John Rawls, pioniere del neocontrattualismo, è oggi ritenuto un filosofo politico tra i più importanti del dopoguerra. In questo articolo analizziamo i tratti salienti del suo pensiero e li confrontiamo con quelli del contrattualismo classico.
Indice dell'articolo
La vita di John Rawls
John Rawls nasce a Baltimora, negli Stati Uniti, nel 1921 e dopo i primi studi scolastici frequenta l’università di Princeton. In questa università inizia il suo interesse per la filosofia, in particolare quella politica. Poi, dopo la laurea, entra nell’esercito durante la seconda guerra mondiale, nel 1943. Da soldato visita varie regioni del Pacifico, fino al Giappone. Infatti, assiste anche allo sgancio della bomba su Hiroshima. A seguito di questa esperienza abbandona il mondo militare per quello accademico e consegue un dottorato in filosofia presso Princeton. Un’altra borsa di studio gli permette di frequentare l’università di Oxford. Tuttavia, fa ritorno in America, dove continua a insegnare presso varie università e a pubblicare testi di filosofia politica. John Rawls muore a Lexington nel 2002.
Cornice storico-filosofica
Nicola Abbagnano sostiene che gli anni settanta, decennio che inizia con la pubblicazione del 1971 Una teoria di giustizia di John Rawls, è un momento di “riscoperta dei temi etico-politici” proprio grazie a questo pensatore. Difatti, Abbagnano afferma che la filosofia politica aveva ripiegato su due posizioni, quella di matrice marxista, concentrata sul concetto di giustizia, e quella liberale, incentrata sulla libertà.
Questa lettura, per quanto schematica, evidenzia lo sforzo di Rawls di coniugare gli aspetti di ambo i filoni all’interno di un nuovo discorso etico-politico. Dunque, John Rawls è oggi considerato un importante studioso per le riflessioni intorno a concetti quali l’uguaglianza e la giustizia. Così, la sua ricerca lo spinge a riflettere sulle teorie contrattualiste e a riformularle in un nuovo orizzonte. Perciò, ricordiamo il suo pensiero col nome di “neocontrattualismo“. Ma per comprendere il neocontrattualismo dobbiamo prima ripercorrere il pensiero contrattualista. Infatti, un giusto esame di questo pensiero è indispensabile per comprendere gli esiti elaborati da John Rawls.
Hobbes, Locke, Rousseau
Hobbes, Locke e Rousseau sono i maggiori esponenti del pensiero contrattualista. Questo appellativo deriva dal fatto che la filosofia di tutti e tre prende le mosse dall’idea di un contratto come fondamento della società e che assume caratteristiche diverse per ognuno di loro.
Hobbes afferma che la cessione dei diritti individuali è quasi totale, con l’unica esclusione del diritto alla vita. Infatti, è proprio il diritto alla vita che spinge gli uomini verso il contratto sociale. Dunque, lo Stato Leviatano da lui teorizzato ha un potere assoluto. D’altra parte, è l’unico modo per garantire una condizione differente dallo stato di natura. Infatti, quest’ultimo è una dimensione pari a quella delle bestie, dove vige la legge del più forte e vi è una perenne guerra di tutti contro tutti.
Invece, Locke nega uno stato di natura così problematico. Cioè, afferma che la legge di natura coincide con la ragione, in essa vige la libertà e l’uguaglianza e non c’è una guerra totale. Ma, in questa circostanza, non esiste un metro oggettivo per punire chi danneggia un suo simile. Perciò, gli uomini realizzano una condizione che garantisce un metro oggettivo, la società.
Successivamente, Rousseau afferma che l’uomo è per natura buono ed è la società a corromperlo. Ma, dato che il consorzio umano col tempo cresce, è inevitabile trovare una regola che limita la corruzione. Così, gli individui cedono i propri diritti, per riceverli in qualità di cittadini della società.
Contrattualismo e neocontrattualismo
In sintesi, oggi con “contrattualismo” indichiamo le teorie del periodo moderno per le quali è essenziale la ricerca sulle ragioni dell’esistenza del contratto sociale. Dunque, l’obiettivo è la determinazione della misura del potere di chi governa. Perciò, il contrattualismo non prescinde dall’idea che esiste un contratto sociale. Così, questi filosofi prevedono che i singoli individui rinunciano a parte della loro libertà per dar vita a un’organizzazione politica. Cioè, Hobbes, Locke, Rousseau, elaborano uno scenario primigenio e apolitico, e la successiva sottomissione volontaria a un potere sovrano che garantisce la fine di questa condizione. Sebbene una teoria politica somigliante al contrattualismo sia rintracciabile anche nelle società antiche, una vera e propria teorizzazione come quella del 1600 appartiene solo a questi filosofi.
Dunque, questo medesimo schema lo ritroviamo anche nelle argomentazioni di John Rawls, il quale descrive nello stesso modo una condizione pre-politica. Ma la descrizione del filosofo statunitense è molto diversa e, come egli ammette, ha uno scopo opposto. Cioè, egli tenta il superamento di queste teorie politiche che propongono ricostruzioni storico-scientifiche. Innanzitutto, lo scenario di Rawls è posto come immagine simbolica, non ha alcuna pretensione di verità storica. In effetti, sembra esserci, sotto questo punto di vista, un maggior legame tra Rawls e Kant. Infatti, già Kant pone il contratto non come un fatto storico ma come un ideale regolativo: chi governa fa le leggi “come se” queste derivino dai cittadini. D’altra parte, lo stesso Rawls ammette il suo debito nei confronti del pensiero kantiano.
John Rawls e il velo di ignoranza
«Quello che ho cercato di fare è portare a un più alto livello di astrazione la teoria tradizionale del contratto sociale di Locke, Rousseau e Kant. […] Ciò sembra offrire una teoria alternativa della giustizia, che mi pare superiore all’utilitarismo tradizionale dominante.»
Ma se non ha pretesa storica, e non giustifica il potere di chi governa nelle società che di fatto esistono, qual è il senso dello stato precontrattuale descritto da John Rawls? La descrizione di questa “posizione originaria” mostra come gli individui scelgono i principi alla base della loro società. In effetti, John Rawls afferma che questa condizione è solo ideale perché di rado le società sono così “ben-ordinate”. In sintesi, la narrazione di una condizione pre-politica riflette sul principio di giustizia che regola la società e illustra una condizione ideale per la quale tale condizione è possibile.
John Rawls tratta questo tema con l’immagine del “velo di ignoranza“. Nel momento in cui i singoli individui scelgono i principi di giustizia si situano in una condizione di assoluta eguaglianza. Così, pongono tra parentesi qualsiasi informazione relativa alla condizione futura della società. Cioè, chi è ricco e sa di esserlo non accetta tasse per assistere i poveri, mentre chi è povero sì. Invece, con la non considerazione del proprio status economico, tutti considerano questa legge giusta. Insomma, a garanzia delle leggi vi è una condizione paritaria garantita dalla non considerazione dei fattori contingenti che riguardano ognuno. Questo è il velo di ignoranza, e i principi di giustizia scaturiti dalla sua presenza garantiscono un accordo equo.
La giustizia e la critica all’utilitarismo di John Rawls
Dunque, nonostante il debito nei confronti dei contrattualisti, John Rawls non giustifica un potere sovrano ingiusto, ma propone un modello di società giusta. Infatti, egli sostiene che il vero problema della filosofia politica è la comprensione di cosa è la giustizia e come possono essere giuste le istituzioni.
«Chiamiamo giusti o ingiusti gli atteggiamenti e le inclinazioni delle persone, e le persone stesse. Il nostro tema però è quello della giustizia sociale. Considerate nell’insieme come un unico schema, le istituzioni maggiori definiscono i diritti e i doveri degli esseri umani e influenzano le loro prospettive di vita, ciò che essi possono attendersi e le loro speranze di riuscita»
Per John Rawls, il tema della giustizia non va sottovalutato, in quanto spesso l’uomo sacrifica un po’ di giustizia per il benessere della società. Invece, qualsiasi legge ingiusta o istituzione va cambiata o abolita, anche se fornisce un certo grado di benessere alla società. Cioè, il benessere della società non giustifica la trasgressione all’inviolabilità fondata sulla giustizia valida per ogni persona. Da qui, prende le mosse la critica all’utilitarismo del filosofo. Infatti, questa corrente di pensiero ritiene che fondamento dell’azione umana e della società è la ricerca dell’utile. Ma proprio questa impostazione, per Rawls, favorisce il sospetto e l’ostilità tra i membri di una società.
La società giusta secondo John Rawls
«[La giustizia] non permette che i sacrifici imposti a pochi vengono controbilanciati da una maggior quantità di vantaggi goduti da molti. Di conseguenza, in una società giusta sono date per scontate eguali libertà di cittadinanza; i diritti garantiti dalla giustizia non possono essere oggetto né della contrattazione politica, né del calcolo degli interessi sociali.»
In sintesi, per John Rawls i principi di giustizia sono la libertà e l’eguaglianza di ognuno, e sono tali solo se arrecano beneficio a tutti. Tuttavia, il filosofo non afferma che possiamo realizzare una società fondata su questi principi in breve tempo. Infatti, può essere che non abbiamo ancora formulato leggi migliori di quelle che ci sono perché non le conosciamo. Inoltre, vale il principio che anche un’ingiustizia è tollerabile se necessaria per evitarne una ancora maggiore. Dunque, il ruolo della filosofia è proprio il vaglio continuo delle circostanze per il miglioramento della società presente. Ma soprattutto, garantisce la sincerità e l’applicazione delle leggi migliori, una volta che le abbiamo individuate.
John Rawls definisce la regola che garantisce la giustizia di una disposizione sociale “maximin”. “Maximin“, unione di “maximum” e “minimorum“, esprime che bisogna migliorare il più possibile la condizione di coloro che vivono peggio.
Moralità: rispetto per gli uomini e il mondo
Anche se John Rawls evidenzia la difficoltà e la fatica per la costruzione della società ideale, egli afferma che essa non è impossibile, in quanto l’uomo è per natura soggetto morale. Infatti, gli uomini, in quanto coscienti, conoscono il loro bene, possiedono un senso di giustizia, e quest’ultimo li spinge alla sua applicazione. Ma, ricorda il filosofo, ci sono persone che, o per cultura o per altri motivi, non hanno questo senso della morale. Tuttavia, questa loro menomazione non è un valido motivo per la loro esclusione dalla società fondata sulla giustizia. Piuttosto, la diffusa cultura utilitarista provoca l’allontanamento dell’uomo dalla sua morale. Infatti, la volontà di conseguire un obiettivo spinge in modo necessario verso l’abbandono del benessere collettivo. Perciò, è indispensabile, come garanzia di partenza per una società giusta, l’eguaglianza universale.
Infine, come lo stesso John Rawls evidenzia, questa visione lascia dei problemi irrisolti. Infatti, se possiamo reindirizzare certi uomini verso la loro morale, come possiamo includere chi non ha coscienza e dunque morale (non solo uomini, ma anche animali e piante)? Infatti, anch’essi fanno parte del mondo e dobbiamo garantire la loro partecipazione alla società. Questo è un punto che Rawls lascia aperto e su cui riflettiamo ancora oggi.
Luigi D’Anto’
Bibliografia
N. Abbagnano, G. Fornero, Itinerari di filosofia, volume 3A, Paravia, 2003.
J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, 2017.
Sitografia
Per approfondire si veda la voce contrattualismo nell’enciclopedia Treccani.
Nota: la fonte dell’immagine di copertina di questo articolo è Pixabay.com