scioccò e stuzzicò gli spettatori di tutto il mondo facendone uno dei film italiani di maggior successo mai distribuiti all’estero.
L’opera felliniana ha demarcato la linea del nuovo cinema italiano che si sarebbe fatto spazio anche nel panorama cinematografico mondiale. Veniva superato ogni aggancio col neorealismo e le colonne portanti della narrazione divennero la labilità del tempo e della vita.
Un film, La dolce vita, che ha influenzato la filmografia di numerosi cineasti del panorama cinematografico mondiale. Uno su tutti, Paolo Sorrentino che, con La Grande Bellezza, ha assorbito l’essenza del lungometraggio di Fellini, trasportandola in un’opera ancor più contemporanea e ancor più internazionale.
Roma Città Aperta (Roberto Rossellini, 1945)
L’opera di Roberto Rossellini vinse la Palma d’oro nel 1946. Fu il primo dei film italiani a vincere l’ambito premio del Festival di Cannes. Il lungometraggio è una delle opere più rappresentative e celebri del neorealismo cinematografico italiano.
Ispirata a eventi reali avvenuti nell’inverno del 1943-1944, la pellicola rappresenta la Resistenza italiana come un’alleanza tra comunisti e cattolici, coinvolti nella lotta contro le truppe naziste che occupano Roma. La pellicola, che ha dato notorietà alla straordinaria Anna Magnani, è inserita anche nella lista dei 100 film italiani da salvare e ha segnato l’apice del cinema della realtà senza censure.
Il film, infatti, colse la sensibilità del tempo e diede forma e voce alla morte (fisica, psicologica e spirituale) provocata dalla guerra. Un film che ha segnato l’inizio di una nuova epoca e che è diventato l’emblema della volontà di rinascita del cinema italiano.
Blow-up (Michelangelo Antonioni, 1966)
Il decimo film di Michelangelo Antonioni trionfò a Cannes nel 1967. La pellicola racconta di un menefreghista fotografo senza scrupoli, dedito solo alla carriera e al piacere, che scopre di aver fotografato quello che sembra un tentativo di omicidio in un parco di Londra. Sviluppando e analizzando gli scatti, il fotografo decide di investigare e ritorna al parco dove ha scattato le foto, imbattendosi in un cadavere. Il fotografo va alla ricerca di prove, ma non trova nulla: ha visto bene o è stato ingannato? Cosa è vero e cosa è apparente? La vita è reale o immaginaria?
Un thriller psicologico dalla trama essenziale e perfetta allegoria dell’indecifrabilità della realtà. Blow-up è il film più intrigante e raffinato di Antonioni e si contraddistingue per la precisione del linguaggio cinematografico e per lo stile registico innovativo. Il capolavoro di Antonioni è considerato ancora oggi il film più importante della cinematografia mondiale degli anni Sessanta, nonché il capostipite del cinema d’essai.
Padre padrone (Paolo e Vittorio Taviani, 1977)
Liberamente tratto dall’omonima opera autobiografica di Gavino Ledda, il capolavoro spartiacque della carriera dei fratelli Taviani si aggiudicò la Palma d’oro al 30° Festival di Cannes (1977). La vicenda si svolge nelle desertiche campagne sarde e racconta il riscatto di un giovane pastore dal padre dispotico e autoritario. Strappato alla scuola da bambino e costretto al lavoro nei campi a guardia del bestiame, rimasto analfabeta fino ai vent’anni, Gavino – il protagonista – decide di ribellarsi al Cesarismo del padre dando vita a un rapporto odi et amo col genitore dalla forte intensità drammatica.
Inserita nella lista dei 100 film italiani da salvare, la pellicola è una delle opere più importanti del cinema italiano degli anni Settanta. Il film, dal considerevole impatto visivo, ricco di richiami a opere artistiche come la Pietà di Michelangelo o Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt, rappresenta la realtà sarda degli Anni ’70 e lo fa con una poetica cruda e realistica, tipica dei fratelli cineasti toscani.
Nonostante il grande successo, il film ricevette aspre critiche soprattutto dal popolo sardo. Gli isolani infatti si lamentavano per la cattiva rappresentazione della loro terra d’origine. Accusavano di raffigurare la Sardegna in modo completamente distorto e di mettere in scena qualcosa di falso e irreale, senza tener conto della vera cultura e delle vere tradizioni sarde. Tuttavia, a distanza di anni dal debutto, Padre padrone è stato rivalutato dal popolo sardo che, ad oggi, la considera un’opera più comunicativa e meno critica.
Il caso Mattei (Francesco Rosi, 1972)
Il film diretto da Francesco Rosi vinse la Palma d’oro nel 1972 in ex aequo con La classe operaia va in Paradiso di Elio Petri. Selezionato nella lista dei 100 film italiani da salvare, il lungometraggio è un giallo politico che narra la storia del padre dell’Eni, Enrico Mattei: la sua ascesa, la sua lungimiranza industriale nel panorama dell’imprenditoria italiana, fino alla sua misteriosa morte. Il film di Rosi fu apprezzato molto da critica e pubblico per il suo linguaggio particolare. La semplice cronaca viene unita alla complessa ricostruzione documentaria. Con una struttura narrativa a mosaico e un ritmo serrato nel racconto della vicenda, l’opera analizza le varie ipotesi sulla morte dell’imprenditore. Nella stessa edizione del Festival di Cannes (la 25esima) Gian Maria Volontè – protagonista di entrambi i film italiani vincitori della Palma d’oro – si aggiudicò una menzione speciale per le magistrali interpretazioni offerte nelle due pellicole.
La stanza del figlio (Nanni Moretti, 2001)
Il lungometraggio più tragico e struggente di Nanni Moretti vinse la Palma d’oro nel 2001, ventitré anni dopo l’ultimo trionfo di un film italiano a Cannes (L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi).
La stanza del figlio è la storia di una famiglia sconvolta dall’improvvisa morte del figlio adolescente. I rapporti interpersonali tra i familiari si sgretolano. Chiusi in loro stessi, i componenti della famiglia vivono un dolore insanabile e provano a elaborare l’improvviso lutto ognuno a modo proprio. Moretti sviscera il tema della perdita con estrema empatia senza cadere mai nel melodramma. L’opera ci regala un Moretti inedito. Accantonato per un attimo il suo “classico” cinema, il regista si dedica a un racconto intimo e delicato che ha come unico obbiettivo il commuovere il pubblico.
Il Gattopardo (Luchino Visconti, 1963)
Tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la nona opera di Luchino Visconti si aggiudicò la Palma d’oro a Cannes nel 1963. Il film racconta la Sicilia tra il 1860 e il 1910, il passaggio dal regno borbonico al regno d’Italia. Il protagonista, Don Fabrizio di Salina (Burt Lancaster), assiste con distacco e malinconia alla fine dell’aristocrazia e all’avvento della nuova borghesia. Una presa di coscienza – quella del protagonista – lunga tutta il film, che culmina nella scena finale, durante un grandioso ballo. Nell’animo del principe di Salina si fa spazio un’amara consapevolezza. Il cambiamento è ormai inconfutabile e lui non può fare altro che tirare tristemente le somme di una vita da nobile ormai in decadenza.
Il manierismo di Visconti, la ricchezza dei dettagli, della scenografia e dei personaggi, rendono l’opera una delle più note del regista. Il Gattopardo rappresenta un punto di svolta nel percorso artistico di Visconti. Infatti, attraverso quest’opera, si nota come l’impegno socio-politico del Visconti comunista si attenua a vantaggio di una nostalgica regressione al Visconti aristocratico. Una malinconica ricerca di un mondo perduto che caratterizzerà anche le opere successive del regista milanese.
Ma Il Gattopardo fu anche l’opera più complessa di Visconti, soprattutto da un punto di vista produttivo. Le somme investite per la produzione di questo colossal all’italiana furono altissime. E infatti, il mancato successo al botteghino negli Stati Uniti decretò il fallimento finanziario della Titanus che non riuscì a rientrare nelle spese di produzione.
Nonostante il discreto successo nelle sale italiane, l’opera fu aspramente criticata, soprattutto oltreoceano. Complice un ignobile montaggio della versione americana del film – realizzato senza il consenso del regista – la critica USA stroncò malamente il lungometraggio viscontiano. Tuttavia, negli anni, il film è stato rivalutato in modo molto positivo dalla critica di tutto il mondo. Tra l’altro, Il Gattopardo è nella lista dei dodici film preferiti da Martin Scorsese.
Miracolo a Milano (Vittorio De Sica, 1951)
Nel corso delle innumerevoli edizioni del Festival di Cannes, molte commedie all’italiana hanno trionfato, aggiudicandosi la Palma d’oro. Tra queste, per questa particolare classifica, abbiamo scelto Miracolo a Milano di Vittorio De Sica.
Siamo in pieno secondo dopoguerra. Il film, che si sviluppa in modo fiabesco e fantastico, narra le vicissitudini di un giovane orfano che sogna un mondo più equo. Un mondo dove poveri e ricchi siano uguali.
Il lungometraggio di De Sica rientra nel circolo del classico neorealismo. Però, ha la capacità di narrare le vicende dei personaggi in una chiave più dolce e meno drammatica. La povertà è ancora una volta il tema portante della narrazione (proprio come nel neorealismo). Ma c’è uno spiraglio di speranza in più che fa capire che la vita, dopotutto, non è così brutta da vivere.
Un film totalizzante, precursore di quelle che saranno le future commedie all’italiana degli anni Sessanta e Settanta. Un’opera che ha influenzato lo stile e la poetica di intellettuali di tutto il mondo. Autori come Gabriel Garcia Marquez e Steven Spielberg assorbirono il realismo magico di Miracolo a Milano, trasponendolo nelle proprie opere. Infatti, la scena finale del decollo su una scopa del protagonista ha ispirato il volo delle biciclette nel film E.T. – l’extraterrestre del pluripremiato regista americano.
Marco Sito